Un ben triste primato
In un’Italia dove siamo abituati a sentirci in ultima fila in Europa, primeggiamo in un campo che ci relega nuovamente in coda: gli incidenti domestici e derivanti da lavoro. Troppo spesso il titolo è mortale. La parola sicurezza è riportata in tutti i vocabolari, così come nella legge, dove la 626 è indubbiamente una pietra miliare per contenuti e definizione. L’applicazione lo è molto meno. Le aziende si limitano all’informazione, alla cartellonistica e alla fornitura del vestiario antinfortunistico, ma l’operaio si divincola dalle indicazioni per avere maggior movimento e comodità. La cultura della sicurezza risulta carente in molti campi. I problemi maggiori non dipendono molto da questa condizione, anche se importante, bensì dalla sicurezza riguardante le strutture, sia esse fisse, mobili o provvisorie. La spesa sicurezza delle infrastrutture è considerata una voce del bilancio in perdita, ed altrettanto per il capitolo manutenzioni. Questa risulta essere la motivazione primaria inerente alle cosiddette morti bianche. Ogni evento, drammatico di sé, diventa motivo di scontro e dibattito. Dichiarazioni politiche e condanne a tutti i livelli. Parole che ascoltiamo dal dopoguerra, dove la promulgazione di una legge, o l’informazione agli operai, ci consente di sentirci appagati e con la coscienza pulita. Il vero obiettivo di aziende e professionisti, in Italia, è il massimo ricavo riducendo al minimo le spese di manutenzione e controlli strutturali. Il sig. Montezemolo, Presidente di Confindustria, sempre presente in televisione e nei media, chiede continuamente una diminuzione di costi per le aziende. Chiede soldi dal “tesoretto” per l’industria, critica (giustamente) l’assenteismo negli enti pubblici, ma non parla di morti bianche. Il silenzio del vertice imprenditoriale è vergognoso, così come lo scarico di colpe verso i lavoratori. La precarietà del lavoro spinge gli operai a lavorare ai confini della sicurezza, chi rifiuta vede un altro disperato occupare il suo posto. In Italia muoiono dai 3 ai 4 lavoratori ogni giorno, ma dai lunghissimi processi giudiziari non emergono mai i colpevoli. Casualità, incompetenza e quattro soldi alle famiglie, sono la condanna e risarcimento delle morti bianche. Il patrimonio industriale è tale se è in grado di garantire il futuro di una nazione. L’arricchimento di pochi individui è la speculazione dell’industria nazionale. Operai ed industriali sono la produzione e l’imprenditorialità di una nazione. Garantire l’incolumità ed i giusti riconoscimenti, professionali e retributivi, nel rispetto dei ruoli interpretati, è indice di sviluppo e crescita della nazione. La perdita di una vita non può essere considerata solo un tragico incidente, o una fatalità, bensì un fatto che coinvolge il sistema produttivo nazionale. La sicurezza deve assumere valenza maggiore nei confronti della produttività e del ricavo, voci fondamentali per l’industria ma prive di senso se non sono in grado di garantire l’incolumità fisica della forza lavoro. Il susseguirsi degli eventi investe in modo particolare l’edilizia. È un campo dove maggiormente è richiesta manodopera in nero, e dove i ricavi hanno un indice estremamente elevato percentuale. Nonostante i notevoli guadagni, le spese sulla sicurezza si basano continuamente sul “fai-da-te”. Parte del malcostume è dovuto allo Stato dove, capitolati abnormi, sono immessi sul mercato con attribuzione al ribasso dell’offerta. La prima vittima del ribasso non è il minor guadagno, bensì il risparmio nella strutturazione cantieristica. È costume ordinario attribuire commesse a chi offre meno, disinteressandosi della qualità e principalmente della sicurezza presente sul luogo di lavoro. Nessuno di noi è disposto a pagare di più per una voce che sostanzialmente non riguarda l’utente finale. Il made in Italy ci sta, purtroppo, bene anche se prodotto in Cina, a costi bassi e sicurezza ininfluente. La sicurezza è una cultura che dovrebbe essere accettare non come perdita economica, bensì come successo della condizione sociale e del bene comune.
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