Turismo spaziale e recessione – 6
Nel 1978 esce il film Incontri ravvicinati del terzo tipo. In concomitanza il cielo si riempie di oggetti volanti, avvistati in tutto il mondo. In Italia si segnalano migliaia di avvistamenti concentrati specialmente su un tratto della costa adriatica; fra i testimoni ritenuti attendibili, anche alcuni pescatori che dicono di aver visto una luce di un colore stranissimo, mentre la bussola sembrava impazzita.
Allucinazioni di massa? Eventi naturali? Eventi anomali?
La caccia agli UFO (Oggetto Volante non Identificato) si fa appassionante, tanta gente passa le ore notturne a guardare in aria con la speranza di cogliere il movimento di luce, rossa tendente al violaceo, al passaggio di un veicolo alieno.
I fatti di quaggiù perdono in un certo senso importanza al cospetto dei fantastici orizzonti che si spalancano sopra le nostre teste. Qualcuno, anticipando i tempi, azzarda l’ipotesi che presto si farà turismo spaziale.
Intanto bisogna fare i conti col presente. Il clima arroventato di quegli anni rischiava d’incenerire ideali e sogni. Mentre la tv commerciale esponeva sempre più sfacciatamente le sue indecenti proposte, un mondo di fumo in cui tutto appare possibile e niente reale, allettante surrogato di una vita che si è fatta troppo difficile.
Cala la nebbia su quegli anni violenti e oscuri, portatori di nuovi malanni. La memoria comincia a svanire, a non registrare l’incomprensibile trapasso che non si sa dove ci porterà, e a quale prezzo.
Arriva la notizia come uno sparo inatteso: la legge 180 del 13 maggio 1978, nota come legge Basaglia – dal suo promotore Franco Basaglia –, impone la chiusura dei manicomi e introduce il trattamento sanitario obbligatorio, istituendo i servizi del CIM (Centro Igiene Mentale), poi confluiti nel Servizio Sanitario Nazionale.
La chiusura dei manicomi è una vera rivoluzione. Proprio quando tutto il mondo sembra essere impazzito, i cosiddetti malati di mente sono rilasciati dai luoghi di contenimento fisico e psichico – più simili a lager che a luoghi di cura – con la prerogativa di essere immessi nella società e di essere trattati come normali pazienti bisognosi di cure e di attenzioni, e non più portatori di maledizioni ancestrali da dover tenere alla catena come pericolosi mastini o nascosti come una vergogna.
“La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia. Invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragion d’essere” (Franco Basaglia). Fatta la legge, si cominciarono a svuotare gli ospedali psichiatrici pubblici e a riempire cliniche private che sorsero un po’ ovunque, spesso occupando grosse ville recintate da alti muri alla periferia di paesi e città. Si aprono studi di psichiatri, psicologi, neurologi non di rado formati alle diverse ed opposte scuole di pensiero e fra di loro in conflitto, cui fanno capo quanti vivendo una situazione di disagio e avendo la convinzione e i mezzi per affrontarla si affidano alle cure lunghe e costose degli esperti, mentre la società impreparata fa il suo bravo sforzo per accettare la presenza di persone “particolari” che non si sa in realtà come trattare. Non si capisce in cosa consista il “male di vivere”, che attacca soprattutto i giovani: cosa manca loro?
La generazione che si è fatta l’ultima guerra, che si è rotta le ossa per la ricostruzione, che ha conosciuto fame, miseria e spesso la mortificazione di un’emigrazione interna piena d’incognite e sacrifici al limite della sopportazione, non sa nemmeno di cosa si stia parlando quando si nomina il disagio mentale.
“Ma insomma, che altro si va cercando dalla vita?” si chiedono in molti. E torna sempre in campo la famosa zappa, la fatica e il sudore che ti ripulisce dalle scorie come un’acqua santa e ti fa dormire sonni tranquilli.
Senza pensare che, anche volendo, non ci sono più terreni da coltivare in proprio, né più braccianti disposti ad ammazzarsi di fatica per arricchire i latifondisti, e non basterebbe per vivere il raccolto dell’orticello. Le esigenze vanno ben oltre lo stretto necessario, la civiltà dei consumi si sta imponendo con una forza trainante irresistibile, cui non si sfugge se non agganciati a forti principi. Principi che non vacillano mai nelle generazioni precedenti a quelle del boom, che però non contrastano adeguatamente il processo di omologazione in pieno svolgimento. E chi non si adegua rischia di soccombere. Prodotto ibrido di una società in fase di rovesciamento di valori. Si prende a vivere alla giornata, nell’incertezza di quello che il futuro riserva. Un futuro che si apre ormai alle più pazzesche ipotesi, spazzando paletti e resistenze come fuscelli nel tornado. Esce nelle sale L’uomo che cadde sulla terra, la storia di un alieno che in cerca di salvezza per il suo popolo in via di estinzione approda sulla Terra per impiantarvi una potentissima multinazionale elettronica – la World Enterprise – sfruttando ben nove brevetti che ha portato con sé. Accumulata così un’immensa fortuna, affida ad uno scienziato il compito di costruire un’astronave che lo riporti al suo pianeta trasferendovi anche l’energia necessaria per farlo rivivere. Ma il suo segreto trapela, interviene la CIA e il povero alieno viene consegnato ad una equipe di medici che lo studiano a fondo, fino ad annichilirlo per sempre sotto le loro mani. C’è una scena del film in cui si vede una stanza con le pareti completamente ricoperte di schermi televisivi, tutti in funzione con programmi diversi, che col movimento vorticoso e la babele di voci ti annullano il pensiero.
Chi sono gli alieni – c’è da chiedersi -, chi sono le cavie, chi gli speculatori? La fantascienza è di là da venire o vi siamo già immersi fino al collo? E intanto prosegue a spron battuto l’alienazione di un popolo. Con i risultati catastrofici con cui oggi ci troviamo a dover fare i conti. (fine)
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