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Tutta la vita davanti, di Paolo Virzì

Tutta la vita davanti, di Paolo Virzì
Maggio 01
02:00 2008

Locandina de Tutta la vita davanti, da Mymovies.itTorna Paolo Virzì con un film che è un buon epigono di quella commedia all’italiana di Monicelli cui spesso il regista livornese tende. Dunque gli spettatori possono attendersi risa e lacrime in questa storia di precariato giovanile dal titolo davvero ironico.
Il film si apre con Marta (Isabella Ragonese) che si laurea in filosofia teoretica col massimo dei voti: è giovane, è bella, è brillante, ha un ragazzo ed è a Roma. Avrebbe tutta la vita davanti. In realtà no. Non ce l’ha perché il mondo che le si presenta dopo l’Università è ben diverso dai sogni che (si intuiscono) aveva durante gli studi: il suo ragazzo (fisico) vince una borsa all’estero e parte per mai più tornare; la sua bella tesi viene cordialmente rifiutata da ogni editore; sua madre si ammala e lei perde la casa. Insomma un disastro presente e con severi risvolti sul futuro.
Marta però non si perde d’animo e risolto il problema della casa prestandosi come “ragazzi alla pari” in casa della ragazza-madre Sonia (Micaela Ramazzotti), sistema anche quello del lavoro impiegandosi come la nuova coinquilina nel call center della Multiple.
Trattasi quest’ultima di azienda produttrice di un Folletto evoluto che fa tutte cose inutili, perfino depurare (l’ottima) acqua romana, costando uno sproposito: questa “sola” viene “spinta” da una batteria di telefoniste giovani e precarissime, motivate dalla virago Daniela (Sabrina Ferilli), che usando carota e bastone tira fuori il massimo dalla sue ragazze, anche in fatto di frustrazione. Tra balletti da velina, danze maori, nomination per “ragazza del mese”, scherzi da caserma, le telefoniste ed i venditori inseguono in una folle corsa i risultati, senza che gliene venga loro nulla in tasca, mobbizzati e presi per i fondelli. Marta entra con la sua testa in questo incubo e lo fa con profitto, ma non se ne fa travolgere: collabora infatti con il sindacalista Giorgio (Valerio Mastrandrea) che gravita attorno alla Multiple. Giorgio di cognome fa Conforti, ma più che conforto suggerisce lo scherno da parte delle ragazze del call center, attente più alle dinamiche del Grande Fratello 7 che alla loro dignità: una veritiera fotografia dell’impotenza del sindacato verso il lavoro “flessibile”.
Marta e la sua coscienza si invaghiscono di Giorgio che per desiderio ed impotenza finisce invece nelle braccia di Sonia: la “velina de noantri”, beccata dai capi a parlare col sindacalista viene silurata dal call center e si mette a fare la escort, ossia la prostituta come si dice nell’era di internet. Marta nel frattempo, complici i suoi risultati, entra nelle simpatie dei capi, scoprendo che Daniela e Claudio (Massimo Ghini) a dispetto dell’aura di successo che li avvolge sono dei disperati, ma questo non la ferma a collaborare con i sindacati, azione che causa provvedimenti contro la Multiple.
Si innesca così una spirale che porterà alla risoluzione di alcune storie, ma non di tutte, complice anche un delitto finale.
Sorrisi e rabbia strappa questo film di Virzì che traccia un ritratto agrodolce del precariato italiano, davvero realistico. Reali sono le difficoltà dei laureati in molte discipline, reali sono le poche opportunità che solo l’estero offre loro, reali e perdenti i paragoni con generazioni passate che pur nella modestia vivevano con dignità. Anche i “mostri” che animano il film sono reali: i nuovi yuppies, negrieri quanto soli, con i loro figli cresciuti nella bambagia, ma non nel cervello; le scimmie ammaestrate del call center, spesso convinte che quello sia il miglior mondo possibile, fatto di balletti, umiliazioni e vita per procura nei reality.
Dunque vince Virzì perché il film funziona e fa (giustamente) arrabbiare, ma non convince chi come me vorrebbe una sanzione ai personaggi che perdono la dignità e una ricompensa a chi la mantiene; non convince perché tutto il film è griffato dall’operatore telefonico che i call center li ha introdotti in questa forma in Italia, a parer nostro sfruttamento organizzato più che opportunità.

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