Uno sguardo di chi c’era – Annotazioni sulla nostra storia recente fra cronaca e memoria ‒ 1
Uno sguardo di chi c’era
Annotazioni sulla nostra storia recente fra cronaca e memoria ‒ 1
I nati negli anni ‘60 – o generazione sputnik – trovarono un mondo in piena rivoluzione. Sorgevano intorno alle grandi città agglomerati urbani alla rinfusa, affollati di emigranti interni che avevano lasciato il paesello e il campicello per raggiungere comunità di compaesani già inseriti nel nuovo contesto, pronti ad aiutarli nel trovare lavoro e a farsi casa.
In queste distese periferiche disseminate di casermoni e borgate in via di espansione, la gente viveva una stagione felice, ricca di prospettive.
Già lontani nel tempo la tragedia della guerra e i patimenti del dopoguerra, si ripartiva alla grande, spinti dalla società dei consumi in pieno svolgimento di programma.
In questo tipo di società, euforica e combattiva, i bambini nascevano belli e forti come mai si era visto prima, e ciò si spiegava con il benessere che presto dilagò in tutte le case, migliorando la qualità della vita.
Le generazioni precedenti avevano prodotto i figli della guerra, del lavoro massacrante senza regole, della miseria e dell’ignoranza, ma tutto ciò era ormai un capitolo chiuso. Il progresso tecnologico, spronato dal boom economico, va scrivendo un’altra storia.
Il soffio di una nuova mentalità – proveniente da lontano, ma che già vorticava anche dalle nostre parti – prendendo rapidamente forza e consistenza aprì a nuovi slanci, protesi a una diversa visione della vita.
La guerra del Vietnam fu determinante per i moti di quegli anni. La tenace resistenza del popolo vietnamita al colosso militare americano, stava a indicare che l’organizzazione politica poteva affrontare ‒ e anche sconfiggere ‒ la potenza tecnologica.
Manifestazioni, assemblee nelle università occupate, raduni nelle fabbriche, roghi di bandiere americane, furono le tante forme di protesta contro questa guerra atroce, iniziata in realtà a metà degli anni ’50 con il primo manifestarsi di un’attività terroristica e di guerriglia in opposizione al governo sudvietnamita e il progressivo intervento americano.
Si fa strada una nuova forma di coscienza. Un “ampio ripensamento collettivo” stava maturando, coinvolgendo il mondo giovanile. S’intrecciano fermenti da luoghi anche culturalmente lontani, dal cattolicesimo post-conciliare ispirato alla Pacem in Terris (1963) all’underground americano. I casi di obiezione di coscienza diventano sempre più frequenti, sempre più giovani rifiutano d’indossare la divisa militare, sensibilizzati alla cultura della pace e della fratellanza universale.
A schierarsi apertamente a favore dell’obiezione di coscienza don Lorenzo Milani, autore con i suoi ragazzi di Barbiana del libro-manifesto Lettera a una professoressa, che nel ’66 scrisse:
“Avere il coraggio di dire ai giovani che essi son tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto”.
L’ “Autunno caldo” delle grandi lotte operaie, la strage di Piazza Fontana a Milano nel 1969, cui fa seguito la morte di Giuseppe Pinelli mentre in questura veniva interrogato dal commissario Luigi Calabresi, è l’inizio della “strategia della tensione” che esploderà di lì a poco e farà emergere tutta l’energia compressa della contestazione giovanile, che si credeva limitata in ambiti definiti.
(prosegue)
da Se tu mi chiedessi ‒ UniversItalia 2013
Foto di Roberto Canò
Non ci sono commenti, vuoi farlo tu?
Scrivi un commento