Uno sguardo di chi c’era “Non chinare mai la testa” ‒ 3
Cronaca dura, quella degli anni Settanta.
Si voleva essere in tanti e uniti per portare avanti il sogno di un sostanziale rinnovamento, ma qualcosa prende a scivolare all’indietro, creando divisioni insanabili sotto la spinta di eventi sempre più gravi e destabilizzanti. La lotta armata prende proporzioni spaventose, agghiaccianti. Gli scontri di piazza assumono una ferocia inaudita. Il sangue scorre chiamando altro sangue. Un bollettino di guerra in continuo aggiornamento.
Omicidio Calabresi il 17 maggio1972.
Giovedì nero a Milano il 12 aprile 1973, scontri fra polizia e neofascisti, un morto e diversi feriti fra i celerini. Il rogo di Primavalle a Roma alcuni giorni dopo, nella notte del 16 aprile; morti carbonizzati al terzo piano delle case popolari i fratelli Mattei, Virgilio e Stefano di 22 e 8 anni, figli del segretario della sezione del MSI “Giarabub”. Ad appiccare l’incendio, militanti di Potere Operaio.
- Strage di Piazza della Loggia a Brescia il 28 maggio. Strage sull’espresso Roma-Brennero il 4 agosto; su quel treno doveva trovarsi Aldo Moro, ma era stato fatto scendere all’ultimo minuto per firmare “carte importanti”.
E di tensione in tensione, di strage in strage, fra prese di posizione e scaricamento di responsabilità, si continua a cavalcare il decennio della ferocia senza remore, che nel ’77 raggiunge l’apice.
Francesco Lo Russo, 25 anni, studente universitario, militante di Lotta Continua, viene ucciso a Bologna l’11 marzo durante uno scontro con le forze dell’ordine. Il colpo sembra essere partito dall’arma di un carabiniere. Per ordine del prefetto i funerali si svolgono fuori città, per motivi di ordine pubblico.
Il 21 aprile rimane ucciso durante scontri di piazza l’agente Settimio Passamonti, 23 anni, in servizio presso la scuola sottufficiali di Nettuno. In seguito alla sua morte fu emanato a Roma il divieto di manifestare. Si replica contro il clima restrittivo con sit-in, cortei e barricate di fortuna, fra spari di candelotti lacrimogeni, lanci di molotov e colpi di arma da fuoco.
Il 12 maggio Giorgiana Masi, 19 anni, studentessa liceale, viene uccisa a Roma durante una manifestazione, centrata alla schiena da un proiettile calibro 22. Emergono per la sua morte e il ferimento di un’altra ragazza chiare responsabilità a carico di polizia, questore e ministro dell’Interno. Si ammette – e poi si ritratta, malgrado inequivocabili prove fornite da testimoni, foto e filmati – la presenza di squadre speciali in borghese tra le forze dell’ordine in assetto di guerra.
La morte di Walter Rossi, vent’anni, studente, appartenente a Lotta Continua, ucciso il 30 settembre a Roma a colpi di pistola durante uno scontro fra giovani di sinistra e missini, riaccende una lotta furibonda fra i cosiddetti “opposti estremismi”.
Il clima di quegli anni, mai placato, si fa incandescente. I muri non bastano più per gridare a grandi caratteri spennellati in fretta e furia accuse e dissensi, in una forma esasperata e disperata, senza aperture.
È il momento delle radio libere e della controinformazione.
A maggio del ’77 fu fondata a Roma, con sede in via dei Volsci, Radio Onda Rossa – istituita da un gruppo di militanti della sezione romana di Autonomia Operaia – che porta avanti diverse battaglie e campagne di controcultura, agitando acque già ribollenti. La radio “di chi se la sente” non tace mai e tutti possono accedere ai microfoni in un susseguirsi di interventi anche improvvisati, che hanno in comune la rabbia sorda di quegli anni, ben diversa da quella manifestata nel precedente decennio.
C’è grande fermento nelle piazze, i ragazzi vogliono capire e non stare a guardare. Si formano gruppi che, entrati in contatto con persone più adulte e impegnate, affrontano un discorso sempre più ampio e politicizzato, con precisi obiettivi. Si sviluppano nuove forme di lotta politica attorno a quelli che negli anni successivi sarebbero divenuti i centri sociali. Il discorso è centrato sulla questione del diritto alla casa e dell’autoriduzione delle bollette ENEL e dei servizi in generale. Intanto si legge sui muri Meno chiese più case, uno slogan che inquieta clericali e proprietari d’immobili.
Anni difficili da ricordare senza provare una stretta al petto. Fu una vera escalation verso un punto di non ritorno che si visse in totale smarrimento, storditi dalla valanga di stravolgimenti e forse troppo presi dal proprio dilemma, dibattuti fra archetipi saltati e un vuoto colmo di paura e incertezze.
Poi arrivò quel 16 marzo del ‘78. Una data lapidaria, scolpita nella testa di tutti quelli che quel giorno c’erano, e ricordano dove si trovavano e cosa stessero facendo e come reagirono allo scoppio della notizia, come quando nel ’63 si apprese dell’assassinio di Kennedy.
Quella mattina mi trovavo all’istituto tecnico tecnologico “Michele Amari” alla Pantanella, nel comune di Ciampino in provincia di Roma, dove una delle mie figlie frequentava il secondo anno per geometri. Ero stata convocata d’urgenza e potevo immaginare il motivo: si parlava di agitazioni nelle scuole e maggiormente negli istituti a vocazione essenzialmente maschile, come l’ “Amari”. Aspettavo di essere chiamata in presidenza, quando un movimento strano si verificò all’interno della scuola, si svuotarono le aule e si riempirono i corridoi e tutti parlavano concitatamente e a bassa voce, e presto lo sgomento generale dilagò. Si era appresa per radio la notizia del rapimento di Aldo Moro e l’uccisione dei cinque agenti di scorta, e l’allarme scattò dentro ognuno di noi, un allarme spaventoso.
Da quel momento calò un clima blindato su tutto il territorio: polizia in assetto di guerra, continui blocchi stradali, perquisizioni e fermi.
Il 9 maggio Aldo Moro viene ritrovato cadavere nel bagagliaio di una Renault 4 parcheggiata in Via Fani a Roma e si scatenano le polemiche sulla conduzione delle trattative con i brigatisti suoi rapitori. Gli interrogativi restano aperti, le congetture fanno tremare il sistema.
Nello stesso giorno in cui fu ritrovato il corpo di Moro, muore a Palermo dilaniato dal tritolo Giuseppe Impastato, giornalista e poeta, cofondatore di “Radio aut”. “Incidente sul lavoro”, così fu archiviato in un primo momento il caso, passato sottotono data la coincidenza con l’altro crimine di rilevanza mondiale. “Forse suicidio, forse fallito tentativo dinamitardo”, si scrisse in seguito sui giornali. “L’ha fatto ammazzare Tano Badalamenti” disse subito la madre, e questa fu la sola verità, tardi ma appurata: nel 2002 condannato all’ergastolo Don Tani Badalamenti, Malacarne.
Al funerale di Peppino Impastato accorsero giovani da ogni parte della Sicilia, la sua casa divenne meta di pellegrinaggio, un conforto per la madre che continuerà a ripetere: “Non chinare mai la testa”.
Sandro Pertini, eletto presidente della Repubblica, nel suo messaggio di fine anno disse: “I giovani non hanno bisogno di prediche, i giovani hanno bisogno, da parte degli anziani, di esempi di onestà”.
(prosegue)
Foto: Michele Concilio ‒ Radio libere
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