Velletri2030 News – FINE SPAZZATOUR
Plastica, senza la “discarica” cinese Europa al collasso. Lo stop di Pechino all’acquisto degli scarti dell’Europa ha messo in crisi lo spazzatour dei Paesi economicamente più ricchi verso i Paesi più poveri..
A un anno dal blocco cinese sull’importazione dei rifiuti, l’Occidente rischia di trovarsi sommerso da un mare di plastica e, anche in Italia, iniziano ad accumularsi rifiuti in plastica che in Oriente non vogliono più ricevere. La Repubblica Popolare Cinese ha smesso di comprare la spazzatura altrui, compresa quella degli europei, alla fine del 2018. Il bando all’importazione di rifiuti introdotto dalla Cina nel 2018 ha riguardato anche i rifiuti plastici. Una decisione che ha finito con penalizzare l’Europa, che nel 2016 e nel 2017, prima cioè dello stop di Pechino, ha inviato al Paese asiatico il 42% di tutti gli scarti plastici spediti fuori dall’UE. Thailandia e Vietnam si sono fatte “pagare” la disponibilità a sostituirsi alla Cina, imponendo di fatto restrizioni alle esportazioni degli scarti di plastica internazionale. Tutti i dati sono deducibili dal Rapporto Greenpeace “Le rotte globali e italiane dei rifiuti in plastica“, scaricabile da:
Lo “Spazzatour” era, è, e rimane una pratica che piace tanto alla Comunità praticante la filosofia NIMBY (Not In My Back Yard), che praticamente significa “fate quello che volete con la mia spazzatura basta che io non la vedo”.
E adesso che lo SPAZZATOUR diventa più difficile, che ne facciamo dei rifiuti?
La Direttiva approvata dal Parlamento Europeo sulla plastica monouso getta le basi per grossi cambiamenti nella progettazione, imballaggio e utilizzo dei beni di consumo, introducendo, a partire dal 2021, divieti su molti oggetti di plastica usa e getta e concetti come la responsabilità estesa del produttore su molti altri. Riusciranno gli Stati membri a recepire correttamente la Direttiva e anzi a cogliere l’occasione per andare oltre il “plastic free” e introdurre misure per il riuso, la riduzione a monte dei rifiuti, il superamento dell’usa e getta? L’Europa con questa Direttiva ha fornito una prima risposta importante che mancava per affrontare un’emergenza mondiale come l’inquinamento da plastica che, soprattutto negli ambienti marini e acquatici in genere ha assunto dimensioni allarmanti. Questa Direttiva potrebbe diventare un’importante opportunità per ripensare il modello lineare che caratterizza la gestione degli imballaggi – non solo in plastica – introducendo azioni di prevenzione e riuso che sono indispensabili per alleggerire il carico che i prodotti usa e getta hanno sull’ambiente, riducendo al contempo le emissioni climalteranti che sono associate a tutti i processi produttivi, a prescindere dai materiali. E in Italia? Due anni ci bastano? Siamo pronti a diventare “responsabilmente plastic free“? A Velletri il Consiglio ha approvato all’unanimità una mozione che impegna il Sindaco e la Giunta ad intraprendere un percorso che porti alla rimozione di tutta la plastica monouso dagli edifici comunali e pertinenti.
Il “Rapporto sul Recupero Energetico da rifiuti in Italia” realizzato da UTILITALIA – Federazione delle imprese ambientali, energetiche e idriche, in collaborazione con l’Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale (ISPRA), presentato a Roma lo scorso 10 Aprile, ci da qualche suggerimento sul come trasformare i rifiuti in risorsa. E’ uno studio mirato ad acquisire e analizzare i dati degli impianti di digestione anaerobica e di incenerimento con recupero di energia dei rifiuti in Italia. Tali impianti fanno parte del sistema di gestione integrata dei rifiuti così come delineato anche dalle direttive europee per l’attuazione di un modello di economia circolare e, con particolare riferimento a quelli di trattamento termico, fondamentali per il recupero delle frazioni non riciclabili e finalizzati alla minimizzazione del ricorso allo smaltimento in discarica. Trasformare rifiuti in risorse ed energia significa anzitutto creare un sistema d’infrastrutture che ne permettano recupero, conversione, stoccaggio e messa in circolazione, ma servono anche organi di controllo trasparenti, un mercato di utilizzatori finali incentivati a scegliere prodotti ecologici nonché una comunicazione corretta ed equilibrata sul tema.
Secondo il Rapporto UTILITALIA – ISPRA, aumentare la capacità di trattamento degli impianti è fondamentale per chiudere il ciclo dei rifiuti, perché la raccolta differenziata produce scarti che vanno comunque smaltiti nella maniera ambientalmente più corretta e perché il recupero energetico evita lo smaltimento in discarica. Il rifiuto organico, con 6,6 milioni di tonnellate raccolte, rappresenta il 41,2% della raccolta differenziata. L’Unione Europea impone di scendere entro il 2035 sotto al 10% della spazzatura in discarica, mentre oggi in Italia siamo al 23%. Serve una strategia nazionale per definire i fabbisogni che operi un riequilibrio a livello territoriale in modo da limitare il trasporto fra diverse regioni e le esportazioni (spazzatour), abbattendo le emissioni di CO2 degli autocompattatori che vediamo correre giornalmente su e giù per l’Italia.
L’argomento è molto complesso e meriterebbe un dibattito continuo sulle misure da adottare. Secondo un recente articolo pubblicato dal quotidiano digitale Affaritaliani.it sabato 11 Maggio, gli impianti di trattamento meccanico biologico (TMB) in Italia si limitano a praticare una selezione sommaria e grossolana funzionale all’incenerimento o alla discarica mentre nei Paesi nord-europei, Germania in testa, sono implementati per selezionare al massimo le componenti del rifiuto indifferenziato. Sarebbe sufficiente separare ulteriormente la frazione organica del sottovaglio dalla frazione secca per consentire il recupero di entrambe. L’organico è destinato alla digestione anaerobica e la frazione secca è recuperabile con le tecnologie che trattano le plastiche miste di scarto. Per quanto riguarda la plastica, i processi di rigenerazione consentono un’immissione nell’ambiente di circa un decimo di CO2 rispetto ai processi complessivi di produzione dei polimeri vergini.
Sono tutte soluzioni che meritano attenzione e andrebbero analizzate scientificamente nel rispetto di tutti i gruppi sociali.
Sul sito web del Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l’analisi dell’Economia Agraria (CREA), in occasione della riunione del Progetto Europeo DIVERFARMING dello scorso 9 Maggio a Piacenza, si legge “Quali sono le migliori strategie di diversificazione colturale in risposta ai cambiamenti climatici? E quali le innovazioni nella gestione agronomica in un contesto ambientale alterato dal clima? Di questo si è discusso oggi in occasione del primo Regional Meeting del progetto DIVERFARMING, che si è svolto presso l’azienda Ferrari, uno dei casi studio dove vengono testate la rotazione delle colture leguminosa – frumento duro – pomodoro e la fertilizzazione mediante digestato anaerobico (un fertilizzante naturale derivante dalla produzione di biogas). Si tratta di tecniche impiegate per aumentare il sequestro del carbonio nel suolo, migliorandone in questo modo la fertilità e la biodiversità microbica, nonché per ridurre l’emissione dei gas serra“.
Tutto si lega. Il tutto va affrontato con un approccio Sistemico. Non basta la capacità di rispondere di volta in volta ad uno specifico problema noto, perchè mentre ne affrontiamo uno ne stiamo producendo simultaneamente altri ancora ignoti.
Che facciamo? Vogliamo cominciare a dibatterne seriamente oppure facciamo finta di non sapere.
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