Una profonda riflessione
Capita sempre più spesso di ascoltare inesattezze plateali, fino a farle diventare verità addirittura condivise, droghe pesanti e droghe leggere, una sorta di accettazione della anormalità, della canna che non fa più male di una sigaretta o di un bicchiere di vino, del calare giù settimanale, come fosse davvero un semplice fare sporadico che non ingabbia in alcuna dipendenza fisica, figuriamoci psicologica. Questa evidente menzogna, deriva proprio dal vivere male costruito a misura dalle persone mature, nel disertare quegli interventi preventivi che dovrebbero educare allo sviluppo del proprio senso critico. Quando parliamo dell’età in cui definire la propria identità contempla il rischio dimostrativo, i riti di passaggio, i totem schierati in bella mostra, non bisogna lasciare spazio alle confusioni e ai ritardi, occorre sbarrare la strada a una società incattivita e stanca, annoiata ancor più dei suoi adolescenti.
Rammento un incontro con i ragazzi di una scuola, la contrapposizione tra i fautori del consumare uno spinello normalmente, e quelli che non ci stavano a ritenere la droga una cosa normale. Non rimasi colpito dalla percentuale di giovani che amavano sballarsi, piuttosto dalla confusione che riempiva le loro tasche. Racconto sempre un episodio per aiutare a fare chiarezza, la storia di tre ragazzini, con le gambe larghe marciano per la città, in cerca di adrenalina, di una botta forte, di un rischio erroneamente calcolato. Un auto sul ciglio della carreggiata, le chiavi inserite, uno sguardo, è un attimo, ridendo sgommare via, schiacciati dall’irrefrenabile delirio di onnipotenza, a cavallo delle luci e delle regole mandate a quel paese, divertimento di una serata diversa, vissuta al contrario. Le mani sul volante sono assalite da piccole scosse elettriche, le voci nell’abitacolo somigliano a tamburi che non la smettono di strappare l’anima, non ci sono più centimetri da tenere a bada. Le curve sono una danza da condurre senza bisogno di vederci chiaro, gli ostacoli sono dietro, mai davanti agli occhi del ragazzo che guida, mentre stringe tra le dita lo spinello passato dai compagni al suo fianco.
Tre giovani e una canna, l’impatto improvviso, un centro pieno, che fa accartocciare la macchina intorno al platano. Non ci sono più risate, neppure lamenti, un silenzio di pietra, avvolge quell’ammasso di ferraglia. In tre sono saliti su quell’auto a correre in preda all’ansia di arrivare, dove? Ne sono discesi due, per uno di loro non c’è più domani. Forse quei tre ragazzi avrebbero rubato ugualmente la macchina, da qualche parte era già scritto l’incontro con la devianza, non è stata la droga a fare di loro dei piccoli criminali, forse però se non c’era quello spinello, non sarebbe venuta meno la capacità funzionale della testa e degli occhi, quell’alterazione fisiologica che modifica la percezione della realtà. Forse quel botto non ci sarebbe stato, forse da quella macchina sarebbero scesi ancora in tre. Pronunciare quel “forse” è già una buona cosa, una riflessione da svolgere con cura, nelle case, nelle scuole, in ogni angolo delle nostre città.
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