Urla a bassa voce
Titolo: Urla a bassa voce. Dal buio del 41 bis e del fine pena mai
Autore: Francesca De Carolis
ISBN: 9788862222976
Editore: Stampa Alternativa
Prezzo: € 15,00 e-book disponibile NO
Copertina:
Descrizione: L’ossimoro del titolo è l’emblema di una condizione vissuta da un buon numero di ergastolani col ‘fine pena mai’ stampato sulle loro pratiche, i quali urlano i disagi quotidiani ed esistenziali alimentati dalla macchina detentiva a scarsi megafoni mediatici con un esiguo pubblico che se ne interessa. Il libro documento, curato dalla giornalista Rai Francesca De Carolis,
racconta in maniera metodica, attraverso l’utilizzo di una griglia documentaria, mai rigida, la condizione di almeno trentacinque ergastolani: tutti uomini, fotografati nel mezzo del cammin di loro vita, poco più o poco meno, quasi tutti dell’Italia meridionale, con provenienze da famiglie difficili o contesti violenti. Come vivono il tempo ‘senza tempo’ che li vorrebbe sempre uguali a loro stessi, privato dell’estensione della speranza; come si svegliano, mangiano, si curano, dormono, amano, sognano, interloquiscono con la propria coscienza, con gli altri, con la famiglia, con l’istituzione carceraria, con ‘noi di fuori’. Cosa pensa di loro l’opinione pubblica poiché se tutti sono da considerarsi davvero colpevoli, e mai vittime di errori giudiziari, si sono macchiati di reati di omicidio, di reati mafiosi fra i peggiori. Alcuni di loro poi, peccato non veniale nell’odierna società, non vogliono, non riescono ad essere simpatici e accomodanti. Fra tanti spaccati di realtà questo è un libro per chi non ha più dubbi e per chi non ha mai avuto certezze, per chi si crede insensibile e per gli empatici. Queste pagine ci raccontano, inoltre, che qualche volta all’insensibilità contribuisce la disinformazione: la percezione errata riguardo la certezza della pena, che in Italia si ritiene irrisoria, con i colpevoli di qualsiasi delitto che tornano presto, o troppo presto, liberi; oppure credere che il sistema carcerario sia insieme macchina detentiva e sistema di recupero della persona. Fra queste pagine si capisce bene come in troppi istituti la realtà sia ancora molto diversa, a causa di una burocrazia, considerata innocente per antonomasia, che schiaccia giornalmente qualsiasi speranza riposta, non tanto in un futuro migliore ma nel semplice sollievo che si spera dalla visita di un familiare, uno fra i diritti che si credono assodati. Da queste pagine i reati di mafia e associazione a delinquere non ci sembreranno meno gravi, ma più alto ci apparirà il contributo in vite umane da questi generato. «Ecco, non è un luogo comune quando si afferma che diventiamo arredamento del carcere, perché non potrò oppormi a lungo; prima o poi, mi piaccia o no, sarò il ‘carcere’: arrugginirò come il ferro, sarò umido e pieno di muffa come i muri, mi aprirò e mi chiuderò alla stessa ora e morirò ogni volta in un giorno diverso, fin quando esisterà l’ergastolo, fin quando resisterà il mio corpo.»* Prefazione di Don Ciotti, copertina di Vauro che, anche quando tralascia il tratto satirico che lo ha reso famoso, si rivela per il grande artista che è. *dalle testimonianze di Antonio Presta, classe 1972, entrato in carcere analfabeta.
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