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Tutti a “riascoltare” L’Esorcista

Tutti a “riascoltare” L’Esorcista
Luglio 26
16:50 2020

Molte volte nel cinema ci troviamo di fronte a luoghi comuni davvero fastidiosi. Uno dei più rituali è che il mondo degli Oscar sia manipolato, espressione di una “cricca” di produttori che tirano le fila del mercato, e di conseguenza del tutto inaffidabile per capire la reale valenza di un film e di chi ci lavora.

Naturalmente c’è chi dice, e forse non a torto in certi casi, che se nasce un luogo comune è possibile che abbia matrice in elementi realmente riscontrabili almeno in parte nella realtà, ma spesso creare cliché serve soprattutto a usufruire di facili scorciatoie per non aver a che fare con la complessità dei sistemi.

Ma qual è lo scopo di questo “pistolotto” e soprattutto cosa c’entrerà mai con il film “L’Esorcista” di Friedkin? Cerchiamo di capirlo nelle prossime righe.

Sono stati scritti fiumi d’inchiostro su quello che è stato considerato da molti come un vero fenomeno del cinema: la sua importanza nel definire alcuni parametri del cinema horror contemporaneo ma nello stesso tempo il fatto di trascendere dal genere per divenire un vero e proprio film non etichettabile; le letture sui significati culturali, l’approccio alla religione, il rapporto madre figlia, i riferimenti alla figura della donna “single” protagonista del film nei primi anni settanta, fino ad arrivare a tutto l’universo di curiosità più o meno morbose sulle riprese del film, la produzione, il successo.

Tutto è assolutamente condivisibile. In particolare però è da considerare con grande ammirazione lo straordinario uso del sonoro.

Avete mai provato a guardare L’Esorcista ponendo particolare attenzione a come è stato utilizzato l’audio? Beh provateci, ne rimarrete sorpresi.

Con sonoro ovviamente si intende tutto ciò che riguarda il suono: musica, voci e rumori. L’impianto acustico nella sua interezza insomma.

Partiamo dalla parte più nobile, la musica.

Ci sono molto brani e molti autori coinvolti all’interno della colonna sonora del film anche se in realtà è un film dove la musica non è assolutamente la protagonista, al contrario. Spesso non esiste musica e quando c’è non è in primo piano né come intensità del volume né come scansione temporale delle scene.

A dispetto di questo, il brano Tubular bells di Mike Oldfield, utilizzato all’interno del film, non solo è divenuto arcinoto negli anni successivi, ma è anche stato adottato come archetipo della colonna sonora horror. Nessuno può negare l’ispirazione davvero marcata per esempio con il motivo principale della musica dell’italianissimo Profondo Rosso (regia di Dario Argento) composto dai Goblin nel ’75.

Un’altra cosa che lascia perplessi è che questo brano, utilizzato all’interno del film e incredibilmente efficace per creare tensione nello spettatore, fosse “relegato” in un momento apparentemente marginale della narrazione. Il suggestivo arpeggio pianistico di Tubular bells infatti è il sottofondo di una camminata che Ellen Burstyn, protagonista del film che interpreta la mamma della bambina indemoniata, fa nelle strade della sua città nella prima parte del film. In quel momento della narrazione la figlia aveva già cominciato ad avere i primi disturbi ma non siamo affatto all’escalation. Il regista nondimeno decide di usare quel pezzo musicale così efficace per iniziare a dare il senso di tensione e non lo utilizza in modo molto più plateale in momenti culmine del racconto. Questa è una prima finezza assoluta da sottolineare con il rosso.

I rumori.

Tutto il film è scandito da rumori. Anche qui, come nel caso della musica, si deve fare attenzione per sentirli perché non sono spiattellati in modo evidente alle orecchie dello spettatore. Al contrario sono un sottofondo continuo, una “presenza”, come la presenza demoniaca nel corpo di una adolescente è la vera protagonista del film. Allora i rumori della soffitta accompagnano i movimenti nella casa per tutto il tempo e ci fanno sentire in compagnia di qualcuno che in realtà non c’è, non invade lo spazio, non vediamo, ma è sempre lì con noi.

Un altro elemento importante scandito dai rumori sono le indagini mediche sulla bambina. La mamma inizialmente, in perfetta coerenza con la sua cultura laica e positivista, non si piega affatto a considerare ipotesi e soccorsi religiosi per i problemi della figlia e, prima di rassegnarsi sfinita e inerme nelle mani di un esorcista e quindi della chiesa cattolica, insiste nel far visitare la figlia da tutti i medici e gli psicologi possibili e immaginabili. Le analisi, imposte alla bambina dal personale medico in modo freddo e invasivo, non sono scandite da immagini forti bensì da rumori. Rumori crudi, agghiaccianti, molto ben studiati, prodotti da macchinari più infernali dello stesso demonio ospite della bimba.

Infine le voci.

Il demone che alberga il corpo della ragazzina non si vede mai durante il film. A parte alcune immagini appena accennate di una sorta di maschera che si intravede nell’ombra, il mostro è soltanto un “mostro acustico”. Un mostro che produce alcune volte versi immondi, che i curatori del sonoro hanno realizzato attraverso la commistione di varie fonti (animali, uomo, e rumori meccanici). Un mostro che altre volte parla molte lingue. Una di queste è una lingua sconosciuta. In un momento della storia viene registrato quello che esce dalla bocca della bimba e poi riascoltato da un esperto e da padre padre Karras per capire di cosa si tratta. I due riescono a capire che mandando indietro il nastro della registrazione si arriverà a capire cosa stava dicendo il demone per bocca della posseduta. Beh quello è, senza bisogno di effetti speciali o spanciamenti vari, uno dei momenti di massima tensione del film, capace di gelare la schiena degli spettatori anche più distratti.

“Ma allora? Cosa c’entra il discorso sui luoghi comuni fatto all’inizio?” vi starete chiedendo… Giusto, arriviamo al punto finalmente. L’Esorcista vinse il premio Oscar per la realizzazione del sonoro. E già signori, non sempre quindi i burattinai tirano fila invisibili per orientare in direzioni incoerenti il mondo, per sfruttare il mercato a proprio piacimento e falsare le regole dello show. Qualche volta (molto spesso a dire il vero) chi deve vincere l’Oscar lo vince e se lo porta a casa, come è sacrosanto che sia. Bravi Robert Knudson e Christopher Newman (Oscar per il sonoro) e William Peter Blatty (Oscar per la migliore sceneggiatura non originale), per aver contribuito a donarci un film che rimarrà per sempre nella storia del cinema.

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