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Vincer l’insonnia con Monsieur Proust

Giugno 02
06:35 2017

Se volessi parafrasare, in chiave personale, le famose parole iniziali di “Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust (« Longtemps, je me suis couché de bonne heure », ‘Per molto tempo, mi sono coricato di buonora’), potrei scrivere: Per molto tempo ho fatto fatica ad addormentarmi.
È un problema che hanno in parecchi, quando vanno a letto la sera. Chi invece – per una qualche singolare benedizione della sorte – non ne è tormentato, non c’è modo che arrivi a comprenderlo. Son due mondi tra loro fin troppo distanti!
Non è proprio per niente facile, per talune persone, abbandonare il flusso di pensieri e preoccupazioni che s’innesca a partire dal risveglio del mattino, e che poi si autoalimenta nel corso della giornata. Sarà forse il fatto d’avere un sistema nervoso troppo sensibile, ricettivo agli stimoli esterni… Ma tant’è: lasciarsi andare, allentare la presa sul controllo di se stessi, richiede a volte uno sforzo improbo. Almeno, fin quando non sopraggiunge – come ovvia conseguenza – lo sfinimento fisiologico del corpo; il quale, in ogni caso, porta a dormire poche ore: e dunque, male.
È probabile perciò che a chi mi sta leggendo – pensando al romanzo di Proust e alla sua ‘famigerata’ mole – venga in mente qualche facile battuta sull’addormentarsi, in relazione proprio alla lunghezza dell’opera (sette volumi, per un totale di 3.724 pagine!).
Eppure, a dispetto di ciò, e come sanno molti lettori di “À la recherche du temps perdu” (questo il titolo originale), si tratta di una delle opere più belle che sian state scritte nella storia della Letteratura – non soltanto del XX secolo. A chiunque si accosti al romanzo per la prima volta, è richiesto soltanto di metter da parte i timori preconcetti, e di ‘abbandonarsi’ con confidenza alla prosa proustiana. A quella sinuosa, snodata vastità dei suoi periodi, che affonda in un’indagine dell’interiorità umana mai condotta, forse, sino a tali profondità.
Può l’Uomo, tra gli infiniti travagli della vita, tornar a sentire la gioia di un Tempo che se n’è andato – oppure esso va considerato irrimediabilmente perduto? Non si parla d’un semplice ‘ricordare’ il passato, tramite un atto volontario della nostra memoria… Si parla proprio di ritornare a percepire – con l’anima, coi sensi, con qualcosa che viene prima della ragione – gli stessi piaceri, le stesse impressioni di cui godemmo nel passato: i quali giacciono riposti in un universo segreto che tutti ci portiamo dentro, ma che è lontano dalla vita cosciente.
È possibile tutto ciò? Proust ci dice di sì. Ma in genere, all’Uomo, occorre vivere una vita intera, prima d’arrivare a capire che i piaceri più autentici hanno poco a che vedere con le decisioni ‘volontarie’ della ragione, e dell’intelligenza. Il piacere – come il Tempo passato – vive dentro di noi. Ma ci è possibile recuperarlo soltanto con un atto ‘del cuore’, ossia involontario… Non tramite la volontà.
Questo, in estrema sintesi, è uno dei grandi temi conduttori della “Recherche” (pubblicata tra il 1913 e il 1927). Naturalmente, il romanzo è immenso: un lungo evolvere di ambienti e personaggi che sarebbe arduo esaurire in poche righe. Tuttavia, per tornare al punto da cui ero partito – l’insonnia, e le angustie che da questa derivano –, quando lessi per la prima volta la grande opera di Proust mi colpì, inaspettatamente, anche un’altra sua caratteristica: l’essere in grado di spiegare ‘che cosa’ fosse il sonno. Come si genera, i suoi meccanismi e percorsi psicologici… Tutte cose che avrei potuto sperimentare anche su me stesso.
Insomma: nella “Recherche” trovavo quello che nessun manuale di yoga, o training autogeno, aveva mai saputo spiegarmi. Perlomeno, non con la stessa precisone espressiva!
Si consideri, ad esempio, il seguente passaggio, tratto dal terzo dei volumi che compongono l’opera, “La parte di Guermantes”. Qui il protagonista (e voce narrante) Marcel – il quale s’è recato dall’amico Saint-Loup nella città dove questi è in servizio come militare – si ritrova a dover dormire in albergo, in una stanza e su un letto sconosciuti: una situazione che impensierisce parecchia gente, quand’è in viaggio… Eppure, i timori di Marcel dovranno dissiparsi. Il carattere accogliente dell’alloggio non farà che favorire il suo sonno, influenzando anche il corso dei sogni (traduzione di Giovanni Raboni):

« […] Malgrado tutto, il mondo in cui si vive durante il sonno è talmente diverso, che chi fatica ad addormentarsi cerca prima di tutto d’uscire dal mondo diurno. Dopo aver rigirato disperatamente, per ore, a occhi chiusi, pensieri simili a quelli che avremmo avuto ad occhi aperti, riprendiamo coraggio se ci accorgiamo che sull’attimo precedente è gravato il peso d’un ragionamento in contraddizione formale con le leggi della logica e con l’evidenza del presente, giacché quella breve “assenza” significa che s’è schiusa la porta attraverso la quale i pensieri potranno forse sottrarsi fulmineamente alla percezione del reale, andare a far tappa più o meno lontano da esso, ciò che garantirà loro un sonno più o meno “buono”. Ma un gran passo è già fatto quando si voltano le spalle al reale […] »

Ecco il punto: « quando si voltano le spalle al reale »…
Personalmente, ricordo come già nella giovinezza faticassi, e non poco, a prender sonno la notte. E quando chiedevo a mia madre come potessi ovviare al problema, immancabilmente lei rispondeva: “Immagina cose belle”. Dimenticava però di aggiungere (non era Proust: e di ciò non gliene faccio una colpa!) che finché tali ‘cose belle’ fossero consistite in oggetti, o eventi, collegati alla realtà, difficilmente il mio cervello avrebbe potuto accedere al sonno…
Al contrario, ai pensieri dev’esser dato il ‘permesso’ di seguire le strade che meglio credono, senza forzarli. Di andare, fluttuare e congiungersi tra loro in combinazioni anche le più assurde – ma distese, liberatorie. È proprio questo che le persone con l’insonnia di solito non comprendono, finché non arriva qualcuno a farglielo notare. « Chiudi gli occhi e pensa dei pensieri confusi », scriverà – anni dopo Proust, ma sempre riguardo al sonno – David Foster Wallace nel romanzo “Infinite Jest”.
Quanto a me, queste cose iniziai a capirle proprio grazie alla lettura della “Recherche” – ovviamente, in età già adulta. E alcune pagine come quella che ho citato sopra, decisi di seguirle come un consiglio. Insomma… di sperimentarle.
Imparai così a sentirmi più ‘al sicuro’ nella perdita temporanea di me stesso (ciò che spaventa ogni vero insonne). E cominciai, a poco a poco, a constatare che mi addormentavo in sempre meno tempo.
Il ‘metodo Proust’ stava funzionando!
Tutto ciò mi permetteva, tra l’altro, di godere delle gioie di un risveglio nuovo – non più faticoso, o frastornato… Un appagante riemergere, per così dire, da fondali perduti.

« […] C’è stata una vera e propria morte, come quando il cuore ha cessato di battere […]. La resurrezione del risveglio – dopo quel benefico accesso d’alienazione mentale che è il sonno – deve assomigliare, in fondo, a ciò che accade quando si recupera un nome, un verso, un motivo dimenticati. E, forse, alla resurrezione dell’anima dopo la morte si può pensare come a un fenomeno di memoria. »

Così scriveva il grande francese – vero principe dell’ipotassi introspettiva – sempre nel terzo volume della sua “Recherche”.
Perciò, sulla scia di quel che abbiamo letto, se tra voi qualcuno ha a che fare con le angosce dell’insonnia, mi permetto di suggerirgli di lasciar libera la propria mente. Di farla vagare, sperimentare, come un gatto che s’aggiri in un giardino – senza timore che possa succedere chissà che cosa. Chi non dorme, alla fin fine, è solo qualcuno che ha paura.
Provateci, ve lo consiglio. Il mondo, anche qualora v’assentiate un po’, saprà andare avanti. (E voi senza di lui).

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