Vittoria strepitosa della lobby delle banche
Il 29 gennaio scorso la Camera dei Deputati ha convertito nella legge n. 5 il decreto imu-Bankitalia “ghigliottinando” il dibattito parlamentare, in quanto i numerosi interventi prenotati dai parlamentari del M5S non avrebbero permesso in tempo utile la conversione del decreto a poche ore dalla sua scadenza. Questa la versione ufficiale. Per il Movimento 5 Stelle e Fratelli d’Italia, invece, il Governo ha voluto a tutti i costi che passasse sotto silenzio il regalo alle banche di 7,5 miliardi, nascondendolo nel decreto in scadenza di cancellazione della seconda rata dell’imu.
Se il Governo avesse separato in due il decreto omnibus, uno per la cancellazione della seconda rata dell’imu, l’altro per il regalo alle banche private, come richiesto dal M5S, di certo i giornali non avrebbero potuto scrivere che i grillini si opponevano alla cancellazione dell’imu.
Quando la Presidente della Camera Boldrini ha annunciato il taglio degli interventi, i parlamentari più giovani del M5S sono scesi dai banchi piangendo di delusione e rabbia per andare a occupare gli scranni dei ministri e bloccare così la votazione. Mentre i tre questori di Montecitorio cercano di fermarli, uno colpisce involontariamente al volto la deputata Lupo del M5S facendole partire a razzo una lente a contatto. Alla fine la conversione in legge del decreto passa con la fiducia. Ma entriamo nel merito di questa legge.
È pur vero che le banche stanno soffrendo di modesta redditività e quindi tagliano personale e sportelli bancari. Il motivo principale è che hanno sbagliato a impegnarsi nelle cosiddette “operazioni di sistema”, cioè in investimenti motivati da logiche più politiche che aziendali, prestando miliardi di euro a imprenditori per acquistare le indebitate Alitalia, Telecom Italia, Rcs ecc. Per accrescere la redditività avrebbero dovuto investire nell’economia reale. Così il Governo Letta, con il Decreto Bankitalia, va incontro alle difficoltà del sistema bancario senza chiedere nulla in cambio alle banche sussidiate: nemmeno una riduzione di stipendio al management. Ricordiamo che le banche sono rimaste pubbliche sino agli anni Ottanta.
Il primo favore alle banche private è avvenuto a opera di Massimo D’Alema, che ha abolito il divieto di commistione tra banche di risparmio e banche d’investimento. La proposta in Senato del M5S di tornare ad adottare questo divieto, responsabile in parte di questo tracollo, è stata bocciata. In seguito abbiamo visto il governo Berlusconi prima e Monti appresso, dare in prestito al Monte dei Paschi di Siena 4 miliardi di euro di soldi pubblici. Poi Monti ha fatto il favore alle banche di escluderle dal pagamento della Tobin Tax, la tassa sulle transazioni finanziarie. L’ultimo regalo è quello che abbiamo visto il 29 gennaio scorso con la conversione in legge del decreto imu-Bankitalia. Dobbiamo premettere che: 1) Bankitalia ha le riserve pubbliche, ma è di proprietà dei suoi azionisti: Intesa San Paolo, Unicredit, Inps, Generali, Carige, Cassa di risparmio di Bologna; 2) sempre Bankitalia ha il ruolo di vigilare sui suoi proprietari e di salvaguardare la valuta; 3) questa primavera ci sarà l’esame europeo della Bce sui parametri di solidità degli Istituti di credito, con l’obiettivo di raggiungere l’unione bancaria europea. E quindi ogni banca ha bisogno di rafforzare il suo capitale per non correre il rischio di vedersi fondere con altre, in quanto la Bce al termine dell’esame dovrà dire quante risorse servono a ognuna per rispettare i parametri. Ciò premesso, con il suddetto decreto Bankitalia, il Governo ha stabilito di rivalutare il patrimonio di vigilanza di Bankitalia, dal valore simbolico di 156 mila euro a 7,5 miliardi, migliorando così le quote di capitale delle banche titolari. I loro bilanci appariranno più solidi grazie a un ritocco contabile. Ma il favore non finisce qui.
Con la rivalutazione delle quote di capitale, Bankitalia dovrà distribuire subito ai suoi soci privati un utile maggiore: complessivamente 450 milioni ogni anno, anziché 70 milioni di euro, come è avvenuto sinora. Inoltre, poiché lo Stato deve incassare la tassazione sulle plusvalenze, in Senato è stato approvato un emendamento che riduce la tassazione dal 20%, come previsto per le rendite finanziarie, al 12%. Un’aliquota di favore che farà incassare allo Stato solo 900 milioni, anziché 1 miliardo e mezzo.
C’è un altro favore per le banche. Poiché il decreto ha fissato il tetto massimo del 3% alla quota di capitale di Bankitalia che ogni istituto può detenere, le due banche più grandi (Intesa San Paolo e Unicredit) hanno la facoltà di vendere la loro quota in eccesso ad altri, incassando subito soldi veri da mettere a bilancio. Altrimenti fra tre anni, nel caso non abbiano trovato acquirenti sul mercato, è facoltà di Bankitalia ricomprare l’eccedenza oltre il 3% per rivenderla ad altri. E per ricomprare le quote in eccesso Bankitalia dovrà sborsare complessivamente 4,2 miliardi (3,5 solo per le due banche principali, che insieme possiedono oltre la metà delle quote): soldi pubblici alle banche private, che avranno tutto il diritto, con il loro titolo di proprietà, di rivalersi sulle riserve. In ultimo, lo Stato ha offerto la sua garanzia per i crediti erogati alle imprese: gli utili alle banche private, le perdite accollate alla collettività, in quanto è stata inserita la garanzia statale sui derivati stipulati dalle banche sui titoli di Stato. La finanza può continuare ad arricchirsi, e i lavoratori a impoverirsi!
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