Una domanda retorica su ‘Mare Nostrum’
Le cifre messe in gioco per il salvataggio dei naufraghi fuggiaschi denominata Mare Nostrum sembrano notevoli e poca importanza ha mettersi a questionare se in capo a un anno si spendono 90 milioni di euro o 100, o 120. Quel che importa davvero – direi – è innanzi tutto rilevare come vengono effettuati quei conti; in secondo luogo capire il destino di tutto quel denaro.
Sul primo punto: chi fornisce le cifre indica sempre un totale generale annuo. Ma evita di spiegare se quel totale è l’ultima riga di un bilancio annuale, o se è stato ottenuto moltiplicando per 12 le spese di un solo mese.
Il che è un dettaglio non secondario, considerando che ci sono più barconi in mare, e dunque più necessità di intervento e più costi, nei mesi estivi che nelle stagioni invernali.
Sulla questione dei costi: si dice sempre a quanto ammontano, ma si tace su chi riceve quei soldi. Eppure non è difficile capirlo: sono i militari italiani che effettuano le operazioni sul mare; i sanitari, gli operatori sociali e i paramedici italiani che prestano soccorso; i fornitori italiani dei prodotti alimentari consumati da militari e fuggiaschi; i fornitori italiani del carburante usato per mandare avanti i mezzi di trasporto; i venditori italiani del vestiario di emergenza per i salvati in mare; i negozianti italiani presso cui i ‘migranti’ spendono le ‘indennità’ che vengono loro elargite, e così via.
Una domanda a questo punto si impone, anche se è con tutta evidenza una domanda retorica (che di proposito tiene da parte ogni considerazione umana, sociale, etica e storica sul problema dei fuggiaschi che provano ad arrivare in Europa). Siamo proprio sicuri che sia stato lungimirante, per tagliare i nostri ‘costi’, far intervenire alle porte di casa nostra delle forze speciali straniere, che ovviamente ora attiveranno canali propri di sostentamento e di spesa, aggirando tutti i fornitori italiani di beni e servizi di aiuto?
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