Velletri, l’America repulsiva dei ciociari
Lo scrittore Tommaso Landolfi (1908-1979) è più odiato che amato dai suoi ciociari. Anzi, si potrebbe dire che gli attuali abitanti della provincia di Frosinone (e oltre, con referenze culturali ed etniche nelle province di Roma e Latina, e nelle regioni Abruzzo, Campania e Molise) lo detestino. Il motivo è limpido: nei suoi scritti non ha mai trattato bene i ciociari, prendendoli spesso e volentieri a pesci in faccia. Sì, Sua Signoria, di sangue blu con antenati probabilmente longobardi ed essendo nativo di Pico Farnese (con tanto di castello da tramandare), si sentiva appartenente alla cultura campana: ma tale scusante non regge.
Mancava di rispetto sistematicamente, sdegnosamente e per partito preso, talvolta riportando testi di poesie in dialetto e modi di dire per puro dileggio. Quindi le ritorsioni degli indispettiti ciociari ci possono stare, eccome. Prendendo come esempio gli abitanti di Velletri, questo atteggiamento “alla Landolfi” nei confronti dei ciociari ha radici che affondano in almeno due secoli fa e, purtroppo, è vivo e vegeto: dover ammettere di avere sangue ciociaro mette ancora a disagio. Perché?
Una prima risposta si potrebbe reperire nell’assenza di conoscenze almeno sommarie dei “razzisti” nei confronti della ricchissima storia e cultura della Ciociaria: si può essere quasi certi che ignorino che Marco Tullio Cicerone fosse nativo di Arpino e che altrettanto ciociari siano stati scrittori come Libero de Libero, oltre al già “sezionato” Landolfi, e cineasti come i fratelli Bragaglia, Vittorio De Sica e Marcello Mastroianni. E il possente e pullulante Medioevo ciociaro, denso di condottieri, prelati e culminato nella personalità di Bonifacio VIII, nativo di Anagni e ideatore del primo Giubileo nell’anno 1300, anche se plagiando la Perdonanza del suo sfortunato predecessore Celestino V.
Considerando i luoghi, la geografia, le città, in un assetto idrogeologico e con scenari naturali ancora in buona parte selvaggi e incontaminati, non si possono tralasciare i costumi tipici e l’oreficeria, con peculiarità eleganti che variano da un comune all’altro e che artisti di mezzo mondo hanno immortalato in dipinti conservati in musei prestigiosi. Ne sa qualcosa lo studioso e collezionista Michele Santulli, arroccato nella sua Arpino a combattere la sua sacrosanta guerra – a suon di articoli sul web, mostre e pubblicazioni – per la giusta valorizzazione del patrimonio culturale ciociaro. E come lui tanti altri, che in altre sedi si danno un gran daffare per scoprire o riscoprire quel ricchissimo bacino culturale.
Il calciatore africano Eto’o, intervistato pochi anni orsono da Bonolis e punzecchiato sul problema del razzismo, rispose sapientemente: «È un problema di quella gente che ha viaggiato troppo poco». Ecco, la sua risposta è perfetta per inoltrarla a tutti i velletrani ancora repellenti nei confronti del sangue ciociaro che, volenti o nolenti, scorre nelle loro vene; velletrani che usano ancora il pronome personale composto “noialtri”, in dialetto “noiàtri”. Un lessema che indica sì un senso di identità collettiva (noi) ma, allo stesso tempo, un essere “altri” che fa venire in mente il concetto pirandelliano di Uno, Nessuno, Centomila: forse è proprio questa un’interessante chiave di lettura dalla quale partire, per analizzare il concetto nostrano e anticiociaro di razzismo.
Una risposta iconografica, per concludere, potrebbe fornirla il ritratto di donna di Velletri dipinto nel 1826 da Guillaume Bodinier e conservato nel Musée des Beaux-Arts di Angers. Il costume, l’acconciatura e soprattutto gli orecchini sono un evidente retaggio della snobbatissima ma vicinissima Ciociaria.
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