Uomo o dio?
-“Bisogna rimettere l’uomo nel mondo”. L’intervento del Prof. Franceschelli, durante il secondo appuntamento del ciclo d’incontri organizzato dal comune di Monte Compatri, si apre con questa sentenza: «se Camus, nel Mito di Sisifo, affermava che l’uomo era stato separato dal palcoscenico, si avverte ora la necessità immanente di reinserirlo nel mondo, di ristabilire un collegamento intrinseco tra attore e palco».
La domanda fondamentale si basa sul fatto se, in realtà, l‘Esistenzialismo può dare effettivamente una risposta, certa e definitiva, a quella che è la più opprimente questione umana: la natura e l’origine dell’uomo. Persino Kant, nei suoi ultimi scritti, era ancora dilaniato dal dilemma: «Uomo da dove vieni? sei troppo per essere frutto del caso, e troppo poco per essere figlio di Dio». Saremo forse semidei, ancorati all’abisso della nostra condizione mortale ma continuamente protesi ad un Assoluto che mai ci sarà dato raggiungere o forse è effettivamente necessaria una riscoperta ragionevole di una concezione naturalista?
Il Prof. Franceschelli sposa una linea che egli stesso chiama Naturalismo plausibile; ovvero la riscoperta di un filone di pensiero antitetico alla concezione platonico-cristiana, di stampo biologico-naturalistico, che adotta come criterio metodologico il dialogo tra le scienze e la disponibilità a rimetter in discussione le proprie teorie dinanzi al sorgere di nuove evidenze. L’uomo smette di essere anima per tornare corpo, divenendo così diretto discendente dell’evoluzione biologica teorizzata da Darwin. Siamo parti della natura, e questa ci deve bastare. La filosofia deve rinunciare a cercare una risposta nella metafisica, tradizionalmente intesa, per porsi invece come un’indagine sul mondo, in quanto quest’ultimo deve essere considerato come il dato primario per la comprensione della nostra “essenza” e della nostra stessa capacità conoscitiva.
Già Russell affermava che la nostra tendenza al conoscere e al ricercare non ha altro fine se non quello, meramente biologico, di una tendenza all’autosopravvivenza e ad un miglior adattamento ai fatti, presente non solo nell’essere umano in quanto tale ma in tutti gli esseri viventi immersi nel processo di selezione naturale.
Se per Platone l’anima umana contemplava disinteressatamente le Idee, per elevarsi, attraverso la conoscenza, da un’esistenza meramente materiale ad una intellettuale, qui l’asse di riflessione si è decisamente spostato: i processi speculativi, conoscitivi e persino linguistici sono inseriti e inglobati all’interno di un’ottica biologica-evolutiva, e a questa si riducono. La stessa evoluzione culturale sembra esser ridotta, o a detta di qualcuno essere un potenziamento, dell’evoluzione biologica, in quanto esse sono legate da uno stretto rapporto di continuità che vede al proprio centro lo stesso soggetto. Si può forse credere che le forme di pensiero sviluppate dall’uomo non siano state rese possibili proprio dalla sua stessa struttura biologica? Io credo di no. L’infinito potenziale umano, la grandezza e la bellezza che si sprigiona da ogni pensiero, riflessione o emozione non può esser ridotta a fattori biologici o naturali.
Heidegger afferma che il fatto che «la fisiologia e la chimica fisiologica possano indagare scientificamente sull’uomo come organismo, non prova che l’essenza dell’uomo sia in questo organico, cioè nel corpo». Esiste un oltre, un di più che ci appartiene, che è intimamente legato alla nostra essenza che se pur non può esser classificato o spiegato, può tuttavia chiaramente essere “additato”. Ovviamente, come afferma il Prof. Franceschelli, ogni teoria, che sia scientista, naturalista o teologico-metafisica, deve avere il diritto, se non l’obbligo, di esser presente all’interno di un dibattito filosofico che possa considerarsi veramente tale; in quanto la filosofia non è possesso ma ricerca di sapere, è amore per la domanda più che necessità di una risposta, e come tale non può basarsi se non su un’aperta condivisione e dialogo tra vari e differenti punti di vista.
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