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Vecchi e nuovi campi di concentramento in Libia

Vecchi e nuovi campi di concentramento in Libia
Maggio 05
09:20 2016

Nel 1848, ci furono in Europa delle rivoluzioni causate dalle generali aspirazioni dei popoli all’indipendenza, alla libertà, alla richiesta di carte costituzionali che limitassero e regolamentassero la gestione dei poteri degli stati, oltre, naturalmente, a favorire condizioni economiche  più accettabili per la gente.

Quelle rivoluzioni sono state paragonate, recentemente, alla Primavera araba.

Come sappiamo, il cammino per i diritti del cittadino (e non del suddito) e dell’individuo é stato molto lungo. In particolare, l’Italia, nell’Ottocento, era divisa ancora in numerosi staterelli tra cui prevalevano domini e interessi di potenze straniere. Per liberarsi dagli stranieri, l’Italia aveva bisogno di un aiuto forte. Camillo Benso, conte di Cavour, seppe inserirsi in una situazione europea di conflitto tra potenze liberali (Gran Bretagna, Francia) e potenze assolutiste e conservatrici (Austria). Ovviamente, dovette cedere qualcosa (Nizza e la Savoia) a Napoleone III che aveva aiutato il Regno di Sardegna nella II Guerra d’indipendenza (Napoleone sperava anche di sostituire l’influenza austriaca in Italia con quella francese, ma fu deluso).

Internati nel campo di concentramento italiano di El Agheila

Internati nel campo di concentramento italiano di El Agheila

Dunque, la nostra storia ci ha ampiamente dimostrato (ma anche la conoscenza dell’animo umano e della politica) che nessun capo di stato mette a disposizione denaro (le guerre costano molto), truppe (i soldati muoiono e bisogna giustificare le perdite all’opinione pubblica), in cambio di nulla. Le fantasiose scuse di esportare la democrazia (o la pace, la vera religione, la civiltà, la cultura ecc.) non sono mai realistiche perché troppo gravose per chi dovrebbe esportare per pura bontà d’animo (!) e inaccettabili per i popoli presunti “beneficiati”, in quanto imposizioni straniere.

Ancora oggi, ci può essere solo un modo per raggiungere progresso, pace, diritti, giustizia, benessere: conquistarseli da sé. Eventualmente, con aiuti di altri richiesti dal popolo che deve progredire e per i quali pagare un prezzo chiaramente indicato prima.

L’Europa (o i pochi paesi che credono di essere l’Europa) alla smodata ricerca -come da sempre ma in particolare dai tempi di Colombo – di risorse da divorare, lasciando gli altri popoli nella sofferenza, non ha per nulla capito che, ormai, con le informazioni globali, non si può più fare il bello e il cattivo tempo.

Ancora, quando si parla di intervenire in Libia, lo si fa soprattutto per sfruttarne le risorse e perché si potranno organizzare dei campi di concentramento per gli sventurati che fuggono da guerre, malattie, terrorismo, fame.

Non vedo assolutamente un progetto globale che ci porti, seppure lentamente, a una diversa visione del mondo dove, innanzitutto, smettere di vendere le armi che, lo capirebbe anche un bimbetto della scuola materna, vengono poi impiegate nelle guerre. Aiutare lo sviluppo “a casa loro”, come si dice, sarebbe un’ottima cosa, tanto per incominciare, magari senza rubare o lucrare su quegli aiuti, come in uso.

Con tanti paesi che bruciano di guerra e distruzione, non fare nulla di propositivo e pretendere di fermare l’emigrazione verso il mondo dei più fortunati è, come ha detto qualcuno, cercare di tappare un grande rubinetto aperto con uno straccetto. Sono masse che si muovono, non hanno nulla da perdere, non temono di morire perché tanto morirebbero comunque.

Quanto all’Italia, infine, quando pensa di intervenire in Libia, deve anche avere a mente lo sterminio e il trasferimento di intere popolazioni da noi compiuto in epoca fascista (decine di migliaia di morti), con più di centomila persone imprigionate nei campi di concentramento per far posto ai coltivatori italiani, e tante altre mostruose crudeltà di cui nessuno parla[1]. Possiamo dire che in Libia non abbiamo proprio un buon nome?

In primo luogo, però, se non vogliamo lasciare una completa devastazione a figli e nipoti, dobbiamo iniziare a metabolizzare che i principali paesi occidentali non sono più i padroni del globo.

Forse, è il momento di inaugurare la “democrazia” dei paesi della terra, dove contano gli interessi di tutti e non dei soliti prepotenti.

[1] NON DESIDERARE LA TERRA D’ALTRI La colonizzazione italiana in Libia Federico Cresti, Carocci, 2011, pagg. 418, euro 26,25

 

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