Vergogna, libertà, democrazia
Se l’umanità può vantare un fallimento primario, questo non può che essere la guerra. Un primario senso di difesa che esalta l’offesa dell’individuo. Una posizione di forza che tende ad imporre uno stato di supremazia individuale o sociale. Un’ipotesi di sicurezza sociale che mette a nudo la debolezza del dialogo umano. La società non è basata sul pacifismo e la non violenza. Questi sostantivi sono l’essenza di un idealismo, attualmente, inapplicabile all’indole umana. Resta, certamente, la forza di proporli e radicarli nella società intera, grandi uomini hanno pagato con la vita l’applicazione della “non violenza”. È l’ipocrisia che ci induce all’accettazione dei fatti, di una realtà cruda che non lascia spazi al dialogo e all’autodeterminazione degli individui.
Queste condizioni ci inducono a giustificare gli errori commessi nel passato per garantire o difendere i nostri interessi, economici e sociali, legati a beni di consumo ed energetico. Dimentichiamo continuamente il termine di “autodeterminazione dei popoli”. Questa condizione non è legata solo ad eventi esterni alla società che intervengono per imporre i propri indirizzi, o quantomeno per collocare politiche favorevoli ad altre necessità. L’autodeterminazione è l’evento democratico che una società sviluppa nel suo interno, riconoscendo, liberamente, una classe dirigenziale o chiedendone la sostituzione per un ricambio politico o generazionale. Il nuovo millennio ci sta presentando il conto del colonialismo, ovvero dello sfruttamento di nazioni e continenti a nostro uso e consumo. Di post colonialismo, che ci ha visto protagonisti di insediamenti dittatoriali strumentali alle nostre esigenze. Di non esserci accorti che le nuove generazioni hanno un loro pensiero di società e gestione del territorio.
Sarebbe opportuno non dimenticare che da Saddam ai Talebani, dallo Zimbabwe di Mugabe alla Birmania, da guerre e dittature dimenticate nei vari continenti, la nostra democrazia è sinonimo di interesse energetico o commerciale. Un’onda anomala si è sviluppata in nord Africa. Le nuove generazioni, vuoi per i nuovi sistemi di comunicazione o vuoi per l’indole dei giovani, hanno rivolto la propria energia per chiedere nuovi spazi e libertà di decisione dinanzi a forme dittatoriali più che trentennali. Su questi venti di richiesta si sono sviluppate due condizioni: la prima che porta Tunisia ed Egitto all’autodeterminazione sociale dopo le resistenze del potere; le seconde come Iran e Libia con repressioni militari violente a seguito delle richieste dei cittadini. Una terza situazione di resistenza del potere, per ora limitata, si riscontra nel Bahrein e nello Yemen.
La Libia, alle porte di casa, è il nostro riferimento leader nel commercio energetico e in molti interessi industriali. Questa condizione ci ha indotto a una sudditanza psicologica per lo sfruttamento delle risorse, sino a ridicoli baciamani. La Libia possiede nel sottosuolo la più grande riserva mondiale di petrolio. Questo ha fatto sì che, amichevolmente e con patti bilaterali, si sia barattato lo scambio commerciale con i diritti umani; si è corsi in prima fila per spartirsi il cambiamento, per impadronirsi della fonte energetica.
Chi, senza ipocrisia, ha condannato Gheddafi per la violazione dell’autodeterminazione di un popolo perpetrata per 40 anni, rinunciando alle agevolazioni energetiche? Chi è in grado di definire se le barbarie di Gheddafi sono maggiori di una guerra non dichiarata? Senza ipocrisie, chi ha soluzioni da porre su una bilancia che compensi tutti i costi energetici di cui beneficiamo giornalmente? La mia indole pacifista si scontra con una realtà dove non trovo risposta.
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