Troppi suicidi in carcere, l’appello di Antigone alle istituzioni e…al sentimento di umanità
Le storie riportate nel dossier della associazione “Antigone – per i diritti e le garanzie nel sistema penale”, molti potranno pensare, con buone ragioni, che non apparterranno mai al loro vissuto, ma di certo sono la realtà di molte famiglie. Le storie di chi si toglie la vita in carcere, in un attimo di disperazione totale, sono tante e vedono coinvolti uomini e donne, persone giovani, la media è di 37 anni, che a questo punto, se hanno sbagliato, lo hanno fatto ‘per sempre’ poichè al loro gesto, alla loro ‘scelta’ non c’è appello. Ci sono stranieri ed italiani, persone con problemi psichiatrici molti dei quali in carcere per reati piccoli piccoli…
In fondo all’articolo, tratta dal dossier realizzato da Ristretti orizzonti dal titolo Suicidi. Persone, vite, storie. Non solo numeri Dossier sui suicidi in carcere nel 2022, la storia di S.M., che almeno aveva la ‘fortuna’ di avere un nome, di molti dei deceduti neppure si conosce, e di essere ‘pensato’ da qualcuno, anche se questo, non è riuscito a salvarlo… L’appello è alla politica e alle istituzioni attraverso cui si rappresenta il sentire del paese; ed anche alle singole persone, al loro sentimento umano, di tenore notevolmente contrastante, come si potrà leggere…
“59 suicidi, l’allarme inascoltato dell’estate tragica ” di Patrizio Gonnella* su Il manifesto del 4 settembre 2022
*presidente di Antigone
«Hanno tolto il disturbo 57 detenuti, 57 persone, tutti principini e onesti italiani, hanno tolto il disturbo …finalmente una buona notizia…porca ma….. dal Friuli che non è Italia». Questo è il contenuto di una mail che abbiamo ricevuto qualche giorno fa, a commento del nostro racconto di una tragica estate carceraria italiana.
Il bestemmiatore (per rispetto nei confronti di chi si potrebbe sentire offeso ho tagliato la sua espressione) è felice per i 57 detenuti morti. Forse lo sarebbe ancora di più oggi visto che il numero delle persone che si è tolta la vita in galera è salito a 59. Un numero mai così alto negli ultimi decenni, segno di una disperazione che da individuale è diventata collettiva.
Nel solo mese di agosto ogni due giorni si è suicidata una persona in carcere. Una percentuale che, se proiettata nella società libera, farebbe tremare i polsi, facendo pensare a forme prossime al suicidio di massa. Non è facile dare una spiegazione unitaria a gesti compiuti nella solitudine individuale. Sarebbe quasi irriguardoso delle loro vite, purtroppo oramai spente.
Possiamo solo dire che quella disperazione individuale non è stata intercettata al punto da evitare che il suicidio fosse portato a compimento. Il signore friulano che, nel nome degli italiani onesti, gioisce di fronte all’altrui morte dovrebbe sapere che il suo odio verso i detenuti non migliora la qualità della sua vita, che la sua violenza verbale non è meno grave e offensiva del furto di 180 euro o di una pecora che avevano portato in prigione due delle persone che hanno deciso di farla finita.
La sua gioia è lo specchio di una parte di Italia incattivita, senz’anima, indifferente al dolore e alle pene altrui, che è stata alimentata a pane e odio da opinionisti social e politici. Alla sua gioia si contrappone il dolore infinito di mamme, fratelli, compagne, figli, amiche, conoscenti lasciati soli nel gestire le scarne notizie sul suicidio della persona loro cara.
Nel nome di questa sofferenza, e per rispondere alla gioia del bestemmiatore dal Friuli, tutti dovrebbero dire una parola di rispetto per chi è in carcere e di gratitudine per chi lavora negli istituti penitenziari per assicurare dignità e speranze di riscatto.
Siamo alla fine della legislatura e non ha più senso chiedere l’adozione di provvedimenti che avrebbero dovuto essere assunti negli scorsi mesi.
Ha senso, però, chiedere a tutti coloro che sono coinvolti da protagonisti nella campagna elettorale di impegnarsi per dare un senso alla pena, per renderla meno afflittiva, per ridurre la pressione data del sovraffollamento che riduce gli esseri umani da persone a numeri di matricola.
Non denunciamo il gaudente signore friulano perché contro il suo odio vorremmo una reazione culturale, sociale, politica e non meramente giudiziaria. Usiamo la sua cattiveria affinchè lui e tutti gli odiatori, alimentati da retoriche populiste, siano sommersi da prese di posizione, parole, gesti che vadano nella direzione opposta.
Affido le conclusioni di questo articolo a Cosimo Rega, ex ergastolano, attore, poeta, che ci ha lasciato qualche giorno fa, a pochi giorni dalla libertà conquistata:
«Quando ho chiesto la mano ho trovato la disponibilità di alcune persone. Il percorso è stato difficile, come direbbe Dante».
Lui ce l’ha fatta a riscattarsi, a concludere la sua esistenza da uomo di teatro. Non tutti trovano la stessa disponibilità, non tutti hanno una Gelsomina che li aspetta.
Nessuno dovrebbe essere lasciato solo con la sua pena. Una comunità forte è quella che non genera senso di abbandono e disperazione. Uno Stato è forte quando isola coloro che gioiscono di fronte all’altrui morte. Nei primi mesi del 2022 sono già 59 i suicidi avvenuti nelle carceri italiane. Più di una ogni quattro giorni. Sin dall’inizio dell’anno il fenomeno ha mostrato segni di preoccupante accelerazione, fino a raggiungere l’impressionante cifra di 15 suicidi nel solo mese di agosto, uno ogni due giorni.
A fronte di questo dramma, abbiamo deciso di realizzare un dossier dove ripercorriamo i numeri, i luoghi e alcune delle storie delle persone che si sono tolte la vita in carcere.
Per evitare che cadano nel dimenticatoio e per rompere il silenzio attorno a questo tema.
La storia di S.M. Il giorno prima S.M. un uomo di 44 anni, originario di Catania, si era tolto la vita nel carcere di Caltagirone. Si trovava da pochi giorni all’interno dell’istituto per il furto di un telefonino e un portafoglio, sottratti al botteghino del Teatro Massimo Bellini e subito restituiti ai legittimi proprietari. Era già da tempo in lista d’attesa per essere inserito in Cta (Comunità Terapeutica Assistita), in quanto affetto da “psicosi NAS in soggetto con disturbo di personalità borderline e abuso di alcolici”. Sulla storia di quest’uomo riportiamo la testimonianza inviataci da una signora a lui vicina. “Conoscevo S. M., il signore di Catania che si è tolto la vita in carcere. Era un soggetto fragile, con vari disturbi mentali, aveva lo sguardo perso nel vuoto, un viso sofferente, e spesso non riusciva a comunicare in modo adeguato, ripetendo monologhi, o frasi senza senso, talvolta appariva smarrito perché in stato confusionale, la sua igiene personale era inesistente e sembrava molto più grande dei suoi 44 anni. Talvolta veniva picchiato per divertimento dai bulli del quartiere, e si presentava in giro come una maschera di sangue. Per vivere chiedeva l’elemosina e più volte l’ho visto rovistare tra i rifiuti, la strada era la sua casa. Nel mese di giugno venni a conoscenza di un video che ancora oggi circola su tik toc, nel quale si vedeva lo stesso che dormiva in pigiama all’interno di un cassonetto dell’immondizia. Nella scuola nella quale ho insegnato, nel cuore di S. Cristoforo, in tanti abbiamo segnalato la situazione. Io stessa mi sono recata in questura e ho mostrato agli agenti il video nel quale S. dormiva a sonno pieno all’interno di un cassonetto, dicendo che il soggetto che talvolta fa uso di alcool potrebbe non svegliarsi durante la raccolta dei rifiuti, rischiando di essere schiacciato dal compattatore. Mi è stato detto che gli stessi non potevano intervenire in quanto nel video non si configurava alcun reato. Così ho dato voce a vari amici e associazioni, ma la situazione è rimasta immutata. Qualche giorno fà apprendo la triste notizia del suo decesso, per me quasi una morte annunciata, e adesso mi domando, come mai è stato condotto in carcere e non in una comunità di recupero viste le sue condizioni psicofisiche? Inoltre, come ha fatto a progettare ed eseguire un suicidio senza che nessuno lo vedesse, e tentasse di salvarlo? Questa storia racconta che nella nostra società gli ultimi non vengono tutelati, nel nostro ordinamento penale, per espressa previsione Costituzionale, la pena deve tendere alla rieducazione del reo. E invece S. in quel carcere ha perso la vita. Oggi sono stata a S.Cristoforo e quasi lo vedevo curvo su stesso girare il quartiere come un’anima in pena, non sono riuscita a salvarlo, e non smetto di starci male. Oggi vi chiedo con tutta me stessa di non giravi mai dall’altra parte perché anche se la nostra società ha fallito, noi dobbiamo restare umani, dobbiamo continuare a credere che se tutti facciamo la nostra parte e ci aiutiamo nei momenti di difficoltà, questo mondo può essere davvero un posto migliore. Perdonami S., uomo buono dal cuore puro, non sono stata alla tua altezza, buon viaggio”
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