Un cantastorie del nostro tempo
Storia di un cantastorie – Daniele Mutino, una fisarmonica itinerante
Maria Lanciotti
9788895736303
Edizioni Controluce
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Il racconto-intervista di Maria Lanciotti è di quelli che si propongono di lasciare a lungo traccia nella memoria per l’intensità della ‘conversazione’ e dei desideri che questo parlato/scritto contiene. Il desiderio di chi intervista sembra quello di fermare su carta percorsi inusuali di storia recente, dalla voce di chi l’ha vissuta. Desiderio dell’intervistato, Daniele Mutino, quello di donare mentre sembra fare ordine tra fatti che visti ‘dal basso’ dovevano apparire ormai scollegati e privi di un senso. Ma forse non c’è adulto che fa cose a caso o mette insieme scelte solo per le contingenze del momento in cui le fa.
Il musicista, in primis, sembra figlio di una generazione che non cercando padri non ne ha mai effettivamente trovati: una generazione che cerca soprattutto di non essere ciò che non vuole e, attraverso questo spunto non trascurabile, realizza percorsi definiti diversi, ma che chiameremo originali, solipsistici, a volte dominati da un edonismo (c’era quello Reaganiano negli anni ’80) che tanto si cercava di sfuggire ma poi, in concreto, generosi anche col prossimo. Perchè chi cerca se stesso senza infingimenti finisce per trovare qualcuno che ha bisogno, anche materiale, da cui trarre e con cui scambiare umanità, affetto, altre storie di cui arricchirsi. La ricerca libera di se stessi può portare allora: a lasciare gli studi di musica classica dopo il diploma al conservatorio; a fare il musicista di strada; ad iscriversi all’università, facoltà di lettere indirizzo antropologico e seguire le scie dei movimenti che da qui si dipartono, come quello della Pantera per esempio. Ad occupare un pugno di case in Umbria, a vivere una sorta di comune, con la consapevolezza che non sono più gli anni ’70 e che l’orizzonte davanti non è così ampio ma che, invece, scavando attorno e piantando semi delle piante più incredibili nascono fiori, grandi, profumati e duraturi. Non quelli dei ‘figli dei fiori’, però: la politica ha ri-assunto aspetti torbidi dei quali, dopo un breve periodo d’illusione, s’è capito che non ci si libererà più; la strada è sempre meno accogliente, l’individuo deve fare i conti con una domanda di religiosità (laica o no) e così si cammina. Il Cammino di Santiago, per esempio, che camminare, così come incontrare gli altri, è preghiera di per sé e la meta non ha maggior valore del percorso fatto per andare, così come nell’esistenza di questo pianista con diploma accademico, fisarmonicista per volontà ed eredità dall’avo cilentano Useo Carmelo D’Aiuto ed artista di strada per allegria (e per necessità di fuga?). A proposito della fuga: i ragazzi del ’67, e contigui, hanno imparato meglio di altre generazioni che non c’è via di fuga se non dalla disonestà e dalla noia dei percorsi prestabiliti. La curiosità della scrittrice è ben riposta anche perchè l’artista è uno che dà filo da torcere: è complesso, allegro, triste, ricco di speranze, stanco, capace di raccontare la storia dell’antropologia musicale, sfiduciato e chiuso in se stesso; e poi, improvvisamente, generoso e aperto e sorridente (com’è davvero Daniele Mutino durante le sue esibizioni musicali in un corpo a corpo con gli strumenti, pianoforte, fisarmonica, con cui esprime l’attuale fisicità di uno che quando c’è stato da ballare, anche in senso metaforico, si capisce che ha ballato). Un matto l’artista? Un matto-sano che fa i conti con le proprie nevrosi e cura tutto con la creatività anche nelle soluzioni esistenziali. Trovare una famiglia da amare e amare tutto ciò che si fa e che si è fatto, più di prima. Oltre le disillusioni e le cicatrici che il tempo lascia. La passione non si insegna a parole. Le nuove generazioni hanno tanto bisogno di questa lezione; più delle precedenti direbbe qualche benpensante ma forse non è proprio così, sono solo cambiati profondamente gli oggetti delle passioni più che la necessità di coltivarne. La pazzia vera, oggi, che continua a creare disastri sociali e tragedie individuali, è quella di scambiare il conformismo fatto di scelte binarie concesso alle esistenze ordinarie per libertà (libertà di stare da soli in due, di non trovare il mitizzato posto fisso di affidarsi a religiosità preconfezionate, o al dio consumo) di assuefarsi ad un modello che si crede buono per tutti. Daniele Mutino con la sua presenza artistica e umana, la sua favella, distribuisce ancora passione a manciate e un giusto senso di realtà attraverso il quale concretizzare i propri sogni. Maria Lanciotti ha raccolto e organizzato, in questo caso, ma con la precisa volontà che nulla si disperdesse. Nove capitoli, ed una introduzione, fra cui spiccano, secondo il gusto di chi scrive e per il loro valore di testimonianza storico-sociale: L’incontro con il mondo dei cantastorie, Novanta Teatro Movimento, Case Bianche, sul Monte Peglia e il terz’ultimo Valorizzazione dell’Arte di strada a Roma: ragionamenti sull’incontro/scontro con la ‘cosiddetta’ politica. Nell’inserto fotografico interessanti suggestioni di un passato recente, necessario da raccontare. Più che una monografia un ritratto-generazione. (Serena Grizi) – immagine web
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