Un pezzo di storia da ripensare I Gesuiti a Frascati e la loro vigna
Come è noto fu nel 1559 che i padri gesuiti furono chiamati a Frascati dalla Comunità tuscolana, in seguito all’entusiasmo che uno o più predicatori qualche tempo prima avevano suscitato non solo tra la popolazione tuscolana ma anche a Rocca Priora e Rocca di Papa e con una numerosa processione a san Silvestro. I frascatani, – come si legge nelle cronache dell’Archivio gesuita – “…rimasero tanto affezionati, che sono venuti a pregare di accettare una chiesa con una casa e altre commodità che ci rimanessero sempre alcuni della Compagnia…”
Ignazio di Loyola – il loro fondatore – già nel 1538 era venuto a Frascati per esporre al papa Paolo III le molte difficoltà che incontrava nel suo operato. Il papa – che a quel tempo dimorava nella ‘Rocca’ – riconoscerà poi nel 1540 la Compagnia di Gesù.
Le prime case dei gesuiti furono a Roma (il Collegio, la chiesa e il collegio ‘germanico’,) poi furono fondate le case (Collegi) di Amelia, Tivoli e quindi Frascati. Ai gesuiti, una volta venuti a Frascati fu donata una vecchia chiesa ed una vicina cappella (già edificata nel 1520 da Lucrezia della Rovere), oltre ad una piccola casa, come annota (nel 1562) p. Juan Alonso Polanco che fu segretario di Sant’Ignazio: “Si fa molto bene nel paese e si è pure molto fabbricato nella casa e la città oltre la chiesa che ci ha dato molto buona”. Il cardinal Pisani (vescovo tuscolano, 1557-1562) approva la concessione dei “luoghi e terreni pertinenti e potersi servire delle camere fabbricate nelle occorrenze delle villeggiature ordinarie e straordinarie”. A Frascati, nella residenza dei gesuiti vi dimorerà anche Francesco Borgia, terzo successore di Ignazio, che da qui scriverà diverse lettere a vari corrispondenti, come a Laines, successore di Ignazio, ecc. Il complesso con la successiva chiesa (denominata dell’Assunta) viene realizzato dall’architetto gesuita Gio De Rosis (o Giovanni Rosso). Nel 1563, i ‘Massari del populo de Rocca Priora’ ringrazieranno Borgia per avergli mandato dei predicatori gesuiti. Probabilmente è nel 1560 che il cardinal Giacomo Savelli, Governatore di Frascati (da non confondersi col vescovo tuscolano, Giulio, 1638), donerà ai gesuiti anche un pezzo di terra, in una zona denominata ‘prete lisce’ (selce-basalti). Felice Grossi Gondi affermerà – più di trecento anni dopo – che qui i gesuiti avrebbero iniziato a costruire una casa di villeggiatura. Il che è del tutto arbitrario soprattutto perché in quegli anni stavano costruendo la residenza-collegio e la chiesa di S. Maria Assunta, futura chiesa del Gesù! Da Frascati, il 15 settembre del 1569, S. Francesco Borgia, preposito generale, scriveva proprio riguardo al collegio: ‘per alcuna ricreazione delli nostri indisposti e convalescenti di Roma et alcuni altri boni effetti, si accettò qui in Frascati una casa et chiesa con intentione che fossi come un membro del collegio di Roma ricevendo anche 60 (scudi?) per un maestro per le scuole, ma questo loco è molto utile per la Compagnia nostra per rispetto della sanità et altri conti, ma purtroppo – aggiungeva – si deve lasciare l’impegno per la scuola perché i giovani locali, ciò che apprendono se lo dimenticano con le vacanze, e i genitori vogliono che lavorino in campagna! Da questo scritto è chiaro che anche qualche gesuita malandato in salute, da Roma fosse temporaneamente ospitato nel collegio-residenza di Frascati. Ancora il Borgia, nel dicembre 1571 – in procinto di andare in Francia e sperando di tornare a Roma per la Pasqua – scrive a padre Geronimo Natali a Lisbona, comunicandogli che “quanto alla vigna di Frascati, non si ha che innovar fino a che ci siamo, con l’aiuto divino”. Non è chiaro se con ‘vigna’ intendesse l‘impegno apostolico del Collegio frascatano o effettivamente una vigna. Il p. Polanco sempre nel 1571 scriveva che, nel “collegio a Frascati, che è annesso a S. Andrea, duodici miglia fuor di Roma, stanno 6 persone: 2 padri et 4 fratelli che si esercitano a insegnare la dottrina cristiana, predicare, confessare et far pace, sì in quella terra come in altre vicine”.
Non dimentichiamo che a quel tempo, le mura già fatte edificare da Paolo III intorno a Frascati, si aprivano in un arco (porta) direttamente sulle ‘vigne dell’arciprete’, ancora aperta campagna, dove solo a fine ‘500 (1598) si cominciò a costruire la chiesa di San Pietro. Così come era ‘campagna’- colma di ruderi e reperti antichi – tutta la valle che da S. Maria in Vivario (e S. Sebastiano) si apriva verso Roma. Nel 1613 con l’ampliamento della cinta muraria da parte di Paolo V, i gesuiti edificarono un’altra “casa presso la vigna di Giovanni Calzoli e la via pubblica appena aperta, chiamata Paolina o Borghese, verso il Monastero di S. Flavia” [allora all’inizio della costruzione]. C’è da aggiungere che, poco sopra le mura di Frascati, esisteva già la chiesetta di San Gregorio (dal popolo chiamata di ‘S. Lucia’) con un edificio contiguo in cui venivano ospitati gli ‘orfanelli’. Ora è anche in questa chiesetta che i gesuiti insegnavano i primi rudimenti per le vocazioni sacerdotali proprie e (per le poche) di Frascati e diocesi. Nel 1652, dal card. Giulio Sacchetti, veniva ufficialmente ‘fondato’ il seminario tuscolano, senza una sede particolare se non il riferimento alla chiesetta di S. Gregorio, e solo in seguito sarà ‘aperto’ saltuariamente. In un censimento effettuato nel 1655 dal vescovo Bottoni si rilevava che nella “casa di Residentia del Collegio Romano di Frascati”, (cioè la casa, nell’attuale piazza del Gesù), vivevano “24 persone più due garzoni in casa e due vignaroli stabili nella vigna”. Nella sua visita pastorale del 1660, l’Arcivescovo Severoli si recherà nella “Ecclesia S. Mariae Assumptionis et Collegio Patruum Societatis Jesu”, in cui rileva anche un orto-giardino contiguo alla residenza. Ma non risulta assolutamente che a Frascati vi fosse un’altra residenza dei gesuiti. Con la fine del ‘600, il Collegio dei gesuiti viene ampliato e completamente ristrutturata la chiesa dell’Assunta (che si chiamerà poi ‘del Gesù’), ad opera dell’architetto gesuita Gregorio Castrichini cui è dovuta anche la facciata (che alcuni ancora insistono ad attribuire a Pietro da Cortona!). Agli inizi del 1700 la chiesa viene decorata con gli affreschi di Andrea Pozzo e Antonio Colli (con l’innalzamento della tela con la ‘finta cupola’). Nel 1701 il card. Orsini, vescovo di Frascati, chiederà ai gesuiti di ospitare e seguire i seminaristi diocesani che già facevano capo alla chiesa e edificio di S. Gregorio come rilevava nella visita pastorale l’arcivescovo De Aste (1703), che il “Seminario dei chierici stava in propria domo presso la chiesa di S. Gregorio” (‘S. Lucia’). Quell’anno, nella sede gesuitica di Frascati troviamo 4 preti, tra cui il ben noto Antonio Baldinucci (che sarà proclamato beato nel 1893). Ma, col 1772 – eliminato nel 1770 l’Ordine dei Gesuiti da papa Clemente XIV – il seminario fu affidato direttamente alle cure del vescovo tuscolano card. Enrico Stuart, duca di York e al clero diocesano. E a questo punto andiamo alle vicende della ‘vigna’ dei Gesuiti.
La vigna ‘Borsari’
Occorre anzitutto precisare che il terreno dato ai gesuiti (quello delle ‘prete lisce’ o nei pressi), non comprendeva edifici, ma consisteva solo in una vigna che, nella sequenza degli ‘Status animarum’ troviamo segnalata dopo la metà del ‘600 (1664 e 1677), con la dizione di Villa jesuitas; ma si tratta certamente di un errore, e ‘villa’ sta per ‘vinea’, tanto più che addirittura per il Convento dei RR.PP Gesuiti, già in funzione da un secolo (costruito dove oggi è la chiesa del Gesù) non viene nemmeno segnalata la presenza di persone, nonostante fervessero i lavori per rinnovare il Collegio e la chiesa al ‘centro’ di Frascati, dove normalmente risiedevano almeno tre preti, 3 laici e un inserviente! Nella vigna vi lavoravano Nicola di Domenico e Silvestro fu Pasquale. A partire dagli inizi del 1700, negli ‘status animarum’ (i ‘censimenti annuali’) della parrocchia di San Pietro (Cattedrale), si può rilevare la segnalazione della ‘vinea’, in sequenza: nel 1738 ‘in vinea PP. Soc. Jesu’, risulta la presenza dei seguenti contadini che vi lavoravano: Ferdinando Amati, Nicola Luzi, Nicola Bonfrani, Lucio Di Luzio ed altri 7 non menzionati. Nel 1741, (dallo ‘Status animarum’), ‘In vinea Soc. Jesu’, risultava il solo Ferdinando Amati. Nel 1746, si cita ancora la Vinea Soc. Jesu, ma senza indicare alcun ‘residente’. Nel 1757, ‘In vinea Jesuitarum al Regacciolo’(sic! forse ‘Gargacciolo’ o Caracacciolo), vi lavorava un Felice Danieli(?). E’ il 1761, quando, nella sua prima visita pastorale alla diocesi, il card Stuart duca di York, va in visita al ‘sacello Gavottorum’, una cappella della famiglia Gavotti e poi, il 12 ottobre del 1761, si reca a Torre Nova visitando la chiesa con l’altare dedicato a S. Clemente, ma non cita mai una visita alla vigna dei gesuiti e così in tutte le altre sue visite pastorali. Nel 1767, nello ‘status animarum’ di S. Pietro, veniva rilevata la vinea PP. Soc. Jesu secus viam Romanam (‘secus’, cioè ‘vicino’ alla via romana-tuscolana). Ed è sicuramente nel 1773-74 che la Camera Apostolica requisisce la vigna ai Gesuiti. Infatti, dopo la soppressione dell’Ordine di S. Ignazio, tutte le proprietà dei Gesuiti, compresa Villa Rufinella, vengono incamerate soprattutto dalla Santa Sede (la Reverenda Camera Apostolica) o dalle diocesi. A Frascati il Seminario, già retto dai Gesuiti, e tutti i loro beni, passano al clero diocesano. Il card. Stuart, permetterà, solo per qualche tempo, la permanenza dei giovani convittori gesuiti (portoghesi) che risiedevano a Villa Rufinella, anch’essa (dal 1730) appartenente ai gesuiti che, nel 1740 avevano fatto ristrutturare dall’architetto Luigi Van Wittel (Vanvitelli). E nella visita pastorale del 1773, a Villa Rufinella, il cardinale riscontra che nella cappella “vi è l’altare principale dedicato all’angelico giovane Luigi”! L’anno dopo si annota anche la presenza “di 56 chierici e 29 laici” di cui se ne fa l’elenco nominativo! In quanto allo ‘Status animarum’ del 1774, il ‘passaggio’ dei beni gesuitici alla Reverenda Camera Apostolica compresa la vigna, si nota già nella citazione: ‘in vinea R.C.A. in via Romana’. Nel 1776, ‘in vinea R.C.A. olim Jesuitarum Socie.s, Via Romana’, si trova – evidentemente come lavoratore – tal Giovanni de Domenico di 21 anni. Nella successiva visita del 1777-79, a Villa Rufinella (“De domo rurali olim jesuitarum nunc RCA vulgo Ruffinella”), si legge testualmente che, “abolita la ‘Società di Gesù’ nella Villa Ruffinella c’è domicilio degli esuli del re del Portogallo e di Albione” (cioè i chierici portoghesi e in parte inglesi).
Nel 1778, riguardo lo ‘status animarum’, si afferma che ‘in Vinea R.C.A. olim Jesuitarum’, (‘una volta dei Gesuiti’), c’era Pietro Sante di Francesco di 14 anni (forse un garzone). Mentre la visita pastorale ci dà altre informazioni, e cioè che “nella Villa Rufinella l’altare maggiore era dedicato a San Luigi Gonzaga, gli altri alla S. Famiglia, a S. Ignazio, a S. Francesco Borgia e, in ultimo a S. Francesco Saverio”. Ancora nel 1780 si registra sia la ‘vinea R.C.A. olim Jesuitarum’, cosi come “la casa rurale vulgo ‘la Rufinella’ della RCA”. Dallo ‘Status animarum’ del 1784 si legge che, in vinea R.C.A., vivevano (o lavoravano) Giovanni Battista Mecozza di 50 anni e Nicola Cesani di 56. Nella Visita Pastorale del card Stuart 1786-87, in “de rurali domo olim Jesuitam nunc RCA qua vulgo nuncupata Rufinella”, si ordina di “tenere a bada i cani di guardia”! Nel 1787 in vinea R.C.A. c’erano Nicola Cesani di 59 anni, Nicola Spalletta di 45 e Filippo di 11 (forse figlio di uno dei due). Nel 1788, in vinea R.C.A., ci sono Nicola Casoni (Cesani) di 60 anni e Narbini (?) di 46. Nel 1788-89 la Camera Apostolica cede la vigna ai Borsari. Infatti si può leggere: ‘nella vigna della Reverenda Camera Apostolica ora Borsari…’ Così come nel 1790 c’è una chiara conferma: ‘In vinea R.C.A., modo Borsari’ (modo=ora). Anche nel 1794, si afferma: “In vinea RCA modo Borsari…” E di contro, sempre nel 1794 nella ulteriore visita pastorale, ma a Villa Rufinella (de sacello seu ecclesia in Villa Rufinella pertinentis famigliae Pavesi (pertinente alla famiglia Pavesi), si certifica ancora che esiste l’altare dedicato a S. Luigi con gli altri già elencati. Non c’erano più i ‘chierici’ portoghesi. (FINE PRIMA PARTE)
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