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Università: tecnologia al servizio della didattica (o viceversa). Una riflessione

Università: tecnologia al servizio della didattica (o viceversa). Una riflessione
Marzo 25
12:34 2020

(Andrea Rega) Le università italiane, anche le più blasonate, si stanno attivando per presentare online la loro offerta formativa. Nulla di male: si continua a studiare rimanendo in casa, si discute la laurea in pigiama! Ci sarebbe da chiedersi, perché, anche nel recente passato, tanti magnifici rettori si siano così battuti contro gli atenei telematici se, di colpo, smaterializzano tutto?

Per quanto tragica e profonda, basta una crisi sanitaria per oltrepassare, senza ridiscutere, una tradizione che, proprio in Italia, si è sviluppata e, quindi, in tutto l’Occidente? Questa eredità, di fatto all’opposto della logica social dei click e dei like, ha insegnato all’umanità, a partire dal XII secolo, la necessità di studiare confrontandosi. Un confronto con degli esperti, nella realtà, in presenza.

Sulle spalle dei giganti del pensiero greco si è superato, attraverso la dialettica e il ricorso comune alla ragione, il dominio dell’opinione per arrivare, quanto più prossimi possibile, alla verità delle questioni esaminate. Una giusta divisione e specializzazione dei saperi, i dipartimenti universitari, le comunità scientifiche, i convegni e quant’altro nascono proprio da questa motivazione originaria.

L’attuale deriva tecno-didattica, presa dall’imperativo del ‘the show must go on’, sta di fatto superando, senza integrare, quanto finora detto e il suo corrispettivo pedagogico. Ovvero, la presa in carico complessiva dello studente. Questa non si arresta alla sola, per quanto importante, trasmissione dei saperi senza, al contempo, occuparsi della formazione dello spirito. Per ottenere entrambi gli scopi, però, è necessario incontrare gli studenti e non una comunità di follower.

Al contrario, se si dovesse ritenere l’insieme dei precedenti aspetti superato dalle tecnologie della comunicazione, tanto vale imparare qualcosa anche dalla quarantena. Avviando una bella spending review accademica. Affidandoci alla sola  tecnologia, basta pensarci un attimo, diverse cose non avranno più senso. Soprattutto, il mantenere tanti prof. regolarmente stipendiati dai singoli atenei a carico del MIUR: almeno quelli umanistici, non tralasciando i giuristi che passano alla politica, fino a quelli delle scienze non applicate.

Basta che siano reperibili docenti abilitati all’insegnamento. Poi ogni studente potrà scegliere, autonomamente online, il proprio prof. e fare con lui l’esame previsto nel Piano degli studi del Corso di Laurea. Linguistica con Serianni, Sociologia con De Masi, Filosofia con Fusaro, giusto per fare qualche esempio.

Ognuno connettendosi con il prof. prescelto, nella sua aula virtuale, lo pagherà direttamente. Mettendo fine ai tanti spostamenti di giovani verso le famose città universitarie (Roma, Bologna, Milano, ecc..) e al pagamento delle temute rate. All’interno di questa nuova prospettiva l’università si troverebbe, pur non trovandosi fisicamente in alcun luogo, all over the place. Basterebbe una sola aula reale per difendere la tesi. Di fronte ad una commissione di tre esperti e se si vorrà brindare, poi, con amici e parenti. Altrimenti a tutta fibra, ma sempre in pigiama! Gli atenei, come li conosciamo noi, possono essere abbattuti a colpi di: Zoom, Skype, Microsoft Teams e Google Hangouts.

Senza continuare a studiare stratagemmi nazionali, per superare l’inveterato ed iniquo costume della cooptazione, basterebbe affidarsi, in toto, alla tecnologia. Saranno, così, i fruitori a scegliersi i professori. Quest’ultimi, messi alla stretta da una nuova logica di mercato tecnologico della formazione, magari smetteranno di dedicarsi allo studio delle imbarcazioni della tratta degli schiavi, all’evoluzione della casa borghese e a tante altre corbellerie che farciscono molte parti monografiche di altrettanti insegnamenti.

Rispetto, invece, alle scienze applicate anche la Laurea in Medicina è stata, recentemente, ottimizzata. Quando è allo stremo anche l’Italia semplifica! Il percorso è diventato immediatamente abilitante senza il relativo esame di Stato. Ma ancor meglio la si potrebbe prendere, direttamente, in corsia. Proprio perché il lavoro ha valore formativo. Da quell’esperienza che ti entra nelle ossa emerge un saper fare scientifico: teoria e pratica su base empirica. Così potrebbero fare i biologi e compagnia danzante: università corsia, università laboratorio e università cantiere.

L’unica riforma possibile per l’università italiana, tanto è incancrenita, potrebbe essere quella di distruggerla ripensandola daccapo in maniera inedita. Da una parte, si potrebbe partire, proprio, dalla riscoperta qualificante dell’esperienza sul campo. Ciò permetterebbe di oltrepassare l’attuale scontro tra: conoscenza teorica e conoscenza pratica. Urto ravvisabile nella separazione tra scienza, tecnica e arte che sono, invece, in continuità indissolubile sul piano epistemologico.

Quest’ultimo tema, però, appare ben lontano. Mentre, più insidiosa anche se suggestiva, è la svolta tecnologica che si sta affacciando.

La sperimentazione, se così si può dire, è già partita forzata da una virulenta pandemia. Si ritornerà alle vecchie maniere o è un primo passo verso un irreversibile avanzamento del paradigma tecnologico nel campo dell’istruzione universitaria?

L’autore – Andrea Rega, Ph.D. in Formazione della persona e mercato del lavoro, è Professore a contratto di Pedagogia generale presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”. Ha pubblicato, per riviste accademiche italiane ed estere, diversi saggi inerenti: il rapporto scuola-famiglia, educazione alla cittadinanza, extra-scuola, dispersione scolastica e tutela del minore vittima di violenza. Nei suoi scritti, con particolare attenzione, è stato analizzato il ruolo delle tecnologie informatiche nei processi formativi.

Per approfondimenti, vedi:

Rega A., Persona umana, tecnologia informatica ed educazione. Creazione di senso e gestione razionale dei processi multimediali, “Formazione, lavoro, persona”, n. 8 – Anno III, Luglio 2013, pp. 87-101.

Rega A., Development of the human person in response to the technological efficiency paradigm, “The New Jersey Journal of Supervision and Curriculum Development”, Volume 55-2011, pp. 65-71.

Rega A., Dalla soggettività performativa alla pluralità corresponsabile, “La Famiglia. Rivista di problemi familiari”, n. 253 – Anno XLIV, Luglio – Settembre 2010, pp. 78-83.

Rega A., La responsabilità docente nella contemporaneità tecnologica, “Le Nuove Frontiere della Scuola”, n. 22 – Anno VIII, Febbraio 2010, pp. 96-104.

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3 Commenti

  1. Antonella
    Antonella Ottobre 06, 14:00

    La tecnologia deve mettersi davvero al servizio dello studio, altrimenti vengono a mancare i fondamenti di base dell’insegnamento che non sono solo nozionistici. Il rischio è una cultura standardizzata non più a 360 che, senza visione d’insieme e capacità di ragionamento, è inerme di fronte agli “attacchi del potere”. Ad esempio, l’università in sei mesi di Google. Ma come è possibile? Come si può fare? Gli studenti non sono vasi da riempire: è meglio avere una testa ben fatta che una testa ben piena!

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  2. Noemi
    Noemi Aprile 14, 18:17

    A quanto scritto nell’articolo occorre aggiungere altre questione pratiche rispetto alla didattica a distanza universitaria: la distrazione data dalla possibilità di seguire, contemporaneamente, più schermate (PC, tablet, cellulare, ecc..); i rumori di sottofondo nelle case (non tutti possiedono uno studio) e l’impossibilità di accedere alla biblioteca d’ateneo limitandosi a fare ricerche su internet

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  3. Carolina.98
    Carolina.98 Aprile 14, 18:14

    La tecnologia, in questo delicato momento storico, sta apportando un aiuto positivo e significativo alla didattica. Le scelte adottate, in merito, dovrebbero essere transitorie. La speranza è che presto l’erogazione della didattica, in presenza, riprenderà regolarmente. L’università che frequento ha adottato fin da subito, in tempi brevi rispetto alle aspettative, una modalità valida, veloce ed efficace per permettere a tutti di proseguire una vita parzialmente normale (didatticamente parlando).
    Da un lato si garantisce una continuità nell’erogazione dell’istruzione, dall’altra la parte, quella umana, vengono a mancare l’interazione e il confronto diretto. Rimangono, comunque, due domande: le famiglie dispongono dei mezzi tecnologici necessari a far fronte a più di una necessità? Si sarebbe potuto prorogare, ulteriormente, il pagamento delle rette universitarie?

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