UN VIAGGIO FIABESCO: LE GROTTE DI CASTELLANA
Metti un giovedì di agosto, il 30: sei in vacanza dal lunedì precedente e prima ancora di partire hai in mente che visiterai un luogo magico, onirico, sotterraneo… ma non hai timore, sai che sarà un’avventura straordinaria che ti porterà in un mondo che prende avvio sessantacinque milioni di anni fa… bruscolini!
Si’, va be’… fantascienza! Neanche per sogno!
Intanto diciamo che circa venticinque milioni di anni prima – novanta, millennio più, millennio meno – nel Cretaceo superiore, al posto dell’attuale Puglia v’era un antico mare nel quale molluschi e vegetali marini vivevano in vaste colonie. Naturalmente passeggiavano indisturbati sulle terre emerse, simpaticissimi lucertoloni giganti, dinosauri di tutti i tipi…
Tutto questo per milioni di anni durante i quali i resti e i gusci di intere generazioni di molluschi marini, accumulatisi nel mare hanno formato nel tempo uno strato calcareo di diversi chilometri di spessore. Progressivamente con l’innalzamento delle terre, l’attuale territorio della penisola, Puglia compresa, ha assunto grosso modo l’aspetto odierno.
Nel tempo, estese fratture di questa massa calcarea hanno permesso che l’acqua di intense precipitazioni miste a detriti, formasse nel sottosuolo una vasta falda acquifera sotterranea, che ha contribuito a sciogliere gradualmente il calcare allargando le fratture stesse: unitesi le une alle altre per successivi crolli della roccia, esse hanno formato piccoli condotti, poi mutati in spazi sempre più ampi.
Nei luoghi in cui le fratture s’intersecavano in gran numero (fenomeno nella Grave più rilevante che in qualsiasi altro punto del sistema carsico castellanese) si erano determinati estesi e ripetuti crolli; questi si erano ampliati sempre più verso l’alto, riducendo, con il passare del tempo, lo spessore di roccia che separava la cavità dall’esterno finché lo strato residuo, ormai assottigliato, non era crollato facendo giungere all’interno della Grave il primo raggio di luce.[1]
L’ingresso della Grave, punto di partenza del nostro percorso di esplorazione è illuminato come la grotta stessa, dalla luce del giorno che filtra attraverso l’apertura sovrastante. Ci racconta la nostra guida che nel passato questo varco incuteva timore, introduceva secondo gli abitanti del luogo, in un antro inesplorato abitato da spiriti, oltre che dai pipistrelli che là si sono stanziati, formando un’estesa colonia di mammiferi notturni.
Continua ad aggiornarci la guida, una simpatica signora molto comunicativa e sintetica, che in passato fu il castellanese Vincenzo Longo intorno al 1750 circa, il primo uomo a scendere nelle grotte insieme a un gruppo di coetanei, calandosi con alcune funi: […] nel secolo scorso alcuni intrepidi cittadini di Castellana vi discesero di buon mattino, facendo uso di gomene e di funi, e percorsero più miglia di buie sotterranee contrade, e non ne uscirono che verso le ore 24 in guisa che i congiunti e gli amici palpitarono per tanto attendere.[2]
Seguirono altri tentativi finché nel gennaio del 1938 lo speleologo Franco Anelli incaricato dall’Istituto Italiano di Speleologia di Postumia discese nella Grave: ne perlustrò il perimetro, notando altri cunicoli e due giorni dopo tornò accompagnato da Vito Matarrese, nativo di Castellana, uno scalpellino appassionato di quei misteriosi luoghi sotterranei. Durante le prime esplorazioni Anelli, avventurandosi con una lampada ad acetilene cercava di annotare le diverse figure suggerite dalle concrezioni[3], dando spazio alla propria immaginazione, anche al fine di ritrovar a ritroso la strada del ritorno… una sorta di filo di Arianna costruito con l’immaginazione, che ha lasciato in eredità i fantasiosi nomi delle diverse grotte.
Ben presto l’esperto professore si rese conto che molti altri erano gli ambienti sotterranei che seguivano la Grave: fu l’inizio di quell’avventura che porterà a scoprire – arrivarono a Castellana esperti minatori sardi – e conoscere poi le suggestive Grotte nelle quali stalattiti e stalagmiti sveleranno luoghi di straordinaria bellezza.
Lentissimo il loro accrescimento: ci sono voluti secoli perché, goccia dopo goccia, depositi di carbonato di calcio sviluppassero queste formazioni calcaree: le gocce d’acqua, cadendo perdono un po’ di anidride carbonica e depositano una piccola quantità di carbonato di calcio che, con il passare del tempo forma stalattiti (dal greco stalaktites, gocciolante), concrezioni che crescono verso il basso con una velocità di 2mm ogni dieci anni; invece le stalagmiti (dal greco stalagma, goccia) in tempi lunghissimi risalgono dal basso.
Frequentemente, con i dovuti tempi accade che queste due formazioni calcaree si fondano in un bacio, realizzando con la loro unione strutture chiamate colonne.[4] Lentamente avviene questo fenomeno carsico, la pazienza di attendere qualche migliaio di anni…
Una volta partito il professor Anelli, Vito Matarrese continuerà le sue esplorazioni in solitaria: sarà proprio lui a scoprire la Grotta Bianca nel 1939, spallando e scavando verso un punto in cui credeva potesse esserci un’uscita verso l’esterno.
Nel 1949, Franco Anelli venne convocato a Castellana per assumere la direzione delle Grotte da lui scoperte. Vi si dedicò subito con grande entusiasmo svolgendo un’intensa attività di esplorazione, rilevamento, ricerca scientifica e valorizzazione turistica delle cavità. Sotto la sua guida le Grotte di Castellana divennero nell’arco di pochi anni, le grotte italiane più visitate. Nel 1955 Anelli riprese gli scavi nella Grotta della Iena, rinvenendo numerosi reperti di carattere paleontologico, tra cui un raro scheletro di stambecco. Il suo nome è legato anche a molti elementi naturali, tra i quali un minerale: la francoanellite, un fosfato acido idrato di alluminio e potassio ritrovato all’interno delle Grotte di Castellana.[5]
La nostra guida continua a illustrare il percorso: il pensiero che abbiamo raggiunto la Grave semplicemente scendendo circa 260 gradini, mi fa provare un piccolo brivido pensando ai coraggiosi pionieri dei secoli scorsi.
L’itinerario della visita prevede un itinerario di poco più di tre chilometri alla temperatura di 16°, piacevolissima dopo aver lasciato i 39° all’esterno e scenderemo a circa 122 metri di profondità. Veniamo avvertiti che è vietatissimo anche sfiorare ogni formazione minerale, sottolineando che si incorre in reati perseguibili anche penalmente. Nella Grave che misura ben 100 metri di lunghezza, per 50 di larghezza è possibile scattare foto, sia all’entrata che all’uscita. Vietato invece fotografare gli ambienti durante il percorso. Altra rassicurante informazione: la zona è asismica, non si rischia di restare bloccati nelle viscere della terra in caso di terremoto… meno male, sorrido.
Al centro della Grave ammiriamo un’enorme formazione di stalagmiti, i Ciclopi. Il cammino procede attraversando la Caverna della Lupa e raggiungendo il Cavernone dei Monumenti, dove la fantasia si scatena osservando le diverse composizioni rocciose tra le quali spicca un cammello, alcuni cactus, totem e una colonna alta 12 metri. I colori delle diverse figure nelle caverne variano dal nero della Lupa, dovuto all’azione di un fungo, al rossiccio ferroso di questi monumenti; si procede tra le vele mosse dal vento nel Corridoio della Calza – deve il suo nome a una formazione che richiama la gamba di una ballerina – e raggiungiamo la Caverna della Civetta. Subito dopo oltrepassiamo il Corridoio del Serpente, dove una roccia pare averne cristallizzato le sembianze; un baratro s’apre sotto i nostri piedi e attraversiamo un ponte: guardare verso il basso provoca le vertigini, ma la velocità con la quale procediamo alimenta la curiosità e raggiungiamo la Caverna dell’Altare: ci si aspetta di udir suonare le stalattiti e le stalagmiti che hanno imprigionato le canne di un organo… quanta fantasia fiorisce in questo ambiente sotterraneo!
Ma non c’è tempo per fantasticare: raggiungiamo non senza brividi la Caverna del Precipizio, dopo aver attraversato due ponti affacciati nel baratro. Ed ecco poco dopo la Grotta del Deserto priva di concrezioni, ma la guida ci fa notare dei fossili di antichissimi molluschi che molleggiavano nel Cretaceo…
Procediamo nel Corridoio delle Cortine: vele inclinate composte da lamelle create dall’acqua scivolata lateralmente; avanziamo pensando al bel Lungomare di Bari, ma eccoci in Toscana: s’apre la Caverna della Torre di Pisa, enorme stalagmite inclinata posta in un ambiente ricco di stalattiti, stalagmiti, vele, colori; sul soffitto, spiega la guida, stalattiti eccentriche che formano spirali o s’allungano orizzontalmente… e si procede attraversando il Corridoio Rosso dove ammiriamo un piccolo laghetto dall’acqua limpida; dalla successiva Caverna della Cupola, raggiungiamo la nostra meta: la Grotta Bianca: deve il suo nome a cristalli di calcite che le conferiscono questo candido aspetto, sfiorando di nivea luce colonne, stalagmiti e stalattiti… incantevole!
Tornando verso l’uscita il percorso devia in alcuni punti permettendo di visitare la Caverna della Fonte e la Grotta della Madonnina, cristallizzata in una piccola stalagmite.
Velocemente si torna a riveder la luce del sole nella grande Caverna della Grave dalla quale siamo partiti…
Abbiamo vissuto un’esperienza emozionante e singolare che lascia defluire bellezza, meraviglia, gratitudine e consapevole certezza che non tutto quello che si vede è il nostro mondo: ne esistono altri, sconosciuti e ancora da esplorare e non solo nel sottosuolo… tornar bambina a riviver stupore e meraviglia con la grande voglia poi, di approfondire e saziare le piccole curiosità: anche questa è vacanza!
Rita Gatta
[1] https://www.grottedicastellana.it/le-grotte/lorigine/#:~:text=A%20partire%20da%20sessantacinque%20milioni,che%20l%27avevano%20fortemente%20incis
[2] F. DE LUCA – R. MASTRIANI, Castellana, in AA.VV., Dizionario corografico del Reame di Napoli – Dizionario corografico-universale dell’Italia, Milano, 1852, vol. VII, pp.237-238.
[3] Incrostazione o aggregato di minerali che si origina, per deposizione di sostanze a intervalli successivi, da soluzioni acquose (Treccani); dette anche speleotemi sono formazioni calcaree di sostanze disciolte e poi depositate: rientrano in questa denominazione le stalattiti e le stalagmiti.
[4] https://www.treccani.it/enciclopedia/stalattiti-e-stalagmiti_(Enciclopedia-dei-ragazzi)
[5] https://it.wikipedia.org/wiki/Franco_Anelli_(speleologo)
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