Uno spaccato di storie ciampinesi – 2
Uno spaccato di storie ciampinesi di ieri e di oggi – 2
In occasione del mezzo secolo di Ciampino comune autonomo
Giancarlo Martella, ex calciatore, fornitore bibite e gestore cinema
Doglie e bombardamenti, il dottor Ugo Rodelli, calcio e musica
“Mio padre venne qui nel 1920 e aprì un alimentari in Viale del Lavoro, diventato poi Cinema Centrale; oltre cento posti a sedere e quattro uscite di sicurezza, che erano le quattro porte del negozio. Allora si fumava, la pellicola era infiammabile, partiva l’immagine e sullo schermo arrivava la fiammata. Il cinema era il ritrovo dei bambini: Gianni e Pinotto, Charlot, immagini sempre presenti. Le mamme accompagnavano i figli, gli compravano le fusaglie e robetta varia da un carrettino e li lasciavano lì dalle quattro alle otto di sera. Mio padre faceva sconto comitiva… il buonismo di Martella!
Al Cinema c’era il baretto, e sopra una saletta interna con un terrazzino dove si ballava: il centro del divertimento.
Il film veniva proiettato anche all’esterno, la gente d’estate si spostava fuori, al fresco. Di fronte c’era il muretto dei ferrovieri e si mettevano lassù squattrinati e scrocconi.
Dietro al cinema c’era un grande spazio dove venivano le giostre, un mix di rumori, caciara allegra, tranquilla. Poi nacque il cinema di Salati.
Il giovedì per Lascia o raddoppia? c’era il pubblico delle grandi occasioni; alle otto e mezzo, o alla fine del primo tempo, s’interrompeva il film e si accendeva la televisione che stava su uno sgabello, e finita la trasmissione riprendeva il secondo tempo.
Avevamo anche un’attività di acque gassate e birra Peroni, e una ghiacciaia dietro al cinema per il ghiaccio, che si tagliava con un’accetta e si vendeva a pezzi da dieci, quindici lire. C’era sempre la fila, venivano con le scodelle, pentole, barattoli… non ho mai capito che ci facesse la gente con tutto quel ghiaccio.
La mia nascita. Suonavano le sirene, la corsa ai rifugi, il primo trovato libero a Valle Patatona. Doglie e bombardamenti. Siamo rimasti lì una mezza giornata e con noi anche il dottor Rodelli, che era stato chiamato ed era venuto di corsa.
Il gioco del pallone. Le prime partite in mezzo alla strada allora senza traffico, poi spazi sempre più ampi; il pallone coi bocchettoni e i lacci che ti massacravi. Andavamo a giocare all’aeroporto ovest passando in fila indiana per Ciampino fino all’ingresso est, cinque chilometri fino al campo di pallone senza nessun controllo, le sentinelle sapevano. Giocavo in porta, avevo iniziato in parrocchia a quattordici anni con il Marino; torneo a Roma, la trafila e poi alla Fiorentina. A Firenze mi arriva la notizia che mio padre sta male, c’è l’attività, lui va curato, e fui costretto a malincuore ad abbandonare. Amara scelta, ma la mia coscienza così è tranquilla.
Continuai a giocare qui per il Ciampino. Ci divertivamo, facevamo ottime cose portando avanti la bandiera del nostro paese.
Calcio e musica, la chitarra la mia passione.
Quattro generazioni. Mio padre ha fatto del bene a tanta gente; tanti facevano spesa da lui senza pagare e lui diceva: “non ti preoccupare.”
“Cerca di comportarti pensando agli altri, alla gente che sta peggio di te. Fai del bene e cerca di portarlo avanti modestamente.” Questo era l’insegnamento di mio padre.”
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Irene Nodari, Giò dell’Azione Cattolica, animatrice generosa e allegra
Biagio ‘il cavaliere’, accoglienza e cooperazione
“Mio padre Biagio, detto “il cavaliere” era originario di Rivoltella del Garda, vicino a Desenzano, Brescia, e mia madre di Montecchia di Crosara, Verona.
Vengono a Roma nel 1927 per motivi di salute; mio padre, universitario in medicina, anziché essere chiamato tra quelli del 15-18 va in una colonia militare e qui ha la fortuna d’incontrare qualcuno che gli dice: “Perché non vieni a lavorare a Il Messaggero?” e lui viene a Roma. Gli propongono di scegliere una carriera al giornale o alla Camera dei Deputati, e lui va alla Camera dei Deputati come Primo Segretario alla biblioteca. Gli muore la prima moglie e con il lascito per il figlio compera questo terreno a Ciampino e s’innamora della zona dei Castelli. Veniamo qui d’estate, ci rifugiamo qui in tempo di guerra, in particolare ai grottoni di Morena, poi la nostra vita diventa ciampinese. Ricordo quando la posta ci arrivava a casa solo mettendo il nome del destinatario, Irene, Teresa o Pinuccia, o indirizzata al Cavaliere senza scrivere Biagio, e la posta arrivava. Quindi eravamo persone pure… boh, in vista, o forse i ciampinesi erano pochi e il postino conosceva tutti.
Noi siamo molto cattolici, la nostra casa è stata d’appoggio per tutti i preti che venivano a Ciampino. Bianchi, rossi, verdi, africani, cinesi, indiani, tutti, quando venivano sapevano che si potevano fermare qui, e se erano di passaggio venivano da noi a mangiare. Il primo sacerdote che viene a Ciampino era don Luciano, il parroco delle Suore del Sassone. Veniva per la messa, organizzava gite. Poi Teresa Ciufoli ci ha contattato, e successivamente con qualche rapporto con la Diocesi sono sorti i gruppi dell’Azione Cattolica: le Beniamine, le Aspiranti, le Giovani – Le Giò – e il gruppo delle Donne. Una volta a settimana tutte queste persone si riunivano, in particolare la domenica. Al mattino la messa, e poi c’era il divertimento. Eravamo ricchi di fantasia, per cui i giochi ce li inventavamo. Ricordo quando si rompevano le pentole nel campetto dell’oratorio o nel territorio delle suore clarettiane. Il parroco, don Vittorino, ci metteva a disposizione la canonica per fare il teatro. Partecipava molta gente, quando facevamo teatro la saletta era strapiena. Nello stesso salone la domenica, per intrattenere i ragazzi, c’era il cinema. La parrocchia faceva questo grandissimo servizio, insieme alle suore. Ricordo che quando ho fatto la comunione e la cresima – allora si facevano insieme – la colazione si faceva dalle clarettiane.
Dal punto di vista etico avevamo il senso dell’aiuto, il senso della cooperazione. Ricordo quando facevamo le visite ai bambini dell’ospedale a Roma al Policlinico; partivamo col treno e portavamo, quando si potevano portare, caramelle e dolcetti. In quei tempi c’era la comunità, il nucleo. I genitori lasciavano ai più grandi i bambini perché erano tranquilli, e spesso anche loro partecipavano. La signora Cappellari per fare le recite dava i vestiti di suo marito, i cappellini, le scarpe coi tacchi, i vestiti degli anni ‘30. C’erano partecipazione e spirito di adattamento, sia al tempo delle clarettiane come al tempo delle passioniste, che erano molto attive e mettevano a disposizione il loro territorio, la loro capacità di iniziativa. Il canto, il gioco, le gite, le vacanze con trasporto giornaliero. Ci caricavano al mattino con questi camion coi banchetti della chiesa come sedili, ci portavano fuori e sotto la pineta facevano da mangiare per tutti. Non avevamo nemmeno il problema di portarci il panino. Provvedevano anche a dare da mangiare a questi gruppi, che erano numerosi, quando andavamo ai ritiri ai Castelli presso qualche istituto, dopo che l’Azione Cattolica – sia regionale che nazionale – ha conosciuto il gruppo di Ciampino. Quando si faceva la Settimana a Roma, so di essere stata spesata, non ricordo mai di aver pagato.
Ho partecipato a vari campeggi nazionali, uno a Nardò Cenate a Lecce e altri ad Auronzo di Cadore con i gruppi universitari. Ad Auronzo di Cadore ho partecipato con le sorelle di un medico ginecologo di Ciampino, che era anche medico militare.
Mio padre, di origine contadina, quando è andato in pensione intorno al ’50, si è dedicato alla vigna e anche noi figli abbiamo dovuto lavorare la terra.
Il passato l’ho vissuto da incosciente, come tutti i giovani vivono quel momento che riempie la vita. Ho visto che Ciampino si è trasformato, però, e mi dispiace proprio, forse quello che è l’interesse pubblico così come ancora mi è rimasto nel cuore – quello che dici, sa’, se fai un lavoro l’interesse dell’altro viene prima del tuo – io oggi ancora non lo vedo. Vengono fatte tante cose, ma vedo anche che c’è tanto spreco. Mi piacerebbe vedere una Ciampino che si rianima di qualche principio sostanziale ed etico, che ora non c’è.
Forse qualcosa si muove pure, ma evidentemente quel qualcosa che si muove, o che è stato messo perché si sviluppi, non dà delle garanzie e non promuove un interesse tale da far avvicinare i giovani a quella che è la politica e tantomeno a quello che è la parrocchia… Per il futuro ho tanti punti interrogativi, tante volte mi domando: avrò sbagliato tutto?”
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Domenica Liberati, una presenza storica
Scuola Bolotta e la trasformazione di Ciampino
“Mia madre Maria Orlandi era nativa di Subiaco e mio padre Angelo Antonio di un paesino vicino, Camerata Nuova, sempre in provincia di Roma. Papà venne qui intorno al ‘29 per motivi di lavoro e fu assunto come operaio alle Capannelle, dove ha conosciuto mia madre. Mamma mia faceva la telefonista e addobbava le tribune reali, veniva pure il re a vedere i cavalli. Mamma aveva diciotto anni e aveva trovato questo lavoro per mezzo di persone che venivano e andavano. Appena sposati, nel ’32, i miei genitori vanno ad abitare in una casetta al confine con l’aeroporto, dalla parte della Folgarella, poi comprano la terra in via Morena, nell’attuale via Ovidio.
Nel ’33 nasce Fernando, il primo di quattro figli.
Ho fatto le elementari al Sacro Cuore con la maestra Chiavarini e le medie ad Albano, qui a Ciampino avevo fatto solo il primo anno alla scuola Bolotta, in via Principessa Pignatelli.
Io ero figlia di operai, non avevo grilli per la testa, vivevo la mia vita quotidiana nella semplicità, nella dolcezza dei miei genitori, dei miei fratelli. Tutto qui, non è che si facessero cose speciali. Frequentavo l’Azione Cattolica, sono stata Beniamina e Aspirante, vinsi pure un premio per certi quesiti che ci facevano fare. C’era un sacerdote di colore, padre Vincenzo, che mi scrisse pure una cartolina dalla Svizzera.
Andavamo in parrocchia a vedere i film in bianco e nero, era una vita talmente semplice… A ballare non ci sono andata mai, mio fratello Fernando faceva pratica con me, a casa, poi lui andava a ballare da Mancini. Dietro al bar di Mancini c’era la sala da ballo dove facevano Miss Ciampino. La prima miss Ciampino fu Erminia Sanna, una bella ragazza mora di origine sarda.
Il mare l’ho visto da piccolina, mio padre e mia madre mi mandarono in colonia ad Anzio dalle suore filippine.
Mi è piaciuta fin dall’inizio la trasformazione di Ciampino. Tengo a precisare che io sono amante delle costruzioni, sono andata sempre in tutte le strade a vedere queste villette, questi palazzi che man mano crescevano. Era come se questo paese mi appartenesse. Mi piaceva questa trasformazione di Ciampino che man man si accresceva, si arricchiva, cambiava.
I rapporti con la gente allora erano diversi, c’era la semplicità, c’era quell’amicizia sana. Addirittura, mia madre con una vicina compravano in società la macchinetta per tappare le bottiglie di pomodori: faccio io e dopo la do a te.
Adesso è diverso, non c’è dialogo, non c’è più condivisione, sia nella malattia e nella sofferenza che nella gioia. Perché poi la vita è fatta di tutto questo”
Continua
Foto: archivio Maria Lanciotti
da L’erba sotto l’asfalto – Edizioni Controluce 2007, pubblicato con il patrocinio del comune di Ciampino, in occasione del Decennale della Biblioteca comunale P. P. Pasolini
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