Treia. Omaggio a Dolores Prato
Resoconto
Dolores Prato a Treia – Montaggio fotografico de “La Rucola”
…debbo ringraziare Edi Castellani, assessore alla cultura di Treia, per avermi donato alcune ore di emozionante spettacolo. Forse sapete già che adoro il teatro di strada, anzi ritengo che sia il solo e vero teatro che meriti questo nome, poiché è “vivente”, non si dispiega su un palcoscenico, in un ambiente ristretto e artificiale, ma in mezzo alla gente, magari gente che passa per caso e nemmeno è consapevole di quel che sta accadendo.
Beh, almeno io, la mattina del 19 maggio 2018, circondato da una banda di studenti dell’Istituto Paladini, ero al corrente che quelle scenette giocate all’aperto un po’ fuori del tempo, alle quali assistevo per le vie di Treia, erano rivisitazioni sapientemente dirette dal regista Victor Carlo Vitale di OffTea.
Rivisitazioni di un trascorso vissuto reale di Dolores Prato ri-attualizzato negli stessi luoghi. I costumi vintage, primi novecento, aiutavano però a capire che non si trattava di un vissuto attuale, di oggi, ma di una riedizione del passato. Ad aumentare il dubbio dei passanti le facce e la parlata degli “interpreti”, facce treiesi ed inflessioni treiesi, pur se recitate in buon italiano, nella lingua compita e persino forbita con cui Dolores Prato scrisse le sue memorie. La sceneggiata itinerante si è conclusa con la visita al Centro Studi Dolores Prato, dove sono custodite quasi tutte le memorie della scrittrice.
Nata a Roma, figlia illegittima (del “peccato”, si diceva un tempo), riconosciuta a stento dalla madre e mai dal padre “avvocato meridionale” e data in “affidamento”, a soli 16 mesi, a certi zii della Bassa Padana ma residenti a Treia, lui prete e la sorella zitella. Tutti personaggi forestieri, direte voi, ed infatti Dolores disse “io non appartengo a Treia, Treia appartiene a me”, per significare la sua accettazione del luogo non corrisposta.
Dolores Prato a Treia nel Collegio delle Visitandine
A Treia ci trascorse l’infanzia e la giovinezza e dopo l’uscita dal collegio delle suore Visitandine, in cui era stata rinchiusa per seguire gli studi, se ne tornò a Roma, ove morì nel 1983. Non che la sentisse come sua patria o casa, ma da Roma, territorio neutro, poteva ricordare Treia come lei l’aveva conosciuta senza dover sopportare i cambiamenti inevitabili che la cittadina subì nel corso degli anni. Sia ben chiaro, non cambiamenti ambientali, perché Treia è rimasta architettonicamente qual era, bensì sociali ed umani…
Del periodo romano di Dolores Prato se ne è parlato al Teatro Comunale il pomeriggio, a completamento della manifestazione “Omaggio a Dolores Prato”, dove è stato presentato il libro ”Un provvisorio stabile, vita segreta di Dolores Prato” di Leandro Castellani, scritto in collaborazione con Ines Ferri e Filippo Ferrari. E questo evento sì che possiamo definirlo “teatralmente” classico, pur non intenzionalmente recitato, a parte le ispirate letture della fine dicitrice Morena Oro.
Beh, mi piace che a Treia venga ricordata Dolores Prato, che si definì “bastarda integrale, cresimata ma non battezzata”. Essa che non si sentì completamente accettata dalla comunità di Treia, in vita, fu però fatta propria e “accolta” post mortem. Infatti le sue spoglie riposano nel cimitero comunale sotto una bella lapide marmorea, offerta dal Comune in riconoscimento di “chi ha portato Treia nel cuore per l’intera sua esistenza”. Prova ne sia che il suo famoso libro “Giù la piazza non c’è nessuno” fu scritto in tarda età dall’autrice, su pezzetti di carta non datati e poi pazientemente ricollegati e resi consequenziali.
Sprazzi di memoria…
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