Una superstite del lager ci accompagna
Una superstite del lager ci accompagna,
attraversiamo lentamente quel cancello,
con sopra la scritta che ha girato il mondo,
il lavoro rende liberi
Uno dopo l’altro quei blocchi visitiamo.
Oggi nessun ordine! il silenzio è totale!
La ciminiera riposa, stanca di fumare.
Sembra favellarci: – ma voi, da dove venite?
Anni son passati da quei giorni!
quasi dimenticavo, ora non più.
Uccelli allegri in giro canticchiano,
dopo aver sentito lamenti per anni,
che anche il loro canto avevano trasformato
riducendoli ad un pauroso gracchiare.
Alla ferrovia dei vagoni piombati,
resta il rimorso di aver visto prima del traguardo
consumarsi alloro interno ogni sorta di dolore:
solo la morte era la benvenuta,
ma in quella condizione,
troppo stanca anch’essa.
Nel cielo alti svettano i pioppi,
il vento fischia, piega le cime rispettose,
le spighe di grano, in silenzio guardano,
il girasole anche lui guarda dove sta l’orrore.
L’intera tragedia è qui davanti!
Tutto si vede,
poco si sente,
ogni cosa è autentica!
Tutto è maledettamente vero!
anche la natura, si sente responsabile,
per aver dovuto assistere,
al varo della morte scientifica!
Cumuli di scarpe,
mucchi di valigie,
capelli multicolori,
trecce dorate,
occhiali a non finire,
pelle umana conciata per paralumi,
il numero è la,
testimonia l’autenticità!
Veloce è il pensiero, di chi sarà la pelle?
Una vocina interna mi fa,
no amico, non si può,
E’ quella di tutti!
Poi come se la voce avesse ordinato
davanti a noi si ergono silenziosi
bambini,
donne,
uomini di ogni età
che ci accompagnano per dirci
che sono tutti la!
E ancora, saloni con “docce” per gasare,
bocche dei forni,
che hanno restituito cenere:
un brivido freddo mi passa per la vita,
senti l’odore di questa polvere umana,
nel laghetto di lagrime
le oche non ciarlano,
nuotano silenziose.
Un filo decideva la sorte dei bambini,
stretto è il passaggio,
spago tirato,
altezza un metro,
se non urta il filo,
il fanciullo non è idoneo
deve morire!
Alla chiamata rispondevano i bambini,
si alzavano sulle punte dei piedini,
per forza il filo volevano toccare,
con la speranza di vivere un altro giorno.
La garitta dell’auto eliminazione.
Per entrare nel buco sotto devi strisciare,
capienza tre prigionieri
niente aria
solo un foro in alto,
per conquistare il respiro
sui due più deboli il terzo
doveva salire.
Non si può capire se non vieni a visitare,
saloni pieni di ogni cosa, ma tutti in ordine
tutto è selezionato per essere altrove lavorato.
Così trovarono i sovietici al loro arrivo
Così fu lasciato,
perché il mondo un poco conoscesse.
Al termine la signora che ci accompagna,
ci dice che c’è un’ultima cosa da vedere
che sta proprio davanti a noi:
si scopre il petto e ci mostra,
al posto del seno due circonferenze bruciate,
ci dice ancora: – per dieci giorni con il ferro da stiro,
il seno mi hanno bruciato!
Chi può sapere quello che ho provato?
per mia “fortuna” accadde,
solo venti giorni
prima che fossimo liberati.
Indelebile quel segno
come tutto il resto.
Come tutto il resto.
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