Universi temporali
In centimetri le dimensioni fanno 21 in altezza, 31,5 in larghezza. Da proporlo rettangolare nel senso di un album per fotografie, di quelli che col digitale non si vedono più. In libreria lo noti per questo. Lo prendi, lo sfogli e, prima di passare sguardo allo scritto, ti ritrovi a considerarne le illustrazioni. Perché Nicoletta Retico, oltre a quella di scrivere, si ritrova un’altra debolezza, quella del dipingere. Per cui Universi temporali, titolo del libro di cui tratto, porta come sottotitolo Alchimie di Quadri e Racconti. Inevitabilmente. Appropriatamente. Per una questione di omogeneizzazione. Se, a prima vista, scrittura e pittura sembrano nel componimento fisiologicamente due modalità espressive a sé stanti, separate e distinte, ognuna con una propria ispirazione e altrettanto proprio svolgimento, a visione e lettura completate testo e quadri non hanno più consistenza separata. Si sono fusi, liquefatti uno negli altri. Fino a rappresentare un impasto solidificato, indivisibile.
I quadri sono diventati scrittura, il testo s’è fatto pittura. Per capacità dell’autrice, riuscita a trasferire l’unicità della sua concettualità, della sua espressività, senza sforzo, disinvoltamente, in un prodotto di qualità consigliabile, da condividere. A chi commenta un prodotto siffatto, sintesi di duplice potenzialità intellettuale, spetta, però, per provare a illustrarle, il compito di presentarle separatamente. Compito ruvido, risultando sempre ostico alquanto sezionare ciò che natura ha accorpato. Compito arduo. Raccontare i quadri senza averne visione non è agevole, per chiunque, ancor più per me. È una pittura, quella di Nicoletta Retico, che può trarre in inganno. Naturalistica, figurativa, a prima vista, man mano che le illustrazioni scorrano noti immissioni surrealistiche, cogli inserti espressionistici, rilevi contesti tonali, preziosità decorative, che portano a ricrederti: Nicoletta Retico è una pittrice autentica, strutturata, sofisticata. Come pittrice l’aspettiamo. Deve sottoporci l’evolversi del suo incedere artistico, deve fare una mostra. Arrivati al testo, vi si srotolano dieci racconti, senza legami tra loro, né di ordine cronologico né tematico. Il tratto comune è rappresentato dallo stile. Lineare, descrittivo, accessibile, scorrevole. La diversità è data dal concepimento, riguardo al quale la Retico afferma: «ogni racconto ha avuto numerose genesi e ispirazioni, che si sono fuse tra loro fino ad assumere una forma compiuta: da sogni, intuizioni, fotografie, dal teatro, dal cinema, da un quadro che ho visto o dipinto, da notizie lette o da frammenti di vite altrui». Bel groviglio. Così, ogni vicenda illumina i destini di uomini e donne che al lettore offrono, attraverso i loro gesti e le loro idee, la chiave per provare a comprendere il senso complessivo di una caotica, sempiterna umanità. Da cui provengono situazioni e immagini come se fossero davvero movimenti interiori. Oltre che autrice padroneggiante a pieno l’impasto d’intreccio, la Retico è anche l’Io in cui il Te del lettore può riflettersi senza sforzo, e soprattutto senza resti di sorta. Raccontando, Nicoletta brucia tutto il suo carburante narrativo. Così sulla pagina, pulita e redenta, non resta alcun residuo. Come i suoi personaggi, la sua scrittura, formalmente sostenuta, è un modo per ripulire dei suoi riverberi profondi la perplessità sottostante, facendo identificare il lettore coi protagonisti, coinvolgendolo e accompagnandolo all’uscita senza troppi turbamenti.
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