Vita di Pi: il libro, il film
Il libro del canadese Yann Martel, un racconto piacevole letto qualche anno fa, lasciava in bocca il gusto dolce-amaro della favola coronato da un finale che stravolgeva in pieno il senso di tutta la storia. Nel narrato, fluido e attento ai tempi, la volontà profonda di contribuire a costruire una spiritualità più libera, specialmente dalla violenza e dagli orizzonti bui mostrati da alcune religioni, dava a tutta la storia un’interessante profondità che incitava i non amanti del genere
favolistico a non mollare la lettura. Il gran merito di Martel, invece, è proprio quello di aver creato una favola nuova con tutti gli elementi peculiari di questa forma narrativa: una sospensione spazio temporale, un protagonista che trasforma le proprie debolezze in talenti, la natura misteriosa di per se e per la presenza ambigua di Richard Parker. Una tigre niente affatto ‘alla mano’, a rappresentare la natura indomabile, paga delle proprie leggi e indifferente a quelle dell’umano (a meno di non usare la forza bruta). La magia del libro sembra sia stata totalmente colta dal bel film del regista taiwanese Ang Lee (La tigre e il dragone’, I segreti di Brokeback Mountain’ dal testo di Annie Proulx), il quale utilizza già i titoli di testa per accompagnare lo spettatore in un regno che seppure appare addomesticato, gli animali apparentemente liberi vagano in un lussureggiante zoo di proprietà del padre di Pi, vive la propria leggiadra, o buffa all’occasione, anima-animale. Attraverso misurati effetti speciali e un tridimensionale che si fa valore aggiunto alla storia, e non il contrario, ci si ritrova nell’avventura di Pi e di Parker che dopo un catastrofico e doloroso naufragio troveranno posto su una barca…in mezzo all’oceano; strappati alle loro certezze, incapaci di rappresentare le proprie nature (culturale e istintiva) perché al momento molto distanti dai riferimenti che dovrebbero sostenerle. Una volta ripresisi dallo spavento, l’uno cercherà di imparare come sopravvivere leggendo le istruzioni rinvenute sulla dotazione di salvataggio e mettendo a riparo il cibo; l’altro farà due fra le cose che l’istinto gli suggerisce: tenere lontano l’uomo per l’equazione innata con ‘pericolo’, e sopravvivere in un elemento che non ama. A quel punto accade che l’uomo viva per l’animale, poiché l’accudire un altro essere vivente lo fa desistere dal lasciarsi andare alla deriva e l’animale viva grazie a Pi che gli somministra acqua potabile e cibo, obbligato a non oltrepassare la soglia di rispetto vitale alla belva, quella minima soglia che un’imbarcazione consente. Nel libro di Martel e quindi nel sensibile film di Ang Lee, vibra l’Avventura intatta: quella potente di Emilio Salgari, quella della furia degli elementi di Conrad. Fatta di natura, coraggio, capacità di costruirsi la sopravvivenza giorno per giorno, con un finale sorprendente. (Serena Grizi)
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