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Tu, sanguinosa infanzia

Tu, sanguinosa infanzia
Novembre 09
10:44 2014

Tu, sanguinosa infanzia
Michele Mari
9788806195434
Einaudi
€ 13,00 anno 2009  e-book disponibile € 6,99
Maricover
L’infanzia narrata dalla prosa colta, leggermente fané e così ricca di ironia dell’autore, non è un’infanzia sconosciuta ai più nonostante il titolo. La tensione s’avverte, però, tra le pagine di questi racconti, alcuni dei quali perfetti, laddove l’horror vacui coglie i bambinetti, gli adolescenti, appena fuori dal binario sicuro delle loro letture, dei consigli genitoriali, dei compagnetti che possono rivelare una faccia talvolta diversa da quella conosciuta. Così ne L’orrore dei giardinetti, la terra di confine sono le ginocchia grigie di polvere e lividi nelle quali si riconosce la spensieratezza e la sua finitudine: le madri, viste tutte assieme alla panchina, non sono più tali, ma donnette che ciacolano di cose inutili, il parco troppo grande e sterrato;

penoso, eppure necessario, il chioschetto che vende le porcherie zuccherose dell’infanzia acquistate con protervia per ‘rovinarsi l’appetito’ a mezz’ora dalla cena. Ne E il tuo dimon son io, Otello/Orson Welles guida lo sguardo atterrito del protagonista fra le lapidi dei compagni di giochi, odiati perché troppo bravi, troppo egoisti-narcisisti, morti e sepolti nel momento in cui il bimbo ha desiderato vederli tali e che hanno continuato a vivere un’esistenza puramente riempitiva del suo ‘visivo’. Oltre l’incubo ci sono intere pagine ‘apologetiche’ su miti generazionali come le copertine fantastiche di Urania, i fumetti Cocco Bill, L’Uomo Mascherato, Mandrake. Un libro regalato da un padre sempre distante per ruolo, diventa gioia e tormento del protagonista del racconto omonimo: si tratta de La freccia nera appena letto perché prelevato dalla biblioteca del nonno; per non frantumare l’epifania il bambino cerca diversità nei due volumi, imparando il concetto di ‘edizione’ e, verificatene le effettive differenze, ricomincerà a leggerlo come fosse una storia nuova. L’infanzia, che vista dall’esterno potrebbe sembrare l’incubazione dell’individuo che verrà, nel narrato di Mari è una terra a sé, quasi sconosciuta e conservata gelosamente da ognuno al riparo dallo sguardo altrui. Nel racconto I giornalini un padre s’ingegna su come preservare i suoi preziosi fumetti dal figlioletto di cui gli è appena stata annunciata la nascita: i suoi originali pantheon prevedono Tacito Proust Guicciardini, Soldino Geppetto Eta Beta. Un discorso a sé vale per Otto scrittori, Certi verdini, Canzoni di guerra nei quali invenzione e scrittura sono pura, felice, letteratura. Questa sembra, più nell’indirizzo che nei fatti, la densa totalizzante infanzia di Antoine Doinel in quel capolavoro che è I quattrocento colpi di Truffaut, o qualcosa che le si avvicina; intessuta di piccoli miti nostrani, però, da una scrittura ricca di passaggi ironici, di spericolata, giocosa misantropia. «Io, quando mia madre mi spiegò che “mostro”, per gli antichi, voleva dire prodigio, e perfino miracolo, mi sentii per un attimo placato, come vivessi in un mondo migliore». (Serena Grizi)

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