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 Uno spaccato di storie ciampinesi di ieri e di oggi ‒ 5

 Uno spaccato di storie ciampinesi di ieri e di oggi ‒ 5
Settembre 20
08:34 2024

Uno spaccato di storie ciampinesi di ieri e di oggi ‒ 5

In occasione del mezzo secolo di Ciampino comune autonomo

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Luigi Zuzzi, sociologo, storico, promotore di Ciampino Bene Comune  

Associazionismo, feste de l’Unità, tornei sportivi, volontariato

 “ ‘Non si viveva in casa’ è il titolo che darei a quei primi anni settanta; lo descrive meglio di molti discorsi ed argomentazioni. A casa ci si andava per dormire, spesso nemmeno per mangiare.

Come in tutta Italia, anche a Ciampino una vivacità pervadeva l’associazionismo, ma ancor più – caratteristica esclusiva di quel periodo – i partiti politici ed in particolare quelli che facevano riferimento alla sinistra, non solo il Pci, ma anche il Psi ed il Psdi.

Oggi possiamo ben dire che si stava costruendo la classe politica che avrebbe governato, nel bene e nel male, Ciampino nei trent’anni successivi.

Per il Pci, le feste de l’Unità, ed in particolare lo è stata quella del 1974, erano il luogo dove dimostrare la propria capacità organizzativa, la voglia di essere classe di governo ed il radicamento tra la gente che si concretizzava nel cuore della città – a dire il vero piazza della Pace in quel 1974, più che di una città era il cuore di una Ciampino poco più di un paesone non ancora autonomo da Marino – con un simbolismo ben definito:

Il palco, non solo grande, ma anche bello.

I pannelli, che illustravano la posizione del Partito sui più svariati temi della vita ciampinese e che venivano letti attentamente da chi veniva alla festa.

I tornei sportivi che significativamente venivano allestiti in piazza – anche per l’assoluta mancanza di impianti sportivi – e che coinvolgevano centinaia di giovani.

Il ristorante, con quella cucina regno invalicabile delle compagne, il cui successo, che si ripeteva ogni sera e che insieme alla grande lotteria era una formidabile fonte di finanziamento per il Partito, esprimeva la voglia di giocosità ed il bisogno di vivere insieme anche momenti “normalmente” confinati nel privato: ma intorno a quei lunghi tavoli si ballava e cantava e sulle tovaglie di carta bianca si tracciavano le scalette per il governo di quel Comune che a breve sarebbe stato autonomo da Marino.

E tutto era mosso da un rigoroso, forse anche religiosamente esasperato, volontariato.”

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Maria Rosaria Gengaroli, una lunga storia

Jolanda la vaccara,  Suore Clarettiane, Clinica Santa Giovanna, campo di grano

 

“Mia madre in quel campo di grano alla Folgarella c’è cresciuta. Jolanda la vaccara ci portava il latte a casa, per mio fratello che non stava bene. Mio padre aveva il negozio di abbigliamento, tessuti e confezioni in via Monte Grappa 20. Mia madre si trova in Australia con gli altri figli. La nostra è una storia lunga. I miei vennero dall’Egitto alla fine degli anni ’40, quando là c’era la guerra. Io sono nata a Roma nel ’48, sono andata a scuola dalle Suore Clarettiane e poi a Frascati. Ho partorito alla Clinica Santa Giovanna, De Fenu salvò la vita di mio figlio. Quel campo di grano… quante cose mi fa tornare alla mente.”

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Coriolano Caneschi, nipote di nonno Dioniso e di zio Nazareno

Capannelle, Gizio, Addis Abeba, terreno ex Combattenti, brigadiere Terrezza

 

“Sono nato nel 1938 a Ciampino in via Monte Grappa, in quel villino rimasto com’era.

Mio padre, toscano, a undici anni già lavorava alle Capannelle come stalliere, poi diventa caporale di scuderia e in seguito mette una scuderia sua verso Napoli. Mia madre è di Col Fiorito, una frazione delle Marche. Mio nonno materno, Enrico, viene a Roma come bracciante prima della guerra, e il figlio Nazareno mette lo smorzo a Addis Abeba.

A Addis Abeba c’era la marana a cielo aperto che andava in piena, e se capitava di notte regolarmente gli abitanti si svegliavano con un palmo d’acqua dentro casa. Nei primi anni cinquanta zio Nazareno aveva una vecchia Balilla a camioncino con cassone, gomme piene, che serviva per lavoro. L’ingresso a Addis Abeba era di fronte a Gizio, che aveva una rivendita di tabacchi, e sul retro l’osteria con pergolato dove si beveva, si giocava a carte e soprattutto a morra.  Mio nonno Dioniso, contadino toscano arrivato a Ciampino negli anni del dopoguerra, andava a caccia di serpi, specialmente vipere, ma era più facile trovare i frustoni, detti prataroli. Proprio ai confini del comune verso Morena iniziava il terreno degli ex-combattenti, un grosso appezzamento che negli anni successivi fu venduto e divenne edificabile come tutta Ciampino. A quel tempo questo terreno incolto, delineato in gran parte dalla marana, era fonte di richiamo per queste serpi che vi andavano a bere, a prendere il sole. Mio nonno per catturarle metteva un cappello di paglia davanti alla bocca della vipera e come questa mordeva tirava e l’afferrava al volo. I frustoni invece li prendeva con le mani… ce se tuffava!

Mio nonno metteva la serpe nel tascapane, andava all’osteria da Gizio e sul più bello apriva il tascapane e la serpe sgusciava seminando il panico; fuggi-fuggi degli avventori che imprecavano contro Dioniso, il quale, beatamente, si scolava il vino rimasto sui tavoli.

Addis Abeba era stata così battezzata da mio zio Nazareno e da Mario Avaltroni.  Mario gestiva col fratello Nello e la moglie Lidia un “Pane e pasta”, e il fratello Pietro l’osteria attigua. Per andare da Gizio a Addis Abeba c’era un fosso che scaricava nella marana, e la gente era costretta a saltare finché Nazareno non pensò a mettere tre grossi fusti ricoperti di terra pressata. Questo “ponte” fu fatto anche per il passaggio del camion, che era stato comprato alcuni anni prima in un deposito di automezzi militari.

Addis Abeba era popolata di marinesi che non rinunciavano al loro dialetto, mentre il romanesco era la “lingua” di cui si appropriavano i vari ciociari, marchigiani e in seguito anche sardi e siciliani. La gente arrivava chiamata dal famigliare o dall’amico, che trovandosi bene a Ciampino li esortava a venire.

Il lavoro cresceva giorno per giorno grazie soprattutto al sorgere di altre borgate nell’area suburbana di Roma; poi le borgate si sono praticamente fuse con l’avvento dei palazzinari.

A quei tempi i pochi fortunati che se lo potevano permettere facevano la villeggiatura ai Castelli o a Ostia, mentre il popolino aveva cominciato ad assaporare il gusto della domenica, che prima consisteva nell’andare a messa, nel fare il “pranzo della domenica”.

La domenica, mare e ballo. Vicino alla ferrovia di Frascati c’era un campo di vellutello che era una pista magnifica per ballare, c’era una specie di sorgente dove ci si rinfrescava… l’acqua si poteva bere.

Cominciò l’evento delle camionette che facevano la spola da San Giovanni, punto di ritrovo, a Torvaianica. Da lì a breve partivano direttamente dalla borgata, Nazareno la domenica montava le gomme con camera d’aria al camioncino e caricava una quindicina di persone assiepate, in piedi, che pagavano per solo andata cinquanta lire.

Nazareno poi comprò un camion più grande, una Fiat 34 con cui faceva la cava, e il Dodge restava fermo. Quando la borgata si allagava, i ragazzini per andare a scuola salivano sul camion che veniva messo in moto legando una corda alla manovella e tirando tutti insieme, e io guidavo con il beneplacito dei genitori. Costringendo il brigadiere Terrezza, il mitico Terrezza, a fare la ramanzina a grugno duro a Nazareno per non farmi prendere il Dodge,  come non sapesse che il figlio Aldo era uno dei primi a salire. I ragazzini pregavano Dio che facesse venire la piena per andare a scuola col camion…”.

                                                                                                          Continua

 

Foto: archivio Maria Lanciotti                                                                                                    

da L’erba sotto l’asfalto – Edizioni Controluce 2007, pubblicato con il patrocinio del comune di Ciampino, in occasione del Decennale della Biblioteca comunale P. P. Pasolini

 

 

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