“Visione dopo il sermone” di Paul Gauguin
“In questo quadro la lotta e il paesaggio esistono solo nella fantasia della gente in preghiera dopo il sermone, ragion per cui esiste un contrasto tra la gente vera e la lotta nel paesaggio immaginario e sproporzionato”. Così Paul Gauguin descrive in una lettera a Van Gogh la sua ultima opera, “Visione dopo il sermone”, olio su tela del 1888. E’ il periodo del soggiorno in Bretagna a Pont-Aven, dove l’artista parigino entra in contatto con la religiosità arcaica e primitiva degli abitanti locali: questa nuova esperienza non può non condizionare il suo modo di fare e intendere l’arte. Ecco così che Gauguin abbandona ogni traccia di naturalismo per dipingere quella che sarà ricordata, dal critico Albert Aurier, come una delle vette più alte della pittura simbolista. L’intenzione dell’artista è quella di materializzare il sentimento delle donne bretoni che, appena uscite di chiesa e ancora eccitate dal sermone del prete, credono di vedere la lotta tra l’angelo e Giacobbe. Lo spazio pittorico viene nettamente diviso in due parti dalla diagonale dell’albero, che simbolicamente separa la sfera della realtà da quella dell’immaginazione: nella parte superiore infatti trova posto la scena fantastica della lotta tra l’angelo e Giacobbe. Nella parte inferiore invece il gruppo di donne bretoni assiste in silenziosa contemplazione allo scontro biblico.
“Visone dopo il sermone” non suscitò solamente grandi entusiasmi: Pissarro rimproverò infatti a Gauguin di aver “scopiazzato i giapponesi – per quanto concerne il motivo del combattimento – e i pittori bizantini” per quanto riguarda invece la stesura del colore in campiture piatte e uniformi.
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