Van Gogh nell’Aula consiliare
A tutti è nota la sua vita sregolata, in bilico tra eccessi e depressioni, condizionata dal micidiale assenzio, caratterizzata da momenti di grande entusiasmo, slancio verso il prossimo bisognoso e croniche ricadute di melanconia e furore, durante le quali diveniva pericoloso per sé e per gli altri. E’ risaputo che in un momento di grande prostrazione, seguito a un litigio con il suo amico Gauguin, verso il quale nutriva un’amicizia che travalicava ogni normale consuetudine, Vincent si tagliò un orecchio (la vicenda nasconde oscuri interrogativi: sembra che a ferirlo sia stato in realtà l’amico stesso). Mentre la voce della Dott.ssa Paolini e le immagini degli splendidi capolavori dell’artista olandese proiettati su uno schermo riempivano gli sguardi e la fantasia dei presenti, il grande Van Gogh sembrava essersi materializzato tra loro, nella sua più profonda essenza. Lo si è percepito tra ‘I Mangiatori di patate’, così sgradevoli nella loro presenza fisica e appena ‘chiaroscurati’ alla luce della nera lanterna a petrolio, eppure vivi e così umani nel momento dello scarno pasto, logorati dalla stanchezza e dalla fatica. Si avverte la pietà e l’ammirazione dell’artista per la loro rassegnazione nell’affrontare una vita così misera. La fantasia e l’immaginazione sono esplose nell’ammirare la ‘Notte stellata’, in un turbinio di meravigliose combinazioni cromatiche, tipiche delle pennellate dell’artista; ci si è ritrovati a condividere la sua intimità contemplando il dipinto ‘La camera di Van Gogh’, così scarna, semplice, calda nei colori, ricca della personalità di chi l’ha dipinta, magari seduto proprio su quella ‘Sedia impagliata’, calda nei colori, ma che denota la solitudine dell’artista … E che dire dei campi di grano, degli splendidi girasoli e degli innumerevoli ritratti e autoritratti nei quali si specchia la vita di Van Gogh, la realtà più intima di se stesso nei diversi momenti della sua vita? Semplice e profondo nello stesso tempo, lo sguardo intenso, drammatico, bendato dopo essersi ferito l’orecchio, con occhi che lasciano trapelare la sua disperata lotta in un dramma che lo sta logorando … La voce di Van Gogh viene dalle numerose lettere scritte al fratello Thèo che mai lo abbandonerà, e lo sosterrà moralmente ed economicamente nei tanti momenti critici che si susseguiranno numerosi nel corso dell’esistenza dell’artista. E da quella voce arrivano la sua vita, le sue sofferenze, lo slancio che lo porta ad aprirsi agli altri e nello stesso tempo le delusioni e le drammatiche reazioni imprevedibili, probabilmente scatenate da una schizofrenia che lo tormenterà fino al tragico epilogo del suicidio.
Questo incontro ha regalato ai presenti attimi intensi di appassionato contatto con questo artista straordinario e nella mente di chi scrive affiora il ricordo di quando, tempo fa ha avuto la fortuna di visitare ad Amsterdam il Museo Van Gogh: risuona ancora l’esclamazione ammirata di un anziano visitatore inglese alla moglie, durante la contemplazione del ‘Campo di grano con volo di corvi’ : « now J can die!» (Ora posso anche morire!).
Credo che sarà proprio quello che simbolicamente faremo tutti, immergendoci tra qualche giorno al Vittoriano, nell’estasi cromatica dei magnifici capolavori dell’artista olandese.
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