VITO VOLTERRA, IL FASCISMO E ARICCIA
Muoiono gli imperi, ma i teoremi d’Euclide conservano eterna giovinezza (Vito Volterra)
Vito Volterra, grande matematico e fisico fondatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha avuto, durante il ventennio, in quanto antifascista ed ebreo, la vita difficile.
Di seguito vengono ricordate alcune vicende della sua condizione di oppositore al regime, scelta politica portata avanti anche dal figlio Edoardo, partigiano nella zona dei Castelli Romani.
Dai documenti esaminati emerge la brutalità del fascismo, ben illustrata dai libri di Antonio Scurati, ed al contempo la connivenza, la stupidità e la pavidità di coloro che misero in atto il disegno dittatoriale.
In una lettera del 1928 la Questura di Roma chiese al ministro dell’Interno se rilasciare o meno il passaporto al senatore Volterra che ne aveva diritto: “Il Senatore del Regno Vito Volterra ha presentato istanza per la concessione del passaporto per l’estero. Medesimo, come è noto, è un oppositore liberale e, per ultimo, ha votato contro la legge sul Gran Consiglio Fascista. Quest’Ufficio, tuttavia, non avrebbe motivi specifici per negargli la richiesta concessione. Ne informa comunque questo On.le Ministero per le determinazioni che in proposito crederà adottare”. Nel regime dittatoriale il poliziotto, al corrente dell’attività parlamentare di un senatore, chiede al politico-governante se applicare o meno la legge.
Nel 1930 il senatore Volterra venne convocato, in spregio alle leggi vigenti sulle garanzie dei senatori, da un commissario di PS. Nella sua lettera al capo della polizia si legge: “L’on. Senatore Volterra, accompagnato dal figlio, si è presentato a me ed ha premesso subito che intendeva protestare per quanto stava per accadere perché – essendo egli un Senatore – poteva soltanto essere interrogato da una commissione di senatori. Sorvolando su questa platonica protesta ed entrando subito in argomento …”.
Nel 1931 venne varata la legge che imponeva ai professori universitari di prestare giuramento al Fascismo. La formula era la seguente: “Giuro di essere fedele al Re, ai suoi reali successori e al Regime Fascista, … di formare cittadini operosi, probi e devoti alla Patria ed al Regime Fascista”. Volterra, come tutti i colleghi dell’Università di Roma, ricevette da parte del rettore la lettera relativa alla procedura in cui si specificava: “Il giuramento deve prestarsi dinanzi al Rettore, in presenza di due testimoni, e che il processo verbale venga redatto in carta da bollo di L.5 [pari a 6 euro] per coloro che giurano per la prima volta e in carta libera per coloro che avessero giurato in precedenza”. L’ignominia della decisione di irregimentare i docenti si accompagna alla meschinità del pagamento o meno del bollo.
Volterra, insieme a meno di una ventina di professori – su oltre 1.200 – si rifiutò di prestare giuramento e venne dunque licenziato dall’Università di Roma nel dicembre 1931.
Nel 1933, al ritorno da un viaggio, venne riattivata la usuale vigilanza di Volterra da parte della polizia, pratica iniziata ben prima nel quadro di una vera e propria persecuzione contro Volterra.
Nel 1934 gli venne richiesto dal presidente dell’Accademia dei Lincei di giurare fedeltà al Fascismo e, non avendo acceduto a tale richiesta, venne espulso.
Nel 1936 venne nominato Accademico della Pontificia Accademia delle Scienze. Questa fu una scelta del Vaticano carica di significato politico, certamente non gradita al regime, sollecitata e sostenuta da padre Agostino Gemelli, scelta di conforto per Volterra sul quale, nel 1938, con il varo delle leggi razziali, si abbatté una serie di amarezze e preoccupazioni.
Dopo l’approvazione delle leggi razziali, nel dicembre 1938 Volterra venne espulso dall’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere con la seguente, brutale, lettera: “Chiarissimo Signore, in conformità agli ordini da S.Ecc. il Ministro dell’Educazione Nazionale mi fo dovere di avvertirVi che a datare dal 16 settembre u.s. avete cessato di far parte, quale Socio Corrispondente di questo Reale Istituto, in quanto Voi appartenete a razza non ariana”.
Nel gennaio 1939 il presidente del Senato del Regno informò il senatore Volterra che “S.E. il Sottosegretario di Stato per l’Interno mi ha dato notizia che è stata disposta la discriminazione dei Senatori appartenenti alla razza ebraica. Le discriminazioni nei confronti dei parenti degli stessi Senatori sono già in corso”. Nel regime dittatoriale il presidente del Senato prende ordini dal Sottosegretario all’Interno.
L’11 ottobre 1940 la Questura di Roma informò la Direzione di P.S. che “stamane alle ore 4,30 nella sua abitazione in Via in Lucina n. 17 è deceduto il Senatore Vito Volterra fu Abramo di razza ebraica”.
Le autorità fasciste non permisero alcuna cerimonia funebre a Roma. Neanche ad Ariccia, dove Volterra aveva un villino in cui trascorreva con la moglie lunghi periodi di vacanza e dove era popolare per il suo contributo alla popolazione locale, era prevista una cerimonia ma, nonostante un implicito divieto, gli ariccini accolsero in folla l’arrivo del feretro e lo portarono a spalle fino al cimitero, dando vita ad un indesiderato (dalle autorità) corteo funebre. Le vessazioni inferte a Volterra dal regime fascista ebbero dunque parziale compensazione nella stima e nell’affetto degli ariccini.
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