Un invito aperto alla convivenza pacifica
In questi giorni in cui gli italiani sono scossi e senza parole per la crisi economica, le guerre in corso e le differenze politiche, ideologiche e culturali, stanno ritornando in auge discorsi corrosivi della comune appartenenza. Nord contro sud, est contro ovest… Mentre in Europa stenta ad affermarsi una visione di comune appartenenza identitaria, anche nel piccolo la separazione e lo scollamento sociale divengono più evidenti… mentre la comunità sembra aver perso la capacità di esprimere solidarietà e collaborazione.
Ciò avviene persino fra compaesani, l’un contro l’altro armati, e pronti all’antagonismo distruttivo. Gli “altri” sono oggi inequivocabilmente percepiti alieni e questo comporta uno scontro continuo fra le parti. Come si può in tal modo costruire una società umana decente?
Ne ho avuto conferma, ad esempio, nella lotta che si è venuta a creare in una piccola città come Treia, in seguito alle recenti elezioni amministrative comunali, invece di operare con raziocinio per il bene comune la rivalità si è spinta in una lotta senza quartiere, degna della più deteriore società metropolitana, abbassando la qualità della vita.
Viviamo in un mondo di nemici e noi stessi siamo nemici in questo mondo. Eppure la comune appartenenza al luogo ed alla comunità in cui si vive è una realtà inoppugnabile, un dato di fatto. Purtroppo non ne siamo coscienti e la mancanza di coesione e reciproca accettazione ci rende sempre più “estranei”.
La conseguenza è la mancanza di solidarietà interna nella collettività. Dove non vi sono valori comuni di reciproco rispetto immediatamente subentrano interessi speculativi che cancellano ogni umanità e fratellanza.
Ecco il contesto così detto “civile” nel quale ci siamo smarriti ma ora dobbiamo ritrovare la strada verso “casa”. La Casa di Tutti.
In fondo quanto possiamo separarci da noi stessi senza perire? Ecco allora che l’allontanamento deve trasformarsi in avvicinamento… la vita è elastica e non può andare in una sola direzione. Ora sorge la necessità di nuove forme di equilibrio, più radicate nella coscienza della comune appartenenza. Infatti il senso di comune appartenenza porta alla condivisione, ad atteggiamenti simbiotici e ad uno stato di coscienza inclusivo.
L’evoluzione spirituale richiede che le persone non si riconoscano più nelle fazioni, religioni o ideologie, etc. Acuendo la separazione e giustificando quegli “indirizzi” personalistici ed egoici.
Il diritto di coabitare pacificamente si realizza nella capacità di rapportarsi al luogo in cui si vive in sintonia con l’esistente. Perciò il passo primo da compiere, per il “Ritorno alla Casa Comune”, è l’accettazione delle differenze, viste come fatti caratteriali che, in caso di persistenza, possono essere ‘curate’ allo stesso modo di una idiosincrasia/malattia organica o psichica.
L’uomo ha bisogno di riconoscersi ‘unico’ nella sua individualità, che assomiglia ad un cristallo di neve nella massa di neve, nella coscienza di appartenere all’unica sostanza: l’umanità!
Non passerà molto tempo -mi auguro- che le divisioni artificiali operate dalla mente speculativa scompariranno completamente ed al loro posto subentrerà un nuovo spirito di fratellanza, partendo dal presupposto delle reali somiglianze e della coesistenza pacifica. Questi riconoscimenti, in una società sempre più prossima, renderanno l’uomo capace di capire il suo prossimo, in piena libertà, e di amarlo come realmente merita. Tutti coabitanti dello stesso pianeta, tutti a casa!
Paolo D’Arpini – Rete Bioregionale Italiana
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