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Venere Lavinia 2020, XXXII Edizione

Settembre 21
15:21 2020

Il primo premio di poesia 2020 “Venere Lavinia”, che si svolge a Tor san Lorenzo – Ardea, ed è alla sua 32 esima edizione, è stato vinto dalla veliterna Stefania Andreocci, con la lirica “Or che sciabordio rugge in cor“. Il premio, fondato da nostro concittadino professor Giorgio Marlin, prematuramente scomparso, ha come tematica fondamentale il mare, con varianti che cambiano di anno in anno. “Il lavoro del mare e l’amore” era il tema da sviluppare per questa 32 esima edizione svoltasi il 12 settembre 2020 nell’ambito di una serata piena di eventi per i partecipanti, e che, come negli anni passati, ha avuto luogo presso lo stabilimento balneare “Roma”, dei signori Cavola. Molti sono stati i poeti che hanno partecipato al concorso poetico ed ognuno di loro ha presentato liriche di ottimo livello, come si può vedere su face book, nel profilo del premio Venere Lavinia, dove i testi delle liriche sono splendidamente corredati da belle immagini, attinenti al contesto delle parole delle liriche. Al premio “Venere Lavinia” hanno partecipato poeti veliterni e larianesi, che si sono distinti in graduatoria e ben classificati tra i primi dieci finalisti: Christian Ronchetti, Lariano, vice presidente dell’associazione culturale “La Vigna dei Poeti”, Gianna Braghini e Leila Spallotta, Velletri, socie della Vigna dei poeti e Marisa Monteferri, diploma con menzione speciale alla premiazione e presidente dell’associazione culturale veliterna, di cui si è già accennato. L’appuntamento con il “Venere Lavinia” e la poesia sul mare è per il prossimo anno.


Motivazione Premio Poesia “Venere Lavinia” 2020

La poesia offre ab origine una cifra stilistica squisitamente musicale, si apre già nel titolo, attraverso l’allitterazione dominante – una ricerca di ricordanze foniche sublimi – “Or che sciabordio rugge in cor…”: si può ascoltare la forza delle “erre” che risuonano come nella mirabile conclusione di “Alla Sera” del Foscolo, laddove il poeta militante esprimeva tutta la sua potenza personale – ed insieme universale – inquietudine: “e mentre io guardo la tua pace dorme quello spirto guerrier ch’entro mi rugge”. Qui l’autore di “Or che sciabordio rugge in cor” vuole abitare, in forza di una precisa e solerte cura per la scelta lessicale e l’esercizio di un fermo controllo, un “nuovo estetismo”, che risulta più vicino all’esplosivo e lussureggiante verso dannunziano. Il linguaggio è aulico, raffinato, basti intendere un passaggio, tra i molti, di luminosa forza evocatrice: “Col vespro incedere, ebbrezza è di sensi”, il quale rivela lo spirito dell’opera, potremmo dire wealtnschauung poetica, protesa a dire, più che a rappresentare fotograficamente, ossia ad offrire nel verso un punto di vista d’armonia significante, come dono – luce, suono, immagine, risultano quali epifania simboliche, sia nella bellezza delle singole parole e sia nell’efficacia del loro raccordarsi al ritmo interno della strofa e poi nella speciale coesione tra le diverse stanze e il tutto del componimento. Sono elementi di pregio, i quali, non rinunciando alla fluidità, promuovono una risonanza particolare e forse inattuale rispetto al livello del comune particolareggiare. È questo il segno di una necessità del poeta: ergersi dalle macerie del quotidiano, per ritornare ad un prezioso lirismo che schiude la bellezza antica.


Ecco la poesia di Stefania Andreocci, vincitrice del premio Venere Lavinia, 32a edizione.

“Or che sciabordio rugge in cor”

Falesie d’animo, quelle granitiche rocce
Scolpite da irose onde, algido maestrale
E con iridate venature, van digradando,
come vita, in cale d’alabastra cipria,
mitigata da spumose acque cristalline
ove s’appresta notturna ombra, e la mia.

Col vespro incedere, ebbrezza è di sensi,
tra folti cespi rosa d’ortensie ed oleandri
nell’orizzonte vagar di mirto che ristora.
Sulla riva, la mia solitudine d’orme scalze
Sradica conchiglie incastonate nelle vene,
bramosa d’usciolare il canto della risacca.

S’accorda l’animo sulla soglia della vita,
carezza orizzonte d’arabescata ametista
e vascelli di ricordi sino al calar di china
m’accolgono miti flutti trapunti di faville,
rorido abbraccio e dolci baci di salsedine.

Il vuoto vivere s’empie del canto di sirene
L’acqua salmastra sana dolenti piaghe
E annega il carpito declino del mio tempo.
Mare, giaciglio d’animo,, in te rinasco:
sei d’amore nelle vene, sei pace nel cuore,
sei riso negli occhi, sei forza nel pensiero.

Stefania Andreocci


Lirica di Marisa Monteferri, finalista con menzione speciale al premio Venere Lavinia 2020

Alta marea

A spaglio, dita lunari
trascinano mari irruenti
su sabbie e irte scogliere:
nelle scie salate dal tempo
riversano creature marine.      

Capelveneri di solitudini
videro il mondo scoperto
steso sulla terra, lontano
da fondali di roccia fusa.   
 
Ti corro incontro
pazza d’amore
nel flusso di luce
caduta dagli astri.

Arcipelaghi di balsami
spinano a crudo
notturni di sale e brezza.

Sulle tue labbra
baci di pane e fuoco
si fondono coi miei.

Marisa Monteferri


La poesia di Gianna Braghini, in concorso ma non finalista.

Sale di vita

Nella rete invecchiata
rammendata da anni,
dalla mano incallita
del pescatore,
si trama ogni tempo.
Tra timori di fame
e gocce di sale
si nutre la ruga
della gente di mare:
linfa e sostegno,
spronano la barca
a remare lontano
senza carpire l’onda.
L’alba è vicina
si benedice il giorno fruttuoso,
tra sospiri di sollievo
della famiglia
per ansie passate.
Luce e amore
riverso nell’ avvenire di un figlio,
vivere e far vivere ,
battito di ali
nell’infinito gioco della vita.

Gianna Braghini


Leila Spallotta, in gara ma non finalista.

Cristalli di sale

Hai scavato bianche montagne
dove il sole cocente irradiava
il suo bianco candore.
Il paesaggio si confonde
con l’azzurro che scivola dolcemente
verso il mare dalla prima giovinezza:
hai calpestato cristalli, levigato
con gesti antichi quello che il mare
ci lascia in dono. La salina il tuo duro lavoro
dove il continuo scorrere del tempo ha scolpito
il tuo volto da rughe di riflessi marini.

Ti aspetto come dal primo giorno,
in questo rifugio protetto
ogni volta che varchi la soglia di casa.
le tue mani ruvide accarezzano ancora
il mio volto increspato dal tempo.
nei tuoi occhi il riflesso orgoglioso
di un uomo che convive
con il profumo del mare.

Leila Spallotta


Ai bordi della strada

Avvolte le ancore di un porto
Da sodio catrame e turismo
Zucchero filato e nicotina
Le ignude pelli ammantate
Da inondazioni di sodio e silicio
E lì nel’attesa, su un marciapiede
Un rossetto mal messo,
ai bordi della strada
rivendica uno sdrucito cartone di vino,
un luogo dolce dove riposare
con amore nell’amore
e la natura non dimentica i sospiri
del suo linguaggio, incroci di sguardi amici
innocenti, depravati ricordi
di soglie, non più esplorate
una ruga, curva del mio tempo, curva
della decadenza umana, carezzo,
impasto di sabbia e piombo argentato
riflettono sfumature, di verde e di azzurro oceano
scruto, contemplo, dimentico,
e parcheggio la mia estensione
di estetico metallo,
vicino a una folta aiuola di canine
rose e narcisi delle onde,
origine di rocciosa dimora, origine della vita.

Christian Ronchetti

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