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Un matematico scomodo – 1

Un matematico scomodo – 1
Febbraio 01
23:00 2009

Luca_Nicotra_72dpi

Bruno de Finetti un matematico scomodo, questo il titolo del libro uscito a fine novembre scorso per i tipi di Belforte editore, che Fulvia de Finetti e Luca Nicotra hanno scritto sulla vita e il pensiero del grande matematico italiano scomparso nel 1985. Uno degli autori, Luca Nicotra, è ben noto al pubblico di «Controluce» ormai da molti anni, come suo collaboratore assiduo, redattore e curatore della rubrica Cultura.

Luca  mi viene incontro sorridente, su per le scale del Caffè delle Arti, a Roma, all’interno della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, in un abbigliamento impeccabile e sobrio come la sua scrittura, ben nota ai suoi affezionati lettori. Ci sediamo ad un tavolino e, tra una consumazione e l’altra, gli rivolgo alcune domande, sia per dare un ‘volto’ alla sua firma sulle pagine di, sia per scoprire assieme a lui i segreti di un libro  molto importante come quello su de Finetti, che è la prima biografia su uno dei maggiori matematici del Novecento e tra i più grandi innovatori del pensiero scientifico.

 

– Luca, da molti anni tu scrivi su «Controluce» e molti tuoi articoli riguardano la divulgazione scientifica. Forse ai lettori piacerebbe sapere qualcosa del loro autore.

Sono nato a Catania, ma dall’età di tre anni fino a quattordici sono cresciuto a Parma, che considero la mia città natale adottiva. Dall’età di quindici anni ad oggi vivo a Roma.

– Delle tue origini siciliane cosa ti è rimasto?

Il richiamo culturale. Mio nonno era laureato in lettere e in giurisprudenza, ma era per vocazione un poeta. Fu anche redattore del Corriere di Sicilia. Era un personaggio tipico della cultura di fine Ottocento. Gran conferenziere, parlava il latino correntemente. Allievo di Mario Rapisardi (il poeta catanese che entrò in polemica con Carducci), rimase fedele per tutta la vita alla figura del Maestro. Nella sua casa antica, nel caratteristico stile del barocco catanese, si tenevano veri e propri salotti letterari, cui partecipavano attori, poeti e anche scienziati siciliani: Nino Martoglio (commediografo dialettale), Angelo Musco (attore), Giuseppe Marletta e il fratello Francesco (matematici), Giuseppe Lombardo-Radice (pedagogista) che era stato compagno di scuola di mio nonno, e tanti altri. Mia nonna era diplomata in pianoforte, un fratello di mio padre era pianista e compositore. Insomma, da bambino ho assorbito tutto questo clima culturale ad ampio spettro. che ha influito sulla mia formazione, rendendo in me naturale il raffronto tra campi di sapere apparentemente lontanissimi e il superamento di tante barriere, di tanti odiosi e pretestuosi antagonismi.Copertina_Bruno_de_Finetti_fronte

– E tu quale strada hai scelto?

Mi sarebbe piaciuto molto dedicarmi alla scienza pura. Invece, per i soliti motivi utilitaristici, mi sono laureato in Ingegneria Meccanica, all’Università “La Sapienza” di Roma, col massimo dei voti, discutendo una tesi sperimentale svolta all’Istituto di Fisica Tecnica, che m’impegnò per quasi due anni. I risultati di quel lavoro furono pubblicati negli USA in una rivista internazionale specializzata nella fisica del calore. Dopo la laurea rimasi per qualche tempo all’Istituto di Fisica Tecnica con un contratto CNR.

– Hai intrapreso la carriera accademica?

Ne avrei avuto la possibilità, ma le mie condizioni familiari richiedevano che trovassi presto un lavoro fisso e ben retribuito. Fui assunto dall’ENI, in una sua società del settore minero-metallurgico, dove però rimasi per poco tempo, non soddisfacendomi professionalmente quell’inserimento, che era di carattere manageriale.

– Venendo dalla ricerca, forse avevi altre aspettative…

Forse allora avevo la testa troppo piena di formule per apprezzare un lavoro importante e ambito. Mi dimisi (molti mi presero per pazzo: rinunciare ad un posto d’ingegnere all’ENI!), insegnai per più di un anno nelle scuole superiori, poi fui assunto all’ELETTRONICA S.p.A. di Roma, che allora era una delle più prestigiose realtà industriali del nostro Paese: un ambiente tecnologicamente molto avanzato e stimolante, pullulante di cervelli brillanti. L’ELETTRONICA era ed è un’industria militare specializzata nella ideazione, progettazione e costruzione di sistemi di guerra elettronica.

– Un ambiente più consono alla tua formazione universitaria, dunque. Di cosa ti occupavi?

Mi occupavo inizialmente di Software Engineering, specialità allora quasi sconosciuta in Italia. Successivamente entrai nella divisione Ricerca & Sviluppo come scientist junior, facendo ricerca nel campo dei sistemi di guerra elettronica all’infrarosso.

– Puoi spiegare ai nostri lettori in che cosa consiste la guerra elettronica?

Consiste nell’utilizzo a fini bellici delle emissioni elettromagnetiche. La sua espressione più popolare e spettacolare è costituita dalle contromisure elettroniche, vale a dire quelle tecniche di manipolazione delle onde elettromagnetiche che consentono, per esempio, di deviare la rotta di un missile che il nemico ha sparato contro il nostro aereo. Verso la fine degli anni ’80 mi si presentò l’opportunità di occuparmi di grossi sistemi computerizzati per la progettazione e produzione meccanica, allora in fase quasi pionieristica. L’ELETTRONICA progettava e costruiva, infatti, anche la parte meccanica dei suoi apparati navali e avionici. Era un lavoro che mi affascinava sia per il suo carattere pionieristico sia per le conoscenze multidisciplinari che richiedeva (software, matematica, organizzazione industriale, progettazione meccanica, conoscenza del prodotto). Divenni presto un esperto di quel settore, che è diventato poi il mio campo lavorativo specifico.

– Come sei arrivato a Bruno de Finetti?

Al liceo ero stato inserito nella sezione ‘pilota in matematica’, dove si sperimentavano i futuri programmi per l’insegnamento della matematica e frequentavo con molto interesse il Club Matematico presso l’Istituto Matematico “Guido Castelnuovo” dell’Università «La Sapienza» di Roma, la cui attività consisteva in incontri settimanali (ogni venerdì pomeriggio) di docenti universitari con studenti liceali. Tra i docenti figuravano nomi illustri: Ludovico Geymonat, Luigi Campedelli, Attilio Frajese, Lucio Lombardo Radice, Giuseppe Vaccaro ed altri. Ma la presenza più significativa era quella di Bruno de Finetti, figura carismatica, instancabile animatore di quel club scientifico: di venerdì lui c’era sempre. I suoi interventi erano i più enigmatici e ‘strani’ per noi studenti. Mi colpirono la sua profondità di analisi, ma anche l’umiltà e il suo anticonformismo. Da mio padre ne avevo sentito parlare come del più grande matematico italiano vivente.

– Anche tuo padre era un matematico?

Sì, era stato preside e insegnava al liceo. Aveva diverse pubblicazioni e dirigeva assieme a Roberto Giannarelli una rivista di divulgazione scientifica, <>>, molto diffusa nelle scuole medie superiori negli anni ’50 e ’60. Era stato allievo di Giuseppe Marletta e Sebastiano Catania, che apparteneva alla scuola di Peano. Mio padre era laureato in Fisica e Matematica (la laurea mista di un volta), era insomma un fisico matematico e la sua concezione della matematica e della didattica della matematica coincideva, come mi resi subito conto, con quella di de Finetti. Era del 1903, più vecchio di tre anni rispetto a lui, quindi della stessa generazione.

– Ma perché Bruno de Finetti era un matematico scomodo?

Scomodo per non dire ‘rompiscatole’. Il suo grande anticonformismo e il suo rigore morale lo portarono spesso a scontrarsi contro le ingiustizie e le storture che affliggevano la società del suo tempo e che stigmatizzò nel suo celebre “Manifesto contro il culto dell’imbecillità”.

– Come si può classificare il vostro libro: una biografia, un saggio?

E’ difficile dare una precisa classificazione. Non è tanto una biografia nel senso tradizionale, perché è soprattutto una testimonianza del pensiero di de Finetti e del suo porsi di fronte ai vari aspetti della società umana, che è poi sempre anche un’elegante e pacifica protesta contro chi ha la pretesa di etichettare ogni cosa con la rigida logica del certo, scegliendo drasticamente fra vero e falso, giusto e sbagliato, destra e sinistra… ignorando la voce di chi, invece, vuole sottrarsi a ogni logica settaria e restrittiva.

– Non è quindi un libro per specialisti.

Assolutamente no. Al contrario, ha l’ambizione di rivolgersi ad un pubblico vasto, per fare conoscere a tutti un personaggio davvero straordinario, non soltanto come scienziato ma anche come uomo di cultura, sensibile a molti temi che interessano l’intera società umana: la religione, l’arte, il futuro dell’umanità, il ruolo degli scienziati nella società, il rapporto tra scienza e politica, i problemi del lavoro, la mobilità e il valore legale della laurea, l’importanza della matematica nella vita dell’uomo comune e dell’immaginazione nella scienza. Proprio per questo abbiamo scelto un tipo di scrittura che, per la sua immediatezza, consentisse a un largo pubblico di avvicinarsi a un personaggio così affascinante e poliedrico: l’intervista.

– Un’impresa non facile, data la complessità degli argomenti trattati. Come siete riusciti a realizzare questa sorta di intervista immaginaria?

Abbiamo effettivamente immaginato d’intervistarlo, ma le risposte sono…reali, perché ottenute dai suoi scritti editi e inediti, tessere di un grande puzzle che rivela al lettore il ritratto di un personaggio straordinario, da conoscere e amare.

– A questo punto ti pregherei di parlarcene più diffusamente …in una prossima puntata.

Va bene, magari coinvolgeremo nel discorso anche la coautrice del libro, Fulvia de Finetti.

– Alla prossima, allora! (Continua)

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