Uno spaccato di storie ciampinesi ‒ 9
Uno spaccato di storie ciampinesi di ieri e di oggi ‒ 9
In occasione del mezzo secolo di Ciampino comune autonomo
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Roberto Lanciotti, falegname figlio di falegname.
Ferrovia vecchia, via Lucrezia Romana, Due ponti, Gioacchino Rossini, Giuseppe e Umberto Del Bufalo, Villa Imperiali, Tufello, Lotta Continua
“Sono nato alla Folgarella nel ’63. Quando mi affacciavo alla finestra vedevo campi, prati, vigneti incolti e strade bianche, e qualche casetta bassa con i tetti spioventi, quelli di una volta; c’era la zona dei siciliani, dei calabresi, dei napoletani.
In via Ferrovia Vecchia dove una volta – mi dicevano i miei – ci passava il treno, andavo a cercare i sassetti. Giocavo con gli altri ragazzini, s’andava a caccia di lucertole, si giocava a pallone e dovunque s’incontravano ‘ste buche enormi, ‘ste montagne russe.
Quando ho avuto la bicicletta mi portavo dietro Antonio anche se pesava e s’andava in giro, le macchine non erano tante come adesso.
Nonna mi portava spesso a sentire il rosario in una specie di garage, poi m’hanno messo a fare il chierichetto, mia sorella mi faceva fare le prove a casa con le ampolle. Poi la chiesa è stata spostata in via Leoncavallo e io, già un po’ cresciuto, mi guardavo le ragazze ma senza avvicinarle, per carità. Con gli altri ragazzini mangiavamo le ostie di nascosto, il prete strillava ma poi si faceva una risata, e via.
A un certo punto ho scoperto che Ciampino non era solo la Folgarella. Ho cominciato ad allontanarmi, pochi passi più in là, e in via Lucrezia Romana faccio amicizia con un gruppetto di ragazzini.
Ci vedevamo in un fabbricato che doveva essere abusivo, c’erano i pilastri e i solai con le scale, il futuro garage, pianoterra e due piani, e quello era tutto nostro. Di sotto si fumava per non essere visti dai vicini, al primo piano si parlava di ragazzine e sopra si saliva per buttarci di sotto su un mucchio di sabbia.
L’adolescenza l’ho passata in via Lucrezia Romana; quelli della Folgarella m’hanno visto un po’ traditore, ma per me è stato un cambiamento, una crescita. Anche perché da via Lucrezia Romana ho fatto altri quattro passi e sono arrivato a Morena dove ho incontrato altra gente.
Quelli di Morena facevano più o meno le stesse cose che facevamo noi, ma in modo diverso: parlavano diverso. C’era uno che si chiamava Marte che mi parlava di politica e io non ne sapevo niente. La domenica, quando dovevamo decidere che fare, lui diceva “assemblea,” io dicevo “cinema,” si discuteva, si litigava e finiva lì la giornata.
Al cinema ci andavamo spesso con quelli di via Lucrezia Romana. Partivamo in venti, venticinque e s’andava tutti al Vittoria o al Pidocchietto. Al Vittoria andavamo in galleria, così non ci vedevano i grandi, e si fumava, si faceva caciara, e insomma il cinema era una bella cosa.
D’estate andavamo a ruba’ le fave per il gusto più che altro di scavalcare la rete, per quell’emozione … boh!
Si è cresciuti ancora un po’, tanti avevano i motorini e mi prendevano volentieri dietro.
Andavamo all’ENAL a giocare a biliardo e ci passavamo pure delle mezze giornate. Poi c’è stato il periodo del bar sui Due ponti, col biliardino e il jukebox, e noi a sentire la musica, a ballicchiare; ma le ragazze non s’avvicinavano, forse eravamo un po’ troppo rozzetti.
In uno spiazzo vicino ai Due ponti c’erano le giostre col calcinculo, e io ero sempre quello che veniva lanciato perché ero leggero. A Capodanno, il primo che passavo fuori casa, ci viene in mente dopo mezzanotte di andare alle giostre. Arriviamo e troviamo tutto chiuso: “Annamoie a bussà, annamoie a bussà!” e a momenti buttiamo giù la porta. S’affaccia il padrone: “Ma che volete?” “Accendi er carcinculo!” e questo accende il calcinculo e ci mettiamo a girare. Che Capodanno, quanto è stato bello!
Alle giostre c’era pure il pungiball e le mani lì se le sgrumavamo; andavamo a scuola con le nocche sanguinanti, dovevamo far vedere quanto eravamo forti.
Le elementari le ho fatte alla scuola della Folgarella. Pochi ricordi. La lotta con qualche compagnetto alla ricreazione, la Malandrucca – mitica, ancora mi ricordo gli schemi che faceva alla lavagna per insegnarci la grammatica –, un periodo che si tornava il pomeriggio al doposcuola e mi divertivo tanto.
Quando vado alle medie alla Gioacchino Rossini, scopro che Ciampino ha il centro e che io ero della periferia.
In centro c’era una mentalità diversa, i ragazzi erano più svegli, moderni anche nel vestire. Notavo la differenza e cercavo di adeguarmi, ma senza convinzione.
Da quella scuola faccio altro quattro passi e arrivo a Villa Imperiali, che era un prato con una recinzione.
Nella mia classe c’erano Giuseppe e Umberto Del Bufalo; con Peppe la prima volta che ci siamo visti abbiamo fatto a cazzotti, poi lo incontro alla villa con altri compagni, lui mi fa la cianchetta e io che ho dovuto fa? l’ho dovuto prende e sbatte per terra: “T’arrendi? T’arrendi?” alla fine s’è arreso e il gruppo mi ha accettato perché non sono scappato, perché non ho fatto finta di niente. Funzionava così.
Provo a portare gli amici di via Lucrezia Romana a Villa Imperiali, ma proprio quel giorno si presenta Lillo, uno della famosa banda dei siciliani. Cerca di rubarmi le sigarette, io reagisco e lui minaccia di chiamare i fratelli; facevano paura a tutti, capaci pure di spararti, così ci siamo dovuti ritira’ e i miei amici non sono più voluti venire alla villa.
Spesso si faceva a botte senza motivo, solo perché c’era quello che si credeva più forte e doveva dimostrarlo. Stefano Ionni, il più forte della classe, sfidava tutti e vinceva sempre; quando è toccato a me avevo tutti i compagni dietro che mi dicevano “sta attento, che quello te spacca”, mentre Ionni aveva solo il suo consigliere che gli suggeriva le mosse segrete.
Andiamo tutti al campetto dove si faceva a botte, si fa il cerchio di tutta la marmaglia che sta a guardare, io prendo il primo cazzotto, vedo tutto nero e quando mi riprendo mi rendo conto di aver steso Ionni, senza sapere come. Mah!
Girando per Ciampino conoscevo tanta gente, questa cultura più evoluta. Carletto, il figlio dell’avvocato Tronca, portava gli stivaletti col tacco, il giubbottino di pelle e piaceva tanto alle ragazze per il suo modo di fare; andava a scuola a Roma quando noi, sì e no, andavamo a scuola a Ciampino. Spesso facevamo sega e andavamo alla torretta all’Acqua Acetosa a fa’ le salsicce al fuoco alle dieci de mattina.
Ciampino l’avevo scoperta tutta, mi pareva finita.
[…]
Mio fratello aveva fatto le superiori al Tufello, alla Scuola Regionale di Elettronica, e dopo aveva subito trovato lavoro. Finite le medie anch’io vado allo stesso tipo di scuola ma alla Piramide, che era più vicina, con due compagni delle medie dell’Acqua Acetosa, e troviamo tutta un’altra situazione. Noi giravamo come tre allocconi per Roma con le ragazze che ci dicevano “Maschio represso masturbati nel cesso”; e noi: “ma che vor dì? ma che j’avemo fatto a queste?”
Tutti leggevano Lotta continua… lotta continua? e che è ‘sta cosa? Gli studenti ci dicevano che i professori erano conservatori e reazionari, mi facevo spiegare il significato di queste parole, ma non è che ne capissi molto. Noi di Ciampino non riuscivamo a integrarci con queste cose nuove, avevamo giocato fino a ieri con la bicicletta, col vespino, la vespetta, studio poco e niente e questi invece erano tutti acculturati.
A quella scuola mi fanno capire che è meglio se non perdo tempo a scaldare i banchi. A casa mi dicono: o studio o lavoro. Mi faccio un anno di lavoro poi dico “non me piace” e torno a scuola, stavolta al Tufello, e lì comincio a capire il senso di questa rivolta, a farmi un piccolo bagaglio. La professoressa Ida di educazione civica ci parlava di teatro, di letteratura, di storia. Chiedeva: “Come si regge l’Italia?” e noi: “sull’acqua!” e lei ci spiegava che l’Italia si regge sull’industrializzazione e ci faceva capire tante cose. Una volta parlava della proprietà privata e io dico: “Scusa tanto, professore’, ma se uno c’ha un campo de cipolle, che è suo, perché lo deve dà agli altri?” e lei: “Aspetta, ne riparliamo più in là.”
Ogni tanto a Ciampino andavo a ricercare i miei amici, ma chi già lavorava, qualcuno addirittura si era sposato – bum bum bum e s’era sposato! – qualcuno si drogava, e qualche altro non c’era più. Tanti ragazzi sono caduti in questa trappola, girava tanta droga a Ciampino. Se io mi sono salvato, in parte lo devo alla famiglia sana che mi ritrovo alle spalle.”
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Luigi Pulsoni, officina autoriparazioni in via Mascagni
Dall’Aquila alla Folgarella, da Franco e Palmetta a Luigi terza generazione
“Nel primo dopoguerra vengono dall’Aquila Franco e Palmetta, in questo lotto dove c’era la casa e l’ovile; il gregge lo portavano a pascolare nei tanti prati che c’erano allora alla Folgarella. Hanno quattro figli: Iolanda, Pasquale, Domenico e Tonino. Io sono il figlio di Domenico. Qui, fino agli anni ’60, c’era ancora il gregge.”
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Michele Concilio, giornalista pubblicista, appassionato esponente della storia locale
Montorio Veronese, don Ugo, Dottor Luigi Allori, Sada reporter, Ciampino Anni Nuovi, Tito Malagnini, Filippo Adamo, ASC, Giovanni Paviolo, Anni Nuovi S.r.l.
“Avevo quattordici anni quando arrivai a Ciampino nei primi giorni di luglio del ’64. Venivamo con mamma e papà da Montorio Veronese, una frazione di Verona, dov’ero nato. Io ero attaccatissimo a questo paesino carino, con tante sorgive, laghetti, pesciolini, acqua fresca e zampillante, ciliegie sugli alberi, i bei giochi della mia infanzia serena.
I miei genitori, entrambi campani, lì riuscirono a farsi voler bene. Poi papà maresciallo dell’Esercito viene trasferito a Cuneo, e per mamma – napoletana – è un colpo. Troppe nevicate. “Mimì, non mi portare qui,” e papà fu bravo, accettò il trasferimento a Roma nello Stato Maggiore dell’Esercito. Mio padre si era fatto la campagna di Grecia-Albania, con l’Armistizio era scappato, era arrivato sulle coste, aveva preso l’ultimo piroscafo che riuscì a lasciare l’Albania, che però fu affondato davanti alle coste pugliesi, si fa a nuoto ‘sto paio di miglia e appena arrivato viene preso dalle Autorità italiane e si fa tutta la Campagna ’43, ’45 come telegrafista. E poi viene in questo Ministero, in ufficio, a battere a macchina. Un atto d’amore.
Arrivai a Ciampino pieno della mia veronità; mi sembrava strano il dialetto, mi colpiva il modo di parlare sguaiato delle ragazze. Per me fu uno shock.
Venendo da un paesetto cattolico all’ombra del campanile, per prima cosa andai in parrocchia; incontrai un gruppetto di ragazzi che mi dissero: “qui non c’è niente, non si fa niente,” e io ci credetti.
Stavo molto male, ero smarrito. L’unica cosa che mi tirò su era il clima, il cielo terso celeste, questo venticello, poche case e villette, non c’erano tanti palazzoni, il nostro in Viale Roma era uno dei primi in cortina. Poi c’era l’attrattiva dell’aeroporto con gli apparecchietti militari della seconda guerra mondiale, la ferrovia, il treno di cui ero appassionato e che nel mio paese non c’era.
Il paese non mi dispiaceva, mi mancavano i rapporti umani: mi avevano detto che non c’era trippa per gatti.
Cominciò a nascere in me la passione per il giornalismo. Era un sogno ricorrente poter lavorare ad un giornale, estrinsecare un’attività che mi piacesse.
Nella primavera del ’66 mi riaffaccio in parrocchia ed ho la fortuna d’incontrare don Ugo; proposi questa cosa, un po’ di fantasia, niente di costrutto, solo questo sogno. Va be’, disse don Ugo e chiamò un gruppetto di ragazzi della parrocchia.
Nacque ‘sto giornalino a Ciampino, che a quell’epoca era la piazza e le zone limitrofe. Ero sempre lì nella stanza della canonica; il ciclostile Sada reporter, la vecchia Olivetti 82, la mitica 82. Il rapporto con la gente, l’abbonamento casa per casa e la gente che rispondeva.
Il primo numero esce il 5 giugno 1966. Il sabato facemmo notte, ricordo che andai di corsa da casa mia alla redazione con la fetta di torta in bocca: il 4 giugno era il giorno del mio compleanno, sedici anni. La mattina dopo fu bello, cento copie vendute sul sagrato della chiesa a trenta lire. La scena molto bella del dottor Luigi Allori, a suo tempo direttore di Ciampino libera, che tirò fuori due banconote da mille per incoraggiamento. Andammo di corsa a ciclostilare altre cento copie.
Poi una mamma che si avvicina, un fatto che valorizzò il giornale con un balzo di responsabilità. Gli anni più significativi della crescita nostra e del giornale, chi lo vedeva da fuori non credeva che fosse un lavoro di ragazzi.
Facevo il terzo anno di ragioneria al Buonarroti di Frascati e quello che studiavo a scuola lo mettevo in campo; fatture, amministrazione, anni di grossa maturazione. Nel 1969 lo chiamiamo Ciampino Anni Nuovi, poi ci furono contatti con gruppi di fuori che si unirono a noi e diventa Anni Nuovi.
Noi eravamo nati per una realtà comunale locale, fatti e persone che riguardassero Ciampino. Una scelta. Verso la fine del ’69 lasciamo la parrocchia e veniamo qui ( Redazione in via Fiume 1/A, N.d.A.) per una maggiore autonomia. Per il numero di dicembre ci fu qualche problemino: eravamo stati denunciati perché il giornale non era in regola e ci andavamo informando per come risolvere le cose. Andammo con Tito Malagnini a Ostia da un avvocato, il quale ci consigliò di costituire un’associazione culturale – ASC, Associazione Studentesca Ciampinese –, il giornale come organo, le copie consegnate solo ai soci. L’espediente che s’inventò l’avvocato fu quello di diventare soci dell’ASC con l’abbonamento. Si va sul filo del rasoio, che facciamo, rischiamo e guarda le cose della vita si affaccia sulla porta della redazione e nella nostra vita questo distinto signore, Giovanni Paviolo, che dall’anno prima aveva dato vita a un giornale cittadino, Il Precursore, di cui era il factotum. Grande passione per il giornalismo, iscritto all’albo, ci propone la collaborazione e nasce l’idea di far uscire il nostro giornale come Edizione Giovanile de Il Precursore, direttore Giovanni Paviolo.
Costituimmo una società nel ’73, io venni fatto Presidente del Consiglio di Amministrazione e dentro c’era anche Paviolo: Anni Nuovi S.r.l. La cosa che ci consentì di regolarizzare tutto negli anni a venire fu l’iscrizione all’albo dei giornalisti.
La mia passione per la storia locale, un lavoro diverso dal giornalismo, nacque un giorno visitando una mostra fotografica di Filippo Adamo, allora assessore alla cultura, nei locali occupati per tanti anni dalla Polizia Municipale. Colpito da queste foto, compresi che non avevo valorizzato Ciampino: “Ciampino non è solo un ammasso di palazzi, bisogna che ne sappia di più,” e nel 1978 nasce Storia e Guida di Ciampino. Nella prima parte vengono pubblicate oltre a foto storiche – reperti archeologici, antiche ville e casali – le prime foto, pochissime, e cartoline tolte dai cassetti di famiglia dei ciampinesi. Poi la storia si amplia con l’edizione dell’’85 e con i successivi volumi.
Mi sorprende il fatto che abbiamo queste cose storiche, mi appassionavano le foto come mi appassionava da ragazzo la raccolta delle figurine. Oltre alla parte delle immagini, nacque il desiderio di ascoltare le voci. Era bello vedere come la gente si entusiasmava, come si stupiva nel sapere per esempio che il collegio del Sacro Cuore fosse sopravvissuto al primo bombardamento del ’43.
Grande lavoro di ricerca alla Biblioteca Provinciale di Roma sul nostro territorio, e la ricerca su Ciampino. Scoprire man mano nuovi tesori – cartoline, foto – il brioso interesse della gente per la propria ricerca. Cresceva la fiducia dei ciampinesi.
Sono grato a Ciampino; mi ha fatto crescere, sviluppare e completare nella mia coscienza di italiano. Originario del sud, nato al nord e vissuto al centro, ho potuto fare una varietà di esperienze complementari non a tutti concesse.
[…]
Perché Anni Nuovi non prende il volo. Primo, dipende da noi. Non abbiamo più quella carica propulsiva interiore – motivi familiari, circostanze, eccetera – e si è anche pensato di chiudere e lasciarci tutto alle spalle, ma c’è una forza che ci costringe ad andare avanti. Altra causa è la nuova generazione, diversa da noi: tanti giovani che si avvicinano vogliono la pappa fatta. Non hanno la passione vera per la redazione ‒ diversa dal giornalismo ‒ che è vita, microsocietà dove tu vivi, assorbente realtà dove far muovere quello che si produce. Girare per le case, contattare la gente, inventarsi formule di promozione.
Andiamo col motore al minimo, collaudato; non è che oggi Anni Nuovi sia splendente.
Il sogno che accarezzo è che lo zoccolo duro, la vecchia guardia, tutti ormai prossimi alla pensione da qui a cinque anni, a guisa di Paviolo che andava in giro con molto entusiasmo, ci dedicassimo al rilancio di Anni Nuovi e forse questa idea ci aiuta a resistere.
Abbiamo cominciato con un ragazzo di sedici anni che sognava una redazione, e siamo oggi qui a rivivere un altro sogno che si proietta a distanza, abbracciando un periodo di mezzo secolo.”
Sospensione. E la storia continua…
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Foto: archivio “ANNI NUOVI”
da L’erba sotto l’asfalto – Edizioni Controluce 2007, pubblicato con il patrocinio del comune di Ciampino, in occasione del Decennale della Biblioteca comunale P. P. Pasolini
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