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Uno spaccato di storie ciampinesi  ‒ 8

Uno spaccato di storie ciampinesi  ‒ 8
Ottobre 10
11:39 2024

Uno spaccato di storie ciampinesi di ieri e di oggi ‒ 8

In occasione del mezzo secolo di Ciampino comune autonomo

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Giannino Tozzi,  Enoteca e campo da tennis a Casabianca, allenatore all’IGDO

Cipollaro, Graziosa, Mussolini e i tamburi, capostazione Veri, l’uva d’inverno

 

“Mio padre è venuto qui da Marino perché era un perseguitato politico per via di Mussolini e si è comprato questo terreno nella zona del Cipollaro. Mio padre, rimasto vedono, era venuto giù con mio nonno. Si è risposato con mia madre nel ’27.  Mia madre era piemontese, del Lago Maggiore, e aveva conosciuto mio padre tramite una mia zia che lavorava alla Villa del Sole a Marino. Io nasco a Casabianca nel 1933.

Mio padre venendo qui crea questo orto, porta la verdura a Roma ai mercati generali, ma essendo nemico del Regime e non avendo la carta del partito, non gli fanno scaricare la roba. Lui torna a casa, e siccome era uno di quelli decisi, un sovversivo – a quei tempi c’era la carta d’identità col punto interrogativo rosso – ha dato al cavallo tutta la verdura che non gli avevano preso e il giorno dopo ha detto: “Pianto una vigna, così se il vino lo vendo, lo vendo, sennò me lo bevo io, ma la tessera da fascista non me la faccio.”

Mio padre era stato amico di Mussolini. Quando Mussolini era Direttore della Camera del Lavoro di Marino lui lo portava a fare i discorsi a Grottaferrata, a Ariccia, a Genzano, da quelle parti dove erano tutti rossi. Quindi mio padre era considerato un “protetto” per via di questa amicizia. Quando è stato costretto a piantare questa vigna, ha aperto anche il negozio di alimentari; il permesso glielo ha dato il podestà di Albano dietro le raccomandazioni e il beneplacito di Mussolini e di tutti quanti, perché stando qua era un prigioniero coatto e non dava fastidi.

Quando Mussolini veniva a Ciampino, da qui sentivamo i tamburi. Il maresciallo Cappannolo della stazione di Frattocchie veniva a casa e diceva a mio padre: “Che devi fare oggi? Fallo subito, perché domani non ti puoi muovere.” Poi ‘sto Cappannolo m’ha detto, dopo tanti anni, che era un bene che mio padre fosse controllato, perché così era salvo: se succedeva qualcosa a Mussolini, se facevano qualcosa, lui non poteva essere accusato perché era piantonato. Era questo il rapporto di mio padre con Mussolini.

Il negozio di alimentari è stato sempre un po’ bersagliato dagli altri esercenti che non sapevano di questa passata amicizia. Mio padre era sempre visto come un sovversivo, non è che a Ciampino sapessero in tanti che lui era stato amico di Mussolini e lo presentava quando era direttore dell’Avanti come compagno Benito.

I controlli erano continui. Nel ’36 arriva una contravvenzione di duecento lire a mia madre, titolare dell’attività, perché non aveva esposto il lumino a petrolio sulla scritta, e nel ’40 un’altra contravvenzione di cinquanta lire perché durante il coprifuoco c’era una candela accesa nella camera da letto. E questo era tutto certificato, io a queste contravvenzioni ci voglio fare un quadro e metterlo in cantina, sono un pezzo di storia.

Poi ci sono stati i bombardamenti e abbiamo perso tutto. Mia sorella mi è morta fra le braccia e mio padre è morto di crepacuore. Qui di fronte a noi c’era il Comando Generale tedesco, c’è stato un bombardamento a tappeto e dodici bombe sono cadute nel nostro terreno, tutte esplose tranne una. Giorni dopo passarono due americani ai quali mio padre chiese di portare via la bomba in cambio di due fiaschi di vino, e solo uno di essi accettò. Mia sorella si chiamava Graziosa, aveva 16 anni. Le è stata intitolata una strada qui vicino.

L’alimentari resta aperto fino al dicembre del 2006, dal ’66 lo gestiva mia moglie Vittoria Mari. Oggi rimango nell’attività commerciale con la vendita del vino che produco con alcuni amici. Ho il tinello e l’enoteca, vendo vino a esporto.

Il campo da tennis che ho fatto qui davanti nel ‘78 è andato piano piano a degradare. È stata un’attività vivace, era l’unico campo dove tutti venivano a giocare. Dopo aver abbandonato il calcio, sono passato al tennis. Ho lavorato per quindici anni al Foro Italico come Direttore dei Giudici di linea.

La sorella l’ho perduta il 29 maggio del ‘44, colpita da una scheggia mentre correva verso il rifugio; dove c’è quella piantina che è nata spontanea, vicino al cancello, che a maggio si ricopre di fiori bianchi, c’era il suo sangue. Dopo otto mesi è morto mio padre d’infarto, qui fuori, a 56 anni, e poi mio fratello di 31 anni, figlio della prima moglie di mio padre. Eravamo cresciuti insieme.

In questo momento sto facendo progetti di edificazione per i miei figli: trasformare quello che mi ha lasciato mio padre in un affare edilizio per loro. Non voglio che i miei figli si mettano a vendere bruscolini. Potranno avere un’abitazione propria e tutto questo habitat che io ho avuto sotto forma agricola.

Ciampino non lo vedo più com’era. Rimane sempre il sogno di allora, quando andavamo al campetto all’IGDO. Da studente pendolare prendevo il treno per Roma e fra andata e ritorno il Colosseo era il largo dove calciando si scatena la passione. Continuavo ad allenarmi nei prati dell’Appia Antica e approdai alla squadra del Marino, l’inizio di una avventura che mi porterà fino alla Roma. Ma quando mi mandarono ad Avellino, a Monte Vergine, feci  le valigie e tornai a casa; mi mancava il tramonto alle spalle e Rocca di Papa di fronte, e passai al Tivoli.  Poi ho lavorato per sei anni all’IGDO come allenatore tirando avanti tanti giovani, ho addirittura un’agenda con tutti i loro nomi, più di cento.

Ciampino oggi lo vedo come una prosecuzione di Roma, un ambiente avvelenato dai fumi. Ciampino lo vedo ancora bene dove stiamo noi adesso.

Al capostazione di Ciampino, Anselmo Veri, feci l’innesto di una rosa olandese. Lui mi disse: “Se mi riproduci questa…”. Io avevo un coltellino in tasca, feci l’innesto e la rosa prese. Anselmo aveva un orto alla stazione, che quando preparava l’insalata di pomodori solo lui così la poteva fare…

Conservavo l’uva appesa nel tinello. L’uva si appassiva in un mese, un mese e mezzo e durava fino a Natale. Era tradizione mangiare l’uva d’inverno quando venivano a trovarci gli amici”.

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Stefano Ruggi (Steno), medaglia olimpica sollevamento pesi

Palestra in via Monte Grappa, don Romeo Rusconi, via Trieste

 

“Arrivai qui da Parma nei primi anni cinquanta. A Ciampino già vivevano i miei fratelli, uno lavorava all’Alitalia e l’altra aveva lo studio in via Col di Lana. La prima podologa a Ciampino nel 1953.

Impegnato in ambito sportivo, dopo notevoli riconoscimenti nel sollevamento pesi,   apro la mia prima palestra in via Monte Grappa, poi in parrocchia con don Romeo Rusconi, in seguito alla Folgarella e di nuovo in centro nel 1969 in via della Repubblica. Dalla palestra ho tirato fuori diversi campioni, dei bei campioni. Quando sono venuto a Ciampino c’era poco e niente, anche meno. Abitavo in via Trieste”.

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Mirella Neri,  madre di Elisa Blanchi, campionessa mondiale ginnastica ritmica

Dora la levatrice,  Defilé “Oriana”, Dottor Ravazzoni, Liceo Volterra, Sorgente Appia, Monica Brandizzi

 

“Giuseppe e Vincenza, per tutti Peppe ed Enza, si conoscono a Sulmona dopo la guerra. Enza è nata a Trani e vive a Sulmona dove il padre Pasquale, direttore delle carceri, è stato trasferito. Peppe, nato a Scurcola Marsicana nel 1917, era maresciallo marconista all’aeroporto di Ciampino. Si sposano nel ’50 e dopo qualche mese si trasferiscono a Ciampino, in via Col di Lana.

La prima figlia nasce nella clinica di De Fenu, io e l’altra sorella a casa. Quando io dovevo nascere di due levatrici non se ne trovava una; prima di Maria arrivò Dora, che mi fece anche da madrina di battesimo.

Mamma era insegnante di taglio e cucito. Ha lavorato in diverse boutique di Roma e a Ciampino al defilé “Oriana” in via Morena dove si facevano le sfilate, e lei creò come modellista una mantella di panno; una in particolare, rossa, ebbe tanto successo, ci furono tante ordinazioni.

Intorno alla metà degli anni Cinquanta i miei genitori comprano alla Folgarella un lotto di terreno in via Leoncavallo. Papà prende un mutuo di quattro milioni con l’ Enasarco e partono i lavori. La ditta di Roma, malandrina, chiedeva continuamente soldi, al punto che mio padre non percepiva più stipendio, e non finiscono i lavori. Del progetto, che prevedeva tre piani e un piccolo attico, erano stati realizzati solo due appartamenti a pianoterra e il resto della casa erano solo pilastri e copertura. Per tutta questa bella proprietà i miei genitori trovarono altri delinquenti, altri lazzaroni, che vedendoli con l’acqua alla gola propongono una permuta con un appartamento in via San Francesco d’Assisi. Potendo scegliere fra il quarto piano e il pianoterra, mia madre sceglie quest’ultimo, “altrimenti mi sento chiusa”, con un bel terrazzo che riempie di fiori.

Ricordo gli anni belli alla Folgarella. Si viveva la strada. D’estate si cenava presto e poi tutti fuori, piccoli e grandi. La mamma si portava la sedia e controllava. Si giocava tanto a nascondino.

C’erano poche macchine; un ragazzo veniva a trovare la fidanzata, che abitava nel palazzone vicino alla ferrovia, e noi tutti attorno a questa topolino parcheggiata.

Mamma cuciva a casa. Quanta beneficenza. Metteva la stoffa, il lavoro, poi veniva la cliente e diceva: “I soldi poi te di dò” e finiva lì. Mamma si squagliava di fronte al bisogno.

A tre anni sono stata per morire. Mi venne la nefrite. Il dottor Ravazzoni, l’unico pediatra di Ciampino, aveva lo studio in Viale Roma, mi visitò e mi dette un giorno di vita. Di corsa al Policlinico, mi portò in braccio mio padre col treno, e lì mi hanno curata bene. Ci restai quattro mesi.

La biciclettona di papà. Ci salivamo sopra tutte e tre, con una gamba sotto la canna, le mani attorcigliate al manubrio e si pedalava. Corse e cascatoni. Volevo correre come Coppi, e mi allenavo.

Ricordo un areo caduto a bordo pista sulla curva per l’Appia, ci furono due morti. Ci fu anche un vecchiettino che morì sui binari, investito dal treno. Vidi il corpo straziato. L’ho sognato tante volte.

Noi andavamo alle elementari in via 2 Giugno. Da via Leoncavallo si andava verso il centro passando per un viottolo che costeggiava la ferrovia e portava ai Due ponti. Questo punto era pericoloso, stretto, alto sopra la ferrovia, sdruccioloso e fangoso d’inverno: “Un piedino dopo l’altro e fate attenzione a non scivolare.”

Quando pioveva, se nessuno veniva a prenderci con l’ombrello, avevamo la nostra mantellina. Tutte e tre abbiamo fatto il liceo scientifico, io a Roma e le mie sorelle al Volterra in via Mura dei Francesi.

Nei pressi del sottopassaggio c’era uno stabilimento del ghiaccio che riforniva gli aerei, andavamo lì noi ragazzini e ci davano pezzetti  di ghiaccio, il nostro gelato.

Ricordo la raccolta dei pomodori, un casale e questo campo di pomodori, immenso, di fronte alla Sorgente Appia, e noi in bicicletta con le borse a ripulire il campo dopo la raccolta, mamma ci faceva i pelati.

Per avere qualche soldino si faceva la spesa per la vicina di casa; io andavo a un alimentari vicino alla chiesa. La signora mi faceva l’elenco, io partivo con la sua bicicletta, la borsa grande di pelle e mi guadagnavo le mie cento lire.

Quando c’erano i matrimoni tutti noi  ragazzini a correre verso la casa della sposa, tanta curiosità e il pensiero bello: “Anch’io un giorno sarò sposa.” Era la festa,  calavamo a mo’ di cavallette sui dolcetti e confetti e poi via, o venivamo cacciati via.

Alla Folgarella avevamo galline, coniglietti, piccioncini, l’orto con gli alberi da frutta e fiori da tutte le parti. Poi lasciamo la periferia per il centro. Ci siamo adattati con sofferenza, per i miei genitori era una sconfitta. Il sogno che crollava di un domani da vivere tutti insieme. Loro quando avevano progettato la casa si vedevano all’attico, e noi figlie ognuna col suo appartamento.

Peggiora la malattia di mamma, diabete mellito, anche il dispiacere influisce. È morta nell’81.

Mi sposo nel 1985 con Eraldo, che già lavorava in aeroporto all’ADR. Abitava all’Appia Antica nel casale del marchese di Roccagiovane, che lo usava per andare a caccia. Il padre di Eraldo faceva il custode alla proprietà e ai cavalli.

Ci sposiamo al santuario di Monte Compatri, il pranzo lo facciamo alla “Finestrella” un ristorante economico con una ottima cucina casereccia.

Poi andiamo ad abitare a Lariano; avevamo comprato una casetta col giardinetto a un prezzo accessibile, la metà di quello che sarebbe costato a Ciampino. Io lavoravo dall’ottanta al Comune di Marino. Tante amicizie, tanto cuore trovo anche a Lariano; mi hanno aiutato quando i miei figli erano piccoli. Elisa voleva l’ovetto fresco, la vicina aveva le gallinelle, lei scavalcava la ringhiera, andavano nel pollaio e ritornava con l’ovetto.

Elisa è nata all’ospedale di Velletri nel 1987. Avevo fatto la preparazione al parto a Ciampino al Consultorio in via Folgarella; in ospedale dissi che mi mancava l’ultima lezione: “Non si preoccupi signora, adesso gliela facciamo noi.”

Dopo il secondo parto frequento la palestra a Lariano e mi porto Elisa: “Mamma, pure io ginnastica.” Chiedo alla professoressa Marina Marinelli se fanno dei corsi per bambini piccoli: “Proviamo, me la porti.” La terza volta che la porto in palestra sbaglio giorno, e lì conosciamo Monica Brandizzi che lavorava presso questa struttura, anche lei agli inizi: fa ginnastica ritmica, palle e fune per i piccoli. Un incontro decisivo per il percorso di Elisa.

Nonno Peppe tanto è stato severo con noi, quanto è stato dolcissimo negli ultimi anni della sua vita. Con i suoi nipoti era ritornato bambino. È morto nel febbraio del 2003; ha sempre seguito le gare di Elisa, anche in televisione, ma non l’ha vista ai mondiali.”

                                                                                                        Continua 

Foto: archivio Maria Lanciotti                                                                                                     

da L’erba sotto l’asfalto – Edizioni Controluce 2007, pubblicato con il patrocinio del comune di Ciampino, in occasione del Decennale della Biblioteca comunale P. P. Pasolini

 

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