Van Morrison e la “Gloria” del blues
Nel 1960, nel Regno Unito, s’infatuarono del blues. I musicisti inglesi lo considerarono meraviglioso e vi diedero molto spazio. In America – che del blues era la patria – paradossalmente questa musica non veniva quasi neppure considerata, un po’ perché ci si era abituati ad “averla in casa” ma, soprattutto, perché era vista come una musica di secondo piano, essendo nata dalla creatività della gente di colore. Gli inglesi invece esaltarono il blues a tal punto che lo resero mitico, leggendario. Ne furono talmente affascinati da considerarlo come l’unica vera musica, capace di contenere tutti i valori più importanti e profondi della vita, soprattutto perché cantava di quegli aneliti di libertà dalle sottomissioni che, proprio negli anni ‘60, colpirono l’immaginario della working class britannica, che – anche se indirettamente – poté identificarsi con quegli ideali: le storie narrate dal blues, infatti, ricordavano in qualche modo la condizione difficile degli operai sfruttati e malpagati del Paese. Il resto, lo fece il fascino irresistibile di questa musica d’oltre oceano che aveva travolto anche i Rolling Stones. Per queste ragioni, tutti i musicisti inglesi, in quegli anni, attinsero completamente al blues che diventò così un linguaggio acquisito ma fondamentale per la propria espressione musicale. L’irlandese Van Morrison, in quel periodo, fu completamente innamorato del genere afroamericano. E infatti, nel 1964, incise la sua notissima Gloria in coppia col bluesman John Lee Hooker, accompagnato dai Them, il suo gruppo di supporto. La canzone è il lato B del singolo Baby Please Don’t Go, e fa parte dell’album The Angry Young Them, che Van Morrison registrò nello stesso anno. La canzone riprende un tema fondamentale del repertorio blues: le donne e il loro ruolo preminente nella vita di un uomo. Frutto di un silenzioso matriarcato dalle origini molto antiche, antropologicamente, il ruolo della donna nel blues si è legato anche ad una particolare circostanza storica che vide le donne di colore più emancipate ed avvantaggiate rispetto ai maschi. Esse infatti ebbero maggiori possibilità di inserirsi nella società, poiché riuscivano a trovare lavoro più facilmente degli uomini, essendo solitamente assunte come domestiche o bambinaie. Gli uomini, per contro, espressero il loro senso di inferiorità e di rivalsa, soprattutto nei confronti dei maschi bianchi, sotto forma di vanteria sessuale, esprimendosi attraverso le molte metafore tipiche della “musica del diavolo”. E la canzone di Morrison, col suo incipit: «Jesus died for somebody’s sins but not mine» («Gesù è morto per i peccati di qualcun altro ma non per i miei»), ricorda proprio l’esperienza di queste disuguaglianze, di regole inaccettabili e ipocrite del sistema sociale, della condizione miserabile di un uomo che può consolarsi solo grazie all’incontro con una donna: Gloria. Il brano conta moltissime cover: Jimi Hendrix (nato a Seattle nel 1942 e morto a Londra, città che l’aveva adottato, nel 1970) amava eseguirla nei suoi concerti. La sua versione di Gloria fu pubblicata postuma e uscì per la prima volta nel 1979, inclusa nella compilation, The Essential Jimi Hendrix Volume 2. Il successo del brano fu immediato, tanto che numerosi artisti della scena del rock (The Gants, Status Quo, AC/DC, David Bowie, Bruce Springsteen e perfino il gruppo gipsy-disco dei Santa Esmeralda, noti per il successo di Please Don’t Let Me Be Misunderstood), decisero di includerla nei loro dischi o nelle loro esibizioni dal vivo. E così fece anche la regina del punk, Patti Smith che, a partire dal 1975, l’ha trasformata in uno dei suoi pezzi più rappresentativi. Canzone simbolo del garage-rock, Gloria è ricordata per quel suo caratteristico compitare delle lettere “G.L.O.R.I.A.”, nel riff, e non ha nessuna relazione con il grande successo italiano di Umberto Tozzi, col quale, tuttavia condivide la stilizzazione di un personaggio femminile, anche se soltanto per colpa di una casuale omonimia.
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