Anno
IX numero 9 - settembre 2000
ARTE
ANDREW WYETH E I QUADRI DI HELGA |
PAGINA 2
Se l'arte è più grande in
misura della sua capacità di richiamare più scenari alla mente in una singola opera in
modo unitario, è evidente che l'opera di Wyeth, così come le migliori vignette e i
migliori fumetti, è da ritenersi un'arte minore. Tutt'altro che epifanica l'arte di Wyeth
spiazza, ma non ad effetto. I suoi sono paesaggi desolati, personaggi solitari in mezzo
alla natura. E non c'è nulla di conclusivo nel suo sguardo: l'inquadratura taglia fuori
scenari imprevedibili, insidie probabili, la natura esprime la sua forza attraverso la sua
permeabilità nella scena, attraverso la sua onnipresenza. Tutto l'opposto della pittura
romantica di Turner: in Wyeth non c'è nulla di eclatante, tutto è mitigato in un
realismo che sa poco del romanzo o del poema epico e molto della fiaba. E Helga, come
qualsiasi personaggio delle fiabe, è impermeabile a un'introspezione psicologica. È una
donna nella natura che sta per conto suo, che non ci permette un contatto maggiore di
quello dello sguardo o della immedesimazione: noi possiamo essere al posto di Helga o
fuori della scena come voyeur, ma la freddezza delicata di Wyeth non consente di immaginarci accanto a lei,
in conversazione con il suo personaggio, non ci lascia immaginativamente interferire con
la sua vita. Possiamo solo ammirarla nella sua solitudine in mezzo alla natura o ammirare
noi stessi pensandoci al suo posto, sentirci come lei o fuori della scena, decisamente
solitaria. Gli scenari del pittore del Maine non sono fatti che di quella solitudine resa
in tinte e tratti variegati, in cui la natura non ha bisogno di urlare la propria presenza
selvatica, indomita, non addomesticabile, perché è già ovunque in modo selvaggio, ma
non devastante, né minaccioso. Lo sguardo del pittore che non chiude a tutto tondo il
paesaggio, e neppure gli interni, lascia fuori della tela l'avventura dell'uomo, la sua
storia, i suoi dolori e le sue felicità. Ma ciò che lascia ancora più decisamente fuori
è il suo destino, ad eccezione di quello che è comune a tutti gli uomini: la vita, qui e
ora, e la morte, poi.
Ma nel caso di Helga non si avverte alcun disagio, né alcuna ansia. Il personaggio è
nell'accettazione di sé, della propria condizione umana, senza preoccupazioni per
l'avvenire. Questo contrasto fra la natura selvaggia e la tranquillità di Helga è
addolcito dalla curiosità del personaggio, dal suo ammirare la natura (come in Autumn:
un modo poetico per dire "autunno" in americano), la quale tende di conseguenza
ad abbellirla, a invaderla di luce (come nel dipinto Day Dream: "Sogno
diurno", ma anche, forse, "Sogno ad occhi aperti", in cui il sogno ad occhi
aperti non è quello di Helga, ma di chi la guarda mentre dorme), o rivelarne la delicata,
intima bellezza, sfilandola via dall'oscurità, così come la pittura si avvale della luce
per creare contrasti visivi (Night Shadow, "Ombra notturna"). La
ritrattistica di Wyeth fa spesso pensare alla fotografia. L'effetto prodotto è
indubbiamente tale, ma basta osservare l'intera collezione dei Quadri di Helga (Helga
Pictures) per accorgersi che dei 238 pezzi della collezione solo tre o quattro hanno
un cielo azzurro: in quasi tutti il cielo è reso con un bianco sporco, calcinato.
L'effetto di dispersione e di pervasione leggera della natura è realizzato attraverso a
una varietà selezionata di toni cromatici, che si distribuiscono in zone ideali, secondo
una grammatica che evita qualsiasi genere di contrasto. Questo smorza il razionalismo di
fondo in un quadro d'insieme che conserva un sapore cromatico unitario, fortemente
evocativo di un mondo fiabesco che fa dell'ignoto della vita un motivo esperienziale, di
crescita. E, nel caso di Helga, una donna adulta, si traduce in una avventura continua
della vita, più vera dell'uso retorico delle fiabe, in cui si fissa arbitrariamente un
termine alla fragilità umana e alla maturazione interiore.
Si è osservata una certa somiglianza con il pittore americano Edward Hopper. In effetti,
oltre alle evidenti differenze stilistiche e ambientali date dalla colorazione uniforme e
dal contesto urbano di Hopper, entrambi gli autori isolano i personaggi nello spazio,
ponendoli al centro di una vicenda senza esito, come in sospensione. Ma se la marginalità
di Hopper è all'interno del contesto sociale, reclusa in una razionalizzazione della vita
dell'uomo, resa pittoricamente dalle forme plastiche e dai vuoti fra le figure, Andrew
Wyeth al contrario esprime una natura libera e affrancata dalle costrizioni sociali, come
si nota nei dipinti fortemente caratterizzati, più che dal nudo, dal naturismo. La natura
e il nudo non sono più un atto di mero voyeurismo, poiché la nudità di Wyeth non
esprime la sensualità propria delle preoccupazioni della pittura europea di questo
secolo, con uomini e donne che si spogliano di nascosto o si ritrovano intimamente liberi
solo fra quattro mura o lontani da occhi indiscreti, come in Degas, Bonnard, Modigliani,
Schiele e altri autori. Né rientra nel puritanesimo americano, con le sue etichette
formali. Se per la maggior parte dei pittori il nudo rappresenta uno strumento discorsivo
e non solo una forma di affrancamento ideale, in Wyeth tale aspetto scompare. Come per
Emerson e Whitman, due padri fondatori della cultura americana, il naturismo di Wyeth è
la mera accettazione dell'uomo nella natura, senza orpelli, al punto che l'opera
dell'artista americano non implica alcun rapporto diretto fra il fruitore di un dipinto e
i personaggi rappresentati, a meno che non passi prima nell'accettazione della natura, che
entri nella scena, che non cerchi in Helga il primo interlocutore diretto, ma,
eventualmente, un secondo interlocutore con cui condividere il rapporto con la natura,
così come lo vive Helga nella sua serenità. Da qui il suo distacco, e l'incapacità
nostra di penetrare l'intimità del personaggio. E la scena in cui si trova, in cui Wyeth
ci invita a entrare, non richiede alcuna destrezza tipica delle società industrializzate,
così come non richiede alcuna struttura tipica delle società rurali. Eppure, nonostante
questi contenuti della pittura di Andrew Wyeth, può capitare di vedere un suo dipinto in
una metropolitana newyorkese. E rimanere colpiti dall'immagine di una donna incoronata da
uno strano serto di foglie, e pensare che l'autore volesse imitare Botticelli.
A tredici anni di distanza dal primo incontro con un'opera di Wyeth, non solo non ho
dimenticato i Quadri di Helga, ma l'autore mi stimola a pensare a forme pittoriche
più sottili di quelle "meramente" avanguardistiche, e a evitare affrettate
conclusioni sulle arti visive "maggiori" e "minori".
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