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Vacanze a Subiaco nei primi anni ’50 – 1

Vacanze a Subiaco nei primi anni ’50 – 1
Marzo 19
00:00 2012

Fotografo ambulante, 1948L’odore buono delle cose semplici

(da Campo di grano – giochi, istruzione, mestieri nella Ciampino del dopoguerra). Finita la scuola, mia madre mi accompagna come ogni anno a Subiaco, a passare le vacanze in campagna dagli zii. È un viaggio che non finisce mai; un treno, un altro treno e l’autobus, che come un vermone blu puzzolente si mangia tutte le curve e i dossi. Verso Madonna della Pace, a stomaco svuotato e piena di nausea, mamma comincia a giurare che mai più prenderà quel mezzo tritabudella, mai più in vita sua. Ridotta nel suo stesso stato, anch’io al momento mi trovo completamente d’accordo: mai più. Lo diciamo ogni volta. Con l’aiuto di Dio, come dice mamma, finalmente scendiamo alla fermata prima dell’Arco, più morte che vive. Ma alla prima boccata d’aria frizzantina riprendiamo colore.

Dal ponticello di San Francesco guardo le acque dell’Aniene che scivolano fredde e limpide da Vallepietra e vanno a sfrangiarsi schiumose sul fondale, e subito dimentico i patimenti del viaggio. Zia Palmira, sorella di mamma, ci aspetta alla fermata; ogni volta che la rivedo mi sembra più piccola, ma il suo sorriso non cambia. Prima di tutto sono fatta salire sulla pesa del Consorzio Agricolo, aj’ammasso; anche i grammi sono messi in conto, zia segna il mio peso su un pezzetto di carta che ripone come una reliquia. Mamma minaccia che se non prendo almeno un paio di chili non mi porta più a Subiaco e zia accetta la sfida, sicura del fatto suo. Mentre loro si scambiano le notizie di un anno, io ritrovo ogni cosa. Prima di tutto il dialetto, di cui sono invidiosa: il dialetto non s’impara, si apprende nascendo sul posto. Ed io non sono nata a Subiaco, i miei lasciarono il paese tra i monti prima che io nascessi e si trasferirono con i miei due fratelli di dieci e sette anni a Ciampino, un paese vicino a Roma che stava appena sorgendo ma dove c’era già un aeroporto e un importante snodo ferroviario. Ritrovo pietre e fiori, lumache figlie delle lumache che ho salutato l’anno scorso; ritrovo il mulino, il fossato, le farfalle, le filo-filogne e il canto delle cicale. Ritrovo il sapore di quel piccolo fiore azzurro dolce da succhiare e l’aspro delle melucce selvatiche. Chissà se ritroverò quel paio di vecchie scarpe di zia, col tacco alto, che ho nascosto l’anno scorso, per giocare ancora a fare la signora… La stradicciola sterrata disseminata di sassi bianchi è giusta appena per una persona e l’asino con la soma; se due somari s’incontrano uno dei due deve arretrare fino al primo slargo e aspettare che l’altro sia passato. Sono manovre difficili, specialmente con certe bestie cocciute. Ecco la tenna di Adelina e Antonio, vicini carissimi degli zii. Il loro primo figlio è emigrato in Australia e fortuna che non ci sono cartine, mappamondi e nemmeno l’idea di distanze così esagerate, così qui nessuno immagina quanto è lontana l’Australia. Gli altri figli, Gianni e Giulio, hanno qualche anno più di me e non vedo l’ora di rivederli. Di corsa salgo alla casetta attaccata alla roccia e di corsa ne ridiscendo: a quest’ora non c’è nessuno, sono tutti al lavoro nei campi. La casetta non è bella come la nostra, dal pavimento di assi sale l’odore della stalla e il raglio di Cappuccino, il somaro nero come la notte e cattivo come il fiele. Tutti dormono nella stessa stanza, sui pagliericci di foglie di granturco. In quella stanza c’è anche una cassapanca tarlata piena di giornaletti: Pecos Bill, Tex Willer, Sciuscià, Mandrake, L’uomo mascherato. Giulio ci si perde, fra tutti quegli eroi. Se lo mandano a fare una commissione in paese si riempie le tasche di “strisce” e passa le ore a sfogliarle seduto sulla sponda del fosso, scordandosi quello che deve comprare e anche di tornare a casa. È geloso del suo tesoro, ma se gli gira bene mi permette di rovistare nella cassapanca per scegliere qualcosa da leggere. Dopo l’ultima svolta ecco la casa rosa, il ponticello di legno, l’aia, lo scalino di marmo lucente, la porta verde accostata. E ritrovo l’odore che non cambia mai, l’odore buono delle cose semplici. (Continua)

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