Vacanze a Subiaco nei primi anni ’50 – 4
Il sale, il medico e le medicine
(da Campo di grano – giochi, istruzione, mestieri nella Ciampino del dopoguerra). L’alternarsi dei momenti belli e goderecci con i lunghi giorni di durissima fatica senza soste mi rende confuso questo tipo di vita. Anche l’abbondanza di cibo e il problema che si presenta quando sta per finire il sale, e più raramente lo zucchero, mi confonde. Penso che gli zii sono ricchi, ma senza soldi. Ed è così, se per ricchezza s’intende avere tutto il necessario. Per procurarselo devono sgobbare tutto l’anno ed essere anche fortunati; devono contendere il raccolto alla siccità, alla grandine, alle infestazioni e altri accidenti. Non sempre riescono a battere tanti nemici, e allora danno fondo alle riserve. Zia si ammala di pleurite. Ha sempre il fiatone e una febbricola perniciosa, ma benché a stento e a rilento svolge tutti i lavori abituali.
Certe volte scivola a terra bagnata di sudori freddi, e aspetta con la vista annebbiata di recuperare le forze per riprendere l’attività. Si presenta il dramma del medico e delle medicine, tutto a pagamento. La visita specialistica e la ricetta spedita in farmacia mandano in fumo i pochi risparmi. Zio è nervoso, preoccupato su tutti i fronti. E forse a causa del nervosismo si affetta un piede con la falce. Non dice niente a zia per non darle un altro pensiero e se lo cura alla vecchia maniera: un impasto di saliva, fango e urina, credo. Il piede s’infetta, zio ha bisogno di riposo e di cure serie. Per giunta piove sempre; tristi, quei pomeriggi passati in silenzio chiusi nella cucina mentre il cielo scaglia lampi e tuoni e Frizzetto guaisce in sordina. Sgranocchio pane e frutta secca fino a ingozzarmi per tenere lontana la tristezza. I guai non vengono mai da soli, dice un vecchio proverbio; un vicino incolpa il nostro cane di avergli mangiato le galline. Noi sappiamo che non può essere vero, Frizzetto è affettuosissimo e per niente aggressivo, abituato a giocare con i pulcini della chioccia. Anche il vicino lo sa, ma è un tipaccio, chissà in quale brutta situazione si trova e siccome le volpi, a differenza dei cani, non hanno padroni cui chiedere risarcimenti, presenta il conto e minaccia la denuncia. Gli zii gli offrono un numero triplicato di galline in cambio di quelle perse, ma il vicino non ne vuole sapere e batte a moneta sonante. I miei zii non sono combattivi, per loro è più facile subire l’ingiustizia che pretendere giustizia. Il vicino conosce bene la loro mitezza, per questo se ne approfitta. Ha sempre spadroneggiato, con loro. Così mio zio, ancora zoppicante, prende Ninnacchio e lo porta alla fiera. Finché non torna io prego che non riesca a venderlo, ma vince la preghiera di mia zia, contraria alla mia. Zio torna senza il maiale e scuro in viso come mai l’ho veduto prima. Va dritto dal vicino e chiude i conti. La sera passa nera e tetra. La mattina dopo, ancora a notte, sento uggiolare. Mi affaccio alla finestra e vedo zio che dopo aver scavato una buca profonda tenta di stordire Frizzetto con la pala e infine ci riesce e lo seppellisce. Lo seppellisce ancora vivo ed io sto male da morire e so che non guarirò mai più di quel momento atroce. Patisco l’ingiustizia di una pena capitale applicata a una creatura innocente. Ogni volta che mi troverò direttamente o indirettamente davanti ad un’ingiustizia, Frizzetto guairà dentro di me. Me lo sento, come sento il suo spirito confuso al mio. L’umore dello zio non cambia per tutta l’estate, zia consuma in silenzio il suo male e io affogo nella malinconia. Mi faccio coraggio e dico che voglio tornare a casa. Ma quando zia Bebetta mi guarda costernata e dispiaciuta io le dico ridendo, a filastrocca: “Ci hai creduto, faccia di velluto!!!”. Non passiamo alla pesa una volta a settimana come facevamo gli altri anni, perché non si va al consorzio a fare spesa. Poi, proprio come accade quando dopo il temporale torna il sereno, così le cose tornano a posto; zia Palmira convalescente, zio rinfrancato nel vederla uscita dalla malattia, qualche soldino racimolato con la trebbiatura fatta per terzi. Quando Bebetto va a lavorare nei poderi degli altri noi gli portiamo il pranzo; la pastasciutta viaggia nella canestra sotto il solleone e arriva scotta ma caldissima. Durante quei pasti consumati insieme agli altri nell’aria nebbiosa di caligine, le risa e gli scherzi fanno le veci di dolce e caffè; e mentre il sudore cola sulla pelle dorata dalla polvere della trebbia, sento più che mai la forza della vita.
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