Un fondamentale saggio di Pino Aprile: Elogio dell’imbecille
Premessa
Prima di entrare nel vivo della questione contenuta nel libro del giornalista e scrittore Pino Aprile (dovrei aggiungere filosofo, ma viene da sé tale qualifica parlando della dimostrazione scientificamente “allarmante” che l’autore conduce nel suo itinerario a cui premetto qualche idea personale), è necessario ch’io indichi alcuni dubbi, nutriti da molto, sul termine homo sapiens sapiens.
Noi sappiamo che l’aggettivo ripetuto due volte in latino diventa superlativo assoluto. Quindi noi siamo esseri intelligentissimi, anzi: sapientissmi, a cui Dio, nel Genesi, ha affidato il compimento della creazione dandoci l’ordine di porre i nomi alle bestie e alle cose non dotate di anima immortale. Quindi, il diktat è “dominare il pianeta” (per rovinarlo: questo verrà compreso dopo, e da pochi, quando già quattro secoli fa Francesco Bacone ammoniva: “La Natura si domina obbedendole”, ma credo che pochi abbiano letto il grande pensatore, presi, anche a quei tempi, dalla celebrità di qualche saltimbanco come oggi dai mezzi busti della televisione e dai divini calciatori).
Già da scolaro non mi quadrava la fine di un essere straordinario come Gesù, a cui fu preferito Barabba, un capopolo di qualche interesse, ma non della statura suprema di Cristo. I preti mi spiegavano (stizziti dalla mia ottusità) che era la volontà di Dio l’incarnazione, per vendicarsi della disubbidienza di due poveracci di nome Adamo ed Eva. Io pensavo che Gesù era stato ammazzato perché vedeva le cose in modo diverso e, dichiarandosi contro ogni potere, dava fastidio a tutte le istituzioni. Siccome una fine simile l’aveva fatta il fondatore della filosofia morale, Socrate, qualche secolo prima, accusato di corrompere la gioventù solo perché insegnava a tutti a ragionare con la propria testa, studiai la Storia in modo mio personale, scoprendo (purtroppo in quell’età in cui si dovrebbe pensare alle salvifiche future gloriose “magnifiche sorti e progressive”) che qualche ingranaggio nel divenire beato dell’intelligenza non funzionava. Il genio di Cesare aveva intuito che la repubblica aveva fatto il suo tempo, mettendo lui le basi di quell’impero che tenne tre secoli e più Roma nella pace interna: e fu accoltellato. I Gracchi lavoravano a favore del popolo e fecero una brutta fine. Galileo se l’è scampata con un’abiura delle sue teorie cavata a forza, mentre il più coraggioso e trasgressivo Giordano Bruno ha fatto la parte della bistecca ai ferri. Gandhi pure ha avuto la sua razione di ricompensa dalla stoltezza umana. La storia del genio è storia di sofferenze, persecuzioni, incomprensioni, morte. Allora – mi chiedevo – vuol dire che chi ha un grano di sale in zucca dà fastidio a qualcuno più potente; ma chi è più potente del genio? L’ignoranza armata. Così dovetti cambiare scuola su scuola e arrabbattarmi. Poi, lavorando dall’editore Armando, nel 1975, alla matura età di 36 anni, lessi un libro illuminante: “I superdotati”, dello psicologo Rèmy Chauvin: e non ebbi più dubbi sulla questione. In questo volume sono citati i più grandi ingegni dell’umanità bocciati e puniti a scuola per la sola colpa di essere “creativi” e non supinamente ripetitivi. Fra essi (ne cito solo un centesimo) ci sono un certo Leonardo da Vinci, Gauguin, Manet, Van Gogh, Picasso, Beethoven, Rossini, Verdi (respinto dal conservatorio di Milano che ora porta il suo nome), Newton, Watt, Humboldt, Darwin, Edison, un certo Einstein, Pasteur, Jung, Swift, Balzac, Keats, Tolstoi, Zola, Kipling, Montaigne… A Galileo fu negato il diploma di laurea; Churchill si vide bloccato l’accesso sia a Oxford sia a Cambridge; ma non stettero meglio Franklin, Schubert, Emerson, Wagner, Gandhi, Napoleone… Basta così. Però l’elenco è infinito.
Inutile dire che la mia affannosa ricerca si è giovata di mille testi, da Morin a Lorenz, da Schopenhauer a Popper fino a Giambattista Cassano e a molti neurologi famosi. Insomma, per non andare oltre, nel 1997 trovai un libro dal titolo emblematico: “Elogio dell’imbecille”, che tanto mi pareva adocchiasse l’ “Elogio della pazzia” di Erasmo da Rotterdam e altre pagine dedicate alla nostra follia (Orazio, Cervantes, Rabelais, Shakespeare, Pirandello, Kafka, Ariosto, Cechov ecc.). Tuttavia, il libro di Pino Aprile era un’altra cosa. Si affrontava la nostra stupidità da un punto di vista scientifico e storico (ontologico?). Avevo conosciuto Pino Aprile qualche anno avanti, quando, essendo direttore dell’ufficio stampa della Armando, proposi in esclusiva un servizio al diffuso settimanale “Oggi” su una documentazione di violenza nella guerra fratricida della Jugoslavia. Pino Aprile – capo della redazione romana – assentì, affidando il servizio alla giornalista Montali.
In medias res
Dunque lessi con grande piacere e condivisione il libro di Pino Aprile “Elogio dell’imbecille” (Piemme 1997). Ventitré anni fa. Mi riproposi di tornarci sopra e studiarlo, ma, condannati come siamo alla corsa al massacro, nell’attivismo micidiale che obnubila l’uomo sempre di più, riposi il breve ma intenso testo (194 pagine) con il proposito di riprenderlo fra mano in momenti meno asfittici. E il tempo è venuto per alcune riletture “salvifiche”: il covid. All’improvviso, come una liberazione, ancorché pericolosissima, da un giorno all’altro sono state sospese forzatamente tutte le attività “di movimento”. Per alcuni aspetti non mi è sembrato vero: avevo toccato il fondo con gli orari e gli impegni (tutto sembra fatto per distogliere l’uomo da se stesso e dalla meditazione). Così, il primo libro che tornai a spolverare fu questo di cui parlo ora, ma ne tratterò riportando lacerti illuminanti, in modo da offrire ai lettori degli stralci diretti qualora non riuscissero a trovare l’opera in libreria o in biblioteca.
Pino Aprile si recò presso Vienna per intervistare il celebre etologo Konrad Lorenz. Nacque un’amicizia costruttiva. Il giornalista gli pose un quesito: se l’umanità stesse scendendo di livello intellettivo per opera della Natura stessa. Il grande personaggio vi rifletté sopra e ne parlò con un suo stretto collaboratore, di cui non è fatto il nome. Sicché nacque con questi una corrispondenza – una felpata diatriba – sul problema: due punti antitetici di vista: il professore certo della supremazia della nostra specie grazie all’intelligenza; lo scrittore, invece, convinto del contrario. Bene. Dopo questa necessaria spiegazione della dinamica su cui è sorto il colloquio, passo la parola a Pino Aprile. La guerra all’intelligenza è condotta non solo dagli uomini contro i loro simili, ma dalla Natura stessa (Leopardi direbbe dal “brutto/ poter che ascoso a comun danno impera”): “Il nostro numero – sovrabbondante – e le nostre potenzialità costituiscono una minaccia per l’equilibrio del complesso, ma delicato sistema che è la terra… L’Homo è pericoloso per la Terra solo se sapiens. Se non lo fosse più o lo fosse meno, il pianeta potrebbe benissimo sopportarne la presenza. Per la specie umana, ormai, il rischio non è più quello di estinguersi, ma di moltiplicarsi, di crescere troppo, anche in potere. E questo significa che l’intelligenza ha esaurito il proprio ruolo: non è più necessaria, e viene dismessa, come in passato altre caratteristiche… Il genio è stato solo il ponte inventato dall’evoluzione per condurre la nostra specie (indifesa: n.d.r.) alla conquista delle condizioni che ne assicurassero la sopravvivenza. La misura è compiuta; l’intelligenza non serve più, almeno non tanta quanta ne fu necessaria in passato. Einstein si domandava come mai l’uomo avesse inventato quasi tutto quando vagava sul pianeta in pochi milioni di esemplari, e quasi nulla ora che formicola a miliardi. A questo non trovò risposta. Infatti, Greg e Galton scoprirono una cosa sorprendente: nella selezione e nella trasmissione dei caratteri, è il peggio che vince. Gli stupidi sono prolifici; gli intelligenti no. L’uomo è, fra tutti i primati, quello che ha più grossi il cervello e gli attributi sessuali. La cosa dà qualche fondamento al sospetto che chi usa più uno dei due organi “eccellenti”, abbia dei problemi con l’altro… Siamo diventati più numerosi e più grossi; ma il nostro cervello è agli stessi livelli da circa 250 mila anni”. Attenzione ora: siamo a un punto esplosivo e cruciale – ed innegabile! – “Da molte migliaia di anni l’Homo sapiens sapiens elabora comportamenti e sistemi sociali che provocano lo sterminio dei migliori”. Noi possediamo, in misura quasi esclusiva, l’istinto di aggressività intraspecifica, la furia distruttrice rivolta contro i propri simili. Infatti, cos’è una battaglia, se non l’occasione per radunare in uno stesso luogo i più forti e i più validi, da una parte e dall’altra, e di farli fuori? Il codardo scappa e ingravida la vedova dell’eroe; quindi “l’aggressività intraspecifica opera una scrematura del genere umano, una riduzione chirurgica del suo valore”. Basta leggere Omero: in patria rimanevano gli scarti e i migliori venivano trucidati sul campo di battaglia. A Sparta, però, i guerrieri potevano rischiare la morte solo se avevano dei figli, cioè soltanto se avevano trasmesso la loro virtù a qualche altro. La crudele Sparta (questo lacerto è mio) considerava la donna una eroina perché il parto era un atto eroico, e questo quando la geniale Atene teneva in conto di somaro (come gli ebrei) il gentil sesso!
Leggiamo ancora: “Questa furia livellatrice può assumere forme diverse. Nella democrazia di cui siamo fieri, il peso in voti di alcuni cerebrolesi è pari a quello di Enrico Fermi e dei ragazzi di via Panisperna… Altre forme, più brutali, di organizzazione politica si limitano solo a rendere più chiare le cose: l’esilio per Salvemini, per Einstein; il gulag per Solgenitsin; la morte per Socrate. Con l’esercizio del potere, l’Homo sapiens sapiens combatte l’aumento dell’intelligenza e la riduce”.
Ora voglio fare delle considerazioni personali di ordine generale e attualissimo: la tv segue l’indice di gradimento e non di qualità, abbassando il già “livello tombino” della cultura di tanti; così i libri: hanno successo i peggiori e questi vengono premiati e venduti. Quando ero adolescente, nella tribale via dell’Abbazia di San paolo, dove ero nato, vignaroli e ortolani, analfabeti e operai, artigiani e nullafacenti, canticchiavano romanze di opere. Pochi anni dopo, le canzonette più stolte hanno preso piede. All’osteria di mio padre veniva un certo Bardà (Oberdan), illetterato, e recitava molti canti della “Divina Commedia”, così “o pecoraro”: sapeva a memoria quasi tutta la “Gerusalemme liberata”. Con l’alfabetizzazione obbligatoria, oggi, a una statistica condotta in America, hanno risposto che Platone è un giocatore del Brasile. Io ho fatto il maestro elementare prima e il professore di italiano e latino ai licei dopo: ho notato – e l’Effetto Flynn ci dà ragione – un calo costante e progressivo dell’intelligenza da sessant’anni a questa parte (sono nato prima della guerra).
Pino Aprile è uno studioso di vasta cultura: non starò qui, per motivi di spazio, a descrivere le sue pagine in cui parla della misura cranica dei nostri lontani progenitori e la storia dell’evoluzione-involuzione umana. Il fatto è che alla donna non fu più possibile partorire a causa della spaventosa crescita del cranio dei Neanderthal, per cui il nostro cervello non aumentò più, anzi, diminuì di volume. “L’intelligenza venne letteralmente strozzata sul nascere… Sopravvissero i cretini della specie”, tramandando il deficit intellettivo ai discendenti. “Se, quindi, la nostra specie tende alla stupidità, il giudizio sull’imbecille va rivisto: piuttosto che tardo, è un anticipatore; non capisce niente, ma è già pronto per il futuro. Il genio che comprende tutto, invece, non si è, paradossalmente, accorto che la sua stessa intelligenza è un vecchio arnese, ormai sorpassato. E pericoloso.” Il genio è raro: porta la lanterna dietro di sé illuminando chi lo segue, ma esso sbatte la testa al muro o cade nel precipizio. Dice Oscar Wilde: “La società è disposta a perdonare tutto, fuorché il genio”. Pino Aprile: “Un colpo di genio portò un uomo eccezionale a scoprire il fuoco; ma a quel falò si scaldarono pure i cretini… La scintilla del genio brilla per un attimo nell’oscurità. La cultura trasforma quel lampo in luce per tutti. E ne acceca le menti”. Ma a un certo punto lo stesso autore si chiede: “Come è possibile che la società continui il suo cammino nonostante l’aumento della stupidità? C’è una sola risposta possibile: l’intelligenza non è più necessaria per far marciare il mondo: l’imbecillità sa farlo altrettanto bene. E persino meglio”. È che le invenzioni di pochi hanno portato a tutti la possibilità di vivere senza pensare, senza scervellarsi per costruirsi uno strumento di lavoro, i colori, intuire il motivo di una malattia d’una pianta e trovarvi rimedio etc. Mentre prima ognuno doveva provvedere con l’intelligenza e il lavoro alla propria sopravvivenza, oggi è tutto pronto, assicurato, purché si trovi un “collocamento”. Non pochi esperti sociologi hanno sottolineato come la meritocrazia abbia ceduto il posto ad altri strumenti, almeno in Italia (da ciò l’atavica fuga dei cervelli, da Colombo a Meucci, da Marconi a Enrico Fermi etc. (anche questo inciso è mio e spero non dispiacerà all’Autore).
Sono arrivato poco oltre la metà del testo, dove l’autore disserta con acume sulla burocrazia che non dà una mano all’intelligenza. Sento che è ora di smettere, se voglio che l’editore e scrittore Armando Guidoni pubblichi per intero questo invito appassionato a leggere l’opera di Pino Aprile. Ho cercato di tracciare un’idea centrale del poderoso lavoro del nostro Autore.
Il libro esaminato in questo articolo – secondo me – segna una tappa fondamentale nel percorso del pensiero contemporaneo: da esso bisogna partire per rimettere in discussione il superlativo assoluto di cui abusivamente ci fregiamo: sapien sapiens. E lasciatemi fare una considerazione: non pochi volumi, anche noti, dopo questi 23 anni han perduto la loro attualità e la pregnanza artistica o logica; “Elogio dell’imbecille” non solo non ha perso lo smalto e il vigore, bensì ha guadagnato in attualità!
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