Tutti in divisa!!
Giungono in questi giorni notizie veramente allarmanti ed esilaranti, che evocano sospette nostalgie del Ventennio fascista: il ritorno ai vecchi grembiuli degli scolari e nientemeno che divise per le maestre d’asilo! (Vedi il bell’articolo di Maria Lanciotti in “Controluce”, ottobre 2008: Educatrici in divisa all’asilo nido?) Da qui il passo a vedere sfilare di nuovo (o meglio ‘di vecchio’) i piccoli Balilla potrebbe essere breve. Ai miei tempi, all’asilo e alle scuole elementari, si portava il grembiule, rigorosamente nero con il colletto bianco inamidato, come le vecchie tonache dei preti. Avevano un solo vantaggio: mascheravano le differenze sociali degli alunni, ricchi e poveri scomparivano dietro il nero dei loro grembiuli anonimi e severi, che celavano le maglie rammendate dei meno abbienti così come i costosi maglioni dei più fortunati. Quando dalle elementari passai alle medie, nella mia vita si spalancò improvvisamente una finestra su un mondo colorato e pieno di luce: le anonime divise nere erano sparite e ogni bambino riacquistava i colori della sua personalità, inclusi quelli della sua povertà o della sua ricchezza, di cui era innocentemente portatore, nell’uno come nell’altro caso. Tuttavia, non facciamoci troppe illusioni: le divise non sono soltanto quelle dei soldati o i grembiuli di scuola di una volta, ora rispolverati nella superficiale convinzione che possano riportare serietà e ordine in una scuola disastrata per ben altri motivi che la presenza del colore nei vestiti dei bambini. Il ‘dover’ indossare abiti di una certa foggia, piuttosto che essere liberi di vestirsi come un uomo del Cinquecento o come Socrate, è esso stesso un accettare passivamente una divisa, quella della moda, con tutti i suoi capricci. E la moda, poi, è come una lingua: ha i suoi dialetti. L’uomo d’affari ha un suo abbigliamento-divisa, l’uomo sportivo ne ha un altro, l’intellettuale un altro ancora, e così pure lo studente. Negli anni Sessanta del secolo scorso, l’intellettuale portava i capelli un po’ lunghi, gli occhiali da vista e il maglione a collo alto. Oggi porta la camicia sbottonata al collo, senza cravatta anche se indossa la giacca, e spesso i jeans se non è troppo avanti con gli anni. Le donne ‘bene’ degli anni Settanta vestivano da fatalone: tailleur aderenti con scollature profonde, pellicce vere, scarpette di pelle con tacchi a spillo o stivali, nella versione più sportiva. Oggi, per essere attraenti, le donne devono avere capelli biondi lunghi e lisci, viso poco truccato, quasi al naturale, jeans, magliette semplici aderenti e colorate, scarpette da ginnastica, linea snella. Sì, perché la ‘divisa’ imposta dalla moda arriva anche a modellare il loro aspetto fisico: essere magre, alte e bionde oggi fa parte del cliché femminile, come un tempo l’essere di forme generosamente provocanti, brune e truccatissime. Quando andavo al liceo, noi studenti eravamo tacitamente obbligati a presentarci a scuola in giacca e cravatta. Ricordo che qualche volta che trasgredii questa ‘consegna’, fui ‘ripreso’ dalla mia insegnante di lettere, la quale garbatamente, ma con un palese intento ironico, notò a voce alta in classe che portavo il maglione, anche se un bel maglione (dentro il quale mi trovavo molto più a mio agio), e non la giacca! Oggi la situazione è pressocché la stessa, anche se è radicalmente cambiata la divisa: lo studente d’oggi deve avere un abbigliamento che ai miei tempi avremmo bollato ‘da pezzente’, nulla deve essere curato e in ordine, o meglio il nuovo ordine è il disordine, il sudiciume e la trasandatezza: jeans logori, possibilmente con qualche taglio e il cavallo all’altezza delle ginocchia, le reni scoperte per le ragazze, fino a far intravedere parti intime…Ma vestire così li fa sentire giovani e sottolinea il loro divario dagli adulti, quando paradossalmente non è inteso come una forma di contestazione. Dico ‘paradossalmente’, perché un ragazzo che oggi volesse ‘contestare’ (e quindi essere controcorrente) dovrebbe venire a scuola in giacca e cravatta, con la faccia pulita e i capelli ben pettinati, oppure vestito da romano antico! Tutti, dunque, più o meno, indossiamo una divisa, che limita la nostra libertà. Tuttavia, la moda non è un fatto così superficiale, ha radici profonde nel costume di ogni società e anche il suo imporre delle ‘divise’ ha qualche vantaggio, per esempio il sollevarci dalle scelte quotidiane. V’immaginate se ogni mattina aveste l’effettiva libertà di scegliere come vestirvi: un abito da egiziano antico, o uno da greco o da romano antico, od uno medievale, o forse sarebbe meglio uno rinascimentale, o forse ancora una bella parrucca bianca riccioluta con il suo bell’abito settecentesco ricco di merletti svolazzanti, o un romantico abbigliamento ottocentesco, oppure un moderno abito da anni Trenta speranzoso come la sua epoca….E poi, il seguire la moda del proprio tempo reca un innegabile beneficio psicologico: ci fa sentire meno soli, uomini del nostro tempo e ci accomuna con gli altri uomini che vivono il nostro stesso tempo; in fondo è una forma di comunicazione, fatta di condivisione di gesti, di colori, di forme. Il vestire una ‘divisa’, dunque, in tal senso ha qualcosa di positivo, purché, però, non crei bruttezza (come i pantaloni abnormi e goffi dei ragazzi d’oggi) ma bellezza e sia la divisa del nostro tempo. Ecco un altro motivo per il quale i grembiuli degli studenti e le divise delle maestre d’asilo non sarebbero delle ‘buone divise’, sarebbero come girare un film di almeno mezzo secolo fa, e un camminare innanzi volgendo la testa indietro: prima o poi si andrà a sbattere….Evitiamo di farci male!
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