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Vivere di spread, necessario o forse eludibile?

Vivere di spread, necessario o forse eludibile?
Dicembre 17
00:00 2011

FOnorati-spreadFino a qualche tempo fa questa parola non esisteva nel comune linguaggio ed il suo significato era di difficile interpretazione anche per più di un addetto ai lavori. Oggi ci svegliamo con il primo pensiero rivolto allo spread che riesce a condizionare anche il nostro umore oltre che generare ansia negli addetti ai lavori ed è diventato fertile terreno di pascolo per i media che ci inondano di fiumi d’inchiostro sul tema, dipingendo scenari apocalittici se aumenta e restando comunque preoccupati se scende. Il differenziale dei rendimenti fra i titoli di stato tedeschi e quelli delle altre nazioni non è certamente da sottovalutare, ma è giusto che generi tanta angoscia? Prima di qualsiasi risposta sarebbe opportuno analizzare alcuni aspetti fondamentali del tema. Il protagonista principale resta la Germania e non soltanto i suoi titoli di stato, i Bund, ma anche e soprattutto il suo posizionamento nell’Europa e la mentalità del popolo tedesco.

Non vi è dubbio che la Germania sia il primo Paese in Europa per la forza della sua economia, per le risorse industriali, per la capacità organizzativa e che per questi motivi si sia meritata in passato l’appellativo di “locomotiva europea”. I tedeschi, però, non sono contenti di partecipare all’Unione Europea per essere chiamati, in nome della difesa della moneta comune, a puntellare se non addirittura a salvare gli Stati deboli della coalizione. La sopravvivenza dell’euro dipenderà dalle decisioni della Germania e se dipendesse dall’opinione pubblica tedesca, le speranze sarebbero davvero poche. Non c’è sondaggio che non indichi come la maggior parte degli intervistati non solo vuol dire basta ai salvataggi dei Paesi deboli dell’Eurozona con i soldi dei contribuenti tedeschi, ma ritiene anche di non aver ricevuto alcun vantaggio dalla moneta unica e che sarebbe preferibile tornare al marco. Questo spiega l’atteggiamento finora tenuto dalla Cancelliera Merkel e dal suo governo nel chiedere ai Paesi membri di diventare come la Germania: finanze pubbliche rigorose, salari sotto controllo, sviluppo basato sull’export. Ma è proprio qui che sbagliano i tedeschi nella percezione dell’euro! La Germania è stata uno dei grandi beneficiari dell’euro, come ammesso dal direttore finanziario della compagnia di assicurazioni Munich Re, Joerg Schneider, che dice «l’euro è un colossale strumento di sostegno all’export della Germania» che, grazie anche alla riforma del mercato del lavoro, ha guadagnato competitività rispetto al resto dell’Eurozona, maturando un surplus commerciale con le banche tedesche spesso chiamate a finanziare l’import degli altri Paesi. Se la Cina mantiene competitivo il suo export con interventi sui mercati valutari, la Germania lo fa perché partecipa ad una Unione monetaria con Paesi più deboli senza i quali, se dovesse solo competere con Paesi di serie “A”, vedrebbe il valore dell’euro o del marco schizzare verso l’alto, danneggiando i produttori tedeschi, anche i più efficienti. Per sua fortuna o merito è comunque la numero uno in Europa e per questo condiziona anche le scelte di chi vuole investire la propria liquidità senza correre eccessivi rischi. Ma è del tutto vero? C’è da fidarsi? La solidità non è in discussione, ma il problema maggiore, visto dal lato del risparmiatore che vuole investire in bond tedeschi, è che in questo momento hanno rendimenti ridotti al lumicino (addirittura vicini allo zero per quelli a breve scadenza) e soprattutto si acquistano a prezzi record. Se la situazione del debito europeo dovesse rasserenarsi potrebbero quindi rivelarsi un boomerang per l’investitore. Quale potrebbe quindi essere una possibile soluzione per creare uno strumento che permetta di collocare i risparmi in modo meno rischioso e togliendo al nostro nemico, lo spread, molta della sua forza angosciante? Una prima considerazione, riferita a questa domanda, riguarda la organizzazione economico-finanziaria nonché politica della Unione Europea. Abbiamo già avuto modo di sottolineare che l’Europa si è dotata di una moneta comune, ma le mancano strumenti ed istituzioni basilari, quali una comune politica fiscale, una banca centrale realmente autonoma e dotata di forza impositiva ed organismi di controllo che possano intervenire con tempestività a sanare gli eventuali problemi. Ed è proprio sul fattore temporale che si nota la maggiore carenza: la crisi ha bisogno di risposte veloci e tempestive se vogliamo porre in essere soluzioni efficaci. Ecco quindi che la mancata dotazione alla BCE (la Banca Centrale Europea) di tutti quei poteri che normalmente vengono attribuiti alle Banche Centrali (vedi una per tutte la Federal Reserve americana) costituisce uno dei punti deboli di maggiore importanza. Come anche la costituzione di un titolo obbligazionario europeo (l’eurobond), da tempo sollecitato dai migliori economisti, tarda ad essere recepito come soluzione per la resistenza (e la diffidenza) da sempre mostrata nell’abbandonare i titoli del debito pubblico domestico. E lo spread ci guadagna ed impazza sui mercati, saltando di Nazione in Nazione come un folletto maligno! È da tempo che la Commissione europea ha allo studio l’ipotesi per l’introduzione di eurobond, titoli del debito pubblico emessi in comune dai Paesi dell’Euro con responsabilità congiunta. Essi potrebbero creare un mercato più ampio e più liquido rispetto a quello delle obbligazioni nazionali ed avrebbero un ulteriore vantaggio, quello di trasformare i rischi individuali in frazioni di rischio collettivo. La loro emissione potrebbe essere delegata al ESFS, il fondo cosiddetto “salvastati” che di recente è stato capitalizzato per oltre mille miliardi di euro. Vediamo quindi che, se si volesse, le soluzioni ci sarebbero, con due importanti condizioni: la tempestività nel prenderle, ma ancor prima e ancor di più la volontà di attuarle! Ed allora il nostro nemico spread si trasformerebbe da giusta e necessaria preoccupazione a ricordo di un patema d’animo temporaneo.

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