TUTT’INTORNO STANNO GLI INDIFFERENTI
Gli organi di informazione, i saggi ed i sapienti da salotto buono, coloro che guidano e conducono le danze, ci costringono con le spalle al muro, peggio, ci obbligano a ragionare con la pancia, mai con la testa, fosse mai con il cuore.
Quando il dibattito è inerente al carcere, c’è sempre conflitto di interessi, di corporazioni contrapposte e divergenti, di casacche sdrucite in bella mostra e roboanti filippiche nazional popolari, molto in auge al bar sport, in particolare alla bouvette in Parlamento.
Non c’è giorno che sul pianeta sconosciuto più di qualcuno abbia da elargire la propria ricetta ricostituente, per poi accorgerci che la galera è nuovamente alle corde, stritolata da quel famoso problemino endemico a tutte le amministrazioni penitenziarie, che sta riportando a livelli di non sopportabilità il mostro del sovraffollamento. In termini di soldoni, checché non se ne dica, oppure se ne dica in modo fuorviante, comporterà un nuovo fuori pista, come a dire, che area inclusiva, cultura della legalità, sistema affidabile perché meglio guidato, lascerà ancora, e ancora, e ancora il posto, a un perenne approccio emergenziale. Ciò significherà che la patologia dell’ansia da prestazione avrà una ricaduta esagerata sulle persone detenute che in carcere scontano ( si presume con dignità) la propria condanna ma anche e soprattutto sugli operatori, che per risolvere problemi che s’accatastano uno sull’altro senza tregua né soluzione, rischiano di rimanere impigliati in una apnea asfissiamte che non produce nulla o quasi, nonostante professionalità e buona volontà,
Ho l’impressione che una certa criticità sociale diligentemente alimentata dai pregiudizi non fa altro che perpetrare uno scollamento e un distacco dal proporre progetti, programmi, linee guida che tutelino le vittime del reato, ma che proprio da questa premessa possano essere generate nuove opportunità di riparazione e riconciliazione. Si tratta di una vera e propria rivolta copernicana, è veramente necessario attuare una giustizia giusta, una giustizia che non sta solo a una mera punizione, per cui sappiamo chi entra in prigione ma chi esce non è dato saperlo. Sappiamo chi è l’attore del reato ma tranne richiedere inasprimenti delle pene e ipotetiche chiavi da buttare via, perdiamo contatto con la realtà di un territorio che include sfruttando le capacità di ognuno, perché la responsabilità sociale condivisa genera corresponsabilità, e ciascuno attraverso realtà e sensibilità differenti, attraverso ruoli e competenze definisce il senso comune.
Chissà se sul carcere, sulla restrizione della libertà, sul castigo inevitabile e su una pena rieducativa, forse occorrerà finalmente argomentare, abbandonando la sponda delle opinioni vestite di stereotipi.
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