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Triboniano: Milano deve farsi carico di un progetto serio di inclusione

Maggio 17
13:53 2010

Milano, 18 maggio 2010. Vi è chi, fra gli antirazzisti che si battono a fianco delle comunità Rom, è convinto che i campi nomadi siano il prodotto delle società capitaliste e intolleranti e basano le istanze di emancipazione su tale assunto sbagliato, equiparando i Rom, senza alcuna distinzione, ai gruppi sociali protagonisti delle lotte di classe proletarie.

 

Ci si dimentica che durante le lotte di classe degli anni 1960 e 1970 la comunità Rom era già ben presente in Italia, ma veniva esclusa da qualsiasi rivendicazione di giustizia sociale, tanto che la speranza di vita media di Rom e Romnì era ancora più bassa di oggi e – sembra incredibile, ma è un dato documentato – non raggiungeva i 30 anni. No, il problema non è il capitalismo (non sono stati e non sono solo i Paesi capitalisti a perseguitare i Rom) e non sono i campi-nomadi, che non si possono definire come un’invenzione dei gagé, ma come l’unica forma di aggregazione possibile identificata da gruppi di famiglie Rom unite da tradizioni simili (la “kumpanìa”) per sopravvivere all’interno di società intolleranti, fuggendo da tragedie umanitarie o da situazioni di povertà ed esclusione (come i Rom romeni). Il problema è una situazione sociale che non consente l’inclusione ai Rom, tenendoli fuori dalle politiche di alloggio e dal mondo del lavoro. Di conseguenza, le istanze di giustizia e libertà non possono svolgersi come battaglie di classe, ma devono essere campagne per i Diritti Umani e contro il razzismo, campagne che vedano non solo organizzazioni umanitarie, ma anche e soprattutto attivisti Rom quali protagonisti di un difficile, ma necessario cambiamento. Paesi che hanno superato i campi Rom senza aver prima realizzato programmi di integrazione efficaci, oggi si comportano come l’Italia: Germania, Belgio, Olanda e – attualmente – anche Spagna. La Francia ha scelto una via di mezzo: da una parte ha aumentato le azioni di sgombero (almeno provvedendo ai costi di rinnovo documenti e di viaggio), dall’altra, in seguito alle proteste delle Ong – fra cui l’attivissima “La Voix des Rroms” – è tornata ad accettare un certo tipo di insediamento temporaneo o non: il villaggio di inserimento. Non bisogna fare confusione fra Rom presenti storicamente nei Paesi e Rom provenienti da Paesi poveri: la Spagna attua misure a tutela dei Gitani, la Francia di Manouches e Tsiganes. E’ evidente che, al momento attuale, se il Comune decide (come ha promesso dopo l’intervento della Croce Rossa e di altre organizzazioni umanitarie) di offrire alle famiglie affitti agevolati e corsi professionali, il progetto è destinato a fallire, perché sarà proprio la mancanza di mezzi di sostentamento e l’ostilità dei vicini di casa a farlo fallire. E una volta fallito, come avviene sempre, le famiglie si sposteranno in un’altra città o nazione e se ne perderanno le tracce. Non a caso, da 180 mila che erano nel 2006, oggi i Rom in Italia sono scesi – e non se ne accorge nessuno – a 40 mila, di cui solo 2000 / 2500 romeni. Il progetto riguardante le famiglie del Triboniano deve essere a lungo termine e la città deve farsi carico del programma di integrazione, anche se avrà un costo. E in attesa della piena realizzazione del piano di inclusione, la comunità Rom non deve trovarsi con una spada di damocle sospesa sul capo, non deve essere trattata come un gruppo di “asociali”. Favorire l’integrazione è un aspetto fondamentale dell’amministrazione di una città, non è assistenzialismo né, tantomeno, “buonismo”. In Ungheria, dove 800 mila Rom lavorano e vanno a scuola, dove non esistono le baracche, sono stati realizzati programmi di inclusioni durati decenni. Non è stato eliminato il razzismo, ma quantomeno la comunità Rom ha gli stessi diritti di quella gagia: gli adulti lavorano, i bambini vanno a scuola, alcuni Rom sono diventati avvocati, magistrati, parlamentari ed europarlamentari. Si lotta anche lì contro violenza e razzismo, ma da una piattaforma civile un po’ più alta. L’integrazione non è un regalo, ma un compito preciso della società, in base alle Carte che tutelano inviolabilmente i diritti delle minoranze. Qualsiasi progetto che non si basi su una piena conoscenza del popolo Rom e delle sue caratteristiche, anche se può suonare come un proclama reboante, di certo non migliorerà la loro condizione. Nessuno pensa che vi sia chi li voglia strumentalizzare ed è comunque lodevole intraprendere istanze per l’emancipazione del popolo Rom, ma è proprio la scarsa o errata conoscenza di un gruppo sociale che può essere alla base di errori anche gravi, che possono produrre danni irreparabili, pur se le azioni vengono compiute in buona fede.

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