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Venti settembre 1870, la fine di un mondo

Venti settembre 1870, la fine di un mondo
Ottobre 08
09:18 2012

Rinaldo Caressa - Roma, Acquedotto FelicePrima di questa data e andando indietro nel tempo Roma si presentava al mondo quale isola chiusa e protetta dalle sue alte Mura, splendente nelle sue antichità e nei superbi palazzi e ville e nelle sue magnifiche chiese, letteralmente uniche al mondo in tale quantità e in tale eccellenza. Gli abitanti, senza troppe preoccupazioni e assilli, stando a Pinelli padre e figlio, trascorrevano la loro esistenza, quando liberi da processioni e celebrazioni e da qualche impegno di lavoro, quasi sempre assistendo a spettacoli all’aperto di marionette, saltimbanchi, ecc.,

o in saltarelli e balletti o nel gioco delle bocce e delle carte e della morra, all’osteria; abitavano la parte di Roma compresa nell’ansa del Tevere, non andando di regola al di là dunque dei famosi sette colli: basti dire che San Giovanni in Laterano era fuori dal centro abitato e lo stesso il Colosseo. Cioè i tre quarti dei 1500 ettari circa che costituivano il territorio entro le Mura, ovvero quasi tutta la città, era infatti occupato dalle grandi Ville dei signori e dai vigneti e campi agricoli e dalle vestigia archeologiche. Ville di cui cogliamo un embrione della loro magnificenza unica al mondo dai quadri degli artisti che le hanno ritratte: Villa Ludovisi, Villa Negroni, Villa Altieri, Villa Giustiniani, Villa Casali, senza contare quelle a ridosso delle Mura Villa Ada, Villa Borghese, Villa Pamphili, per citare a memoria. Subito dopo le Mura, in certi tratti, per non più di cinque/sette chilometri vi era il cosiddetto ‘fuori porta’ dei Romani: vigneti, campi, osterie, ville dei nobili e degli arricchiti. Al di là si distendeva un territorio malsano e infestato dalla malaria. I due fiumi, il Tevere e l’Aniene, all’epoca spumeggianti e fragorosi, attraversavano l’uno dal Nord e l’altro dai Simbruini questo territorio miracolosamente intatto. Quando arrivava l’afa estiva e il ponentino non soffiava, tutti al fresco dei Castelli dove pure si levavano ville favolose: Villa Aldobrandini, Villa Falconieri, Mondragone, la Rufinella, Castel Gandolfo… Tutto scorreva tranquillo, sotto il controllo oculato e manageriale ma allo stesso tempo rigoroso e intransigente eppur comprensivo del papato: una dominazione, di ciò si trattava, di quindici secoli, che aveva affinato le sue armi e, diremmo oggi, la sua governance: era un governo illuminato, considerato e rispettato da tutti gli Stati europei: era un unicum, intelligente, vivo, disponibile, aperto a tutti purché nel rispetto incondizionato delle alte finalità della Chiesa. È vero, i reietti e gli ostinati e i contestatori spesso venivano ammazzati, certe ideologie e teorie tenute lontane e combattute ferocemente, ma ciò faceva parte del sistema: la teocrazia non ama il dissenso. Ma questa era l’eccezione: la regola era la felicità e il benessere per tutti. Roma Felix. Allo stesso tempo erano presenti numerose case di piacere, per tutti i gusti e inclinazioni sessuali: anche le poetesse americane, le pittrici, le attrici che si dilettavano a seguire gli insegnamenti e le dottrine di Saffo erano particolarmente a loro agio in questa autentica isola di Lesbo che era per loro Roma. Tutto l’anno, da secoli meta non solo dei pellegrini – i portatori di soldi – ma della diplomazia, dell’aristocrazia, dei grandi finanzieri europei, dei monarchi e sovrani, degli scrittori e dei viaggiatori. Gli artisti poi, almeno dal ‘400, ne avevano fatto la loro scuola e la loro fonte di insegnamento: in ogni periodo dell’anno ne erano presenti almeno cinquecento letteralmente di tutta Europa e non pochi, ammaliati dall’incanto circostante, vi rimasero fino alla morte. Qui la risorsa economica da sempre era il turismo e i pellegrinaggi; oggi diremmo: turismo religioso. Tutto veniva intrapreso dalle autorità di Roma per tenere sempre desta l’esigenza del viaggio a Roma: si immagini che cosa poteva succedere nei giubilei. Era quindi un flusso continuo di umanità che il più delle volte a piedi, dopo viaggi estenuanti e talvolta mortali, che duravano mesi provenendo da ogni parte d’Europa, arrivavano a Roma, attraverso la Via Flaminia, vero cordone ombelicale della Citta Eterna con il Nord. È il ricordo di queste realtà che ci fa comprendere il significato profondo dell’appellativo: Città Eterna. E quindi poeti, scrittori e artisti quando arrivavano a Roma si rendevano conto di questo nuovo mondo e non pochi chiaramente scrivevano che fino ad allora non avevano in realtà mai vissuto. Era l’Arcadia, l’Eden sulla terra! E non sono le inevitabili critiche contrarie (il ghetto dei poveri ebrei, la quantità enorme di trovatelli e di N.N. ecc.) che possono cancellare tale valore unico. Roma era veramente la Città Eterna, Caput Mundi, era la sola che si era conservata e mantenuta e ampliata nel corso di almeno quindici secoli sempre la stessa, pur avendo subito anche essa violenza e prepotenze inaudite. Ma è stata come la fenice. E invece vi è stata una contingenza della storia degli uomini, in realtà degli italiani, che ha ferocemente e proditoriamente spezzato questa esistenza e annientato e distrutto questo paradiso unico al mondo, tra l’altro un giacimento inesauribile di richiamo e di attrazione, una contingenza che ha avuto come risultato la più grande tragedia che possa aver colpito l’umanità. In effetti, tutta l’umanità non può far riferimento a una calamità delle proporzioni e degli esiti che hanno colpito e annientato Roma antica. Nessuna società ha potuto vantare nel proprio suolo un eden amato e seguito per almeno quindici secoli quale è stato Roma! Nessuna. In altre parole l’umanità è stata privata, con violenza e ferocia, del suo gioiello più prezioso e unico: Roma papale e antica. Ci riferiamo al 20 settembre 1870 e a quello che avvenne dopo. Qui ci arrestiamo, per non incorrere nel rischio di urtare certe sincere o false suscettibilità, accendere polemiche e soprattutto dar la stura a concetti e teoremi della storia che vengono propinati agli italiani dove si mette sotto il faro dell’eroismo e della solidarietà e della cosiddetta indipendenza nazionale, quello che è stato invece un episodio della massima violenza e ferocia e appropriazione e spodestamento e poi, per sadismo, di annientamento e di cancellazione. Non menzioniamo la vigliaccheria e l’opportunismo iniziali. Quella che oggi si chiama Roma è un simulacro della Roma antica. Nulla o quasi ha della Roma papale. Il suo nome esatto è: quarto o quinto mondo. Preda delle orde fameliche dei cementieri savoiardi che l’hanno trasfigurata e deturpata, di quelle mussoliniane, ma soprattutto e principalmente delle orde cementiere democristiane, che imperversano indisturbate fino ad oggi, che l’hanno sfigurata e mutilata e alienata. Il colmo di tale immane disgrazia, equivalente a un secondo suicidio, è stata la recente trapanazione e perforazione del sacro suolo della città per farne la metropolitana: perché la metropolitana la possiede Parigi, Londra. Beirut, Tunisi, Cairo, Calcutta, ecc. Sciagurati e scellerati personaggi, di cui la storia farà scempio e sberleffo.

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