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Viterbo 2/10 dic. – TEATRO CARAVAGGIO 450 – Installazione / Mostra / Performance

Viterbo 2/10 dic. – TEATRO CARAVAGGIO 450 – Installazione / Mostra / Performance
Dicembre 01
11:56 2021

2 / 9 dicembre – Vejano (VT) 

TEATRO CARAVAGGIO 450 

Installazione policentrica con performance 

Interventi di Gian Maria Cervo (autore e drammaturgo), Francesco Di Mauro (regista e artista video), Roxy in The Box (artista visiva), Nicola Samorì (artista visivo), Davide Sarchioni (curatore). 

 

10 dicembre dalle ore 17.00 

L’UMANITÀ DI CRISTO da Pietro Aretino VITA DI NOSTRA DONNA da Pietro Aretino. 

Progetto di Nicola Verlato

Si svolge a Vejano uno dei capitoli più importanti di TEATRO CARAVAGGIO 450- INSTALLAZIONE POLICENTRICA CON PERFORMANCE, un progetto speciale realizzato da Teatro Stabile delle Arti Medioevali- Società Cooperativa (tra l’altro ente organizzatore del Festival Quartieri dell’Arte) con fondi della Regione Lazio. L’iniziativa propone il racconto approfondito di un’originale installazione che ricostruisce un dipinto non più esistente di Caravaggio, la prima stesura del “Martirio di San Matteo”, oggi giacente sotto la versione definitiva del notissimo dipinto che si trova in San Luigi dei Francesi a Roma.   

Dopo il vernissage inaugurale del 1° dicembre l’installazione, realizzata con la collaborazione del Comune di Vejano, potrà essere vista ogni giorno dal 2 al 9 dicembre, al Sacello dei Santacroce in Vejano (dalle ore 16.30 alle ore 19.30 – ingresso gratuito). 

 

L’ installazione, concepita specificamente per il Sacello dei Santacroce in Vejano, mette a confronto una copia del “Martirio di San Matteo” di Michelangelo Merisi da Caravaggio con un’ipotesi ricostruttiva della prima e non più esistente versione del dipinto, realizzata dall’acclamato artista visivo Nicola Samorì. Per realizzare il proprio lavoro Samorì si è rigorosamente basato sulle radiografie e riflettografie realizzate sul dipinto attuale.  

Accanto all’ipotesi ricostruttiva si può osservare la copia di una delle fonti che Caravaggio ha utilizzato per la realizzazione della prima versione del “Martirio”, l’incisione Prevedari, un’incisione su lastra di ottone realizzata nel 1481 a Milano, da Bernardo Prevedari su disegno di Donato Bramante il cui nome è riportato sull’incisione stessa in caratteri lapidari (BRAMANTUS FECIT IN MEDIOLANO). Si tratta di una fantasia architettonica, un immaginario edificio all’antica in rovina ma soprattutto l’incisione costituisce una sorta di manifesto dell’estetica bramantesca legata ai maestri della classicità e alla lezione di Leon Battista Alberti.  

Se è vero che nel passaggio dalla prima alla seconda versione del dipinto Caravaggio dismette la scatola scenografica e si concentra soprattutto sulle figure umane (che assumono dimensioni decisamente maggiori nella stesura definitiva), è anche innegabile che gli esami condotti sulla prima versione dell’opera del Merisi, testimoniano ancora una volta come i maestri del Rinascimento fossero un punto di riferimento costante per l’artista lombardo. Il “Martirio di San Matteo” fu assieme agli altri dipinti della Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi in Roma il primo quadro di azione commissionato a Caravaggio e, da quanto si evince dagli esami, la gestazione fu, pur nella sua relativa brevità, particolarmente sofferta. L’opera “ricostruttiva” di Nicola Samorì è stata utilizzata, grazie a una gigantografia, nel mediometraggio d’arte “Cecco del Caravaggio” diretto da Francesco di Mauro e sceneggiato dal drammaturgo italiano Gian Maria Cervo, nato da una scoperta e da suggestione di quest’ultimo a Monte Sant’Angelo, in Puglia.  

Nel 2017 infatti, Cervo trovava, sulla scalinata che conduce alla grotta dell’Arcangelo Michele, una iscrizione realizzata da un “Francesco Boneri, bresciano”. A partire da questa si ipotizzava, anche per una curiosa coincidenza di date, un pellegrinaggio di Caravaggio e del suo assistente Boneri (meglio conosciuto col soprannome di Cecco del Caravaggio) nel Gargano, generando una vera e propria leggenda caravaggesca del XXI secolo. Approfondimenti successivi alla prima scoperta hanno in realtà datato l’iscrizione a esattamente 100 anni dopo la data originariamente letta (il graffito di ottima fattura non è però oggi nitidamente leggibile in tutte le sue parti). Resta aperta l’ipotesi che il graffito di Monte Sant’Angelo possa essere comunque connesso, anche per la sua bellezza estetica, alla famiglia lombarda dei Boneri che vanta pittori almeno dagli inizi del XVI secolo.  

 

PRENOTAZIONI: scrivere a ufficiostampaquartieridellarte@gmail.com 

 

 

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