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Treia: “La casa sulla roccia… e le campane al vento” – Breve racconto bioregionale

Treia: “La casa sulla roccia… e le campane al vento” – Breve racconto bioregionale
Ottobre 25
10:48 2022

La peculiarità di questa casa di Treia, da Caterina ereditata dalla nonna Annetta e da me abitata, è che -pur stando su quattro piani di diverso livello- è sempre al piano terra… La cosa sembra strana ed in effetti fu proprio questa particolarità, descrittami da Caterina una notte mentre risiedevo ancora a Calcata, a farmela sognare e poi a spingermi a superare la mia inveterata pigrizia ed a desiderare di visitarla, di conoscerla, insomma di scoprire com’era…

Ricordo che uno dei miei sogni ricorrenti, sin dall’infanzia, era quello di immaginarmi su una torre, e da lì osservare il modo sottostante con un certo distacco. Certo è una visione simbolica.. Ad esempio ricordo la sensazione di appartenenza provata nel momento stesso in cui misi piede per la prima volta a Calcata, villaggetto costruito su un acrocoro… Ma a Calcata manca il senso dello spazio, della visione panoramica, poiché l’acrocoro è più basso di tutte le alture circostanti, mentre l’effetto che mi fece la casa di Treia, quando al fine la visitai, fu proprio quello di stare sul più alto pennone di una nave e da lì contemplare il mondo..

Monticulum era chiamata nell’alto medio evo la città di Treia, proprio perché si trova su una collina transfuga, isolata dalle montagne del circondario e adagiata su una dolce valle che si allontana sino al mare. Non è una collina conica, è piuttosto allungata ed è per questo che l’abitato storico è alquanto esteso, e probabilmente si sviluppò nei suoi due estremi in periodi ed in condizioni diverse… comprendendo da un lato un’antica torre avamposto dei longobardi e dall’altro l’insediamento della popolazione originaria, sorto dopo la caduta dell’impero romano, in cui si erano rifugiati gli antichi treiesi stanchi delle razzie subite a partire dal 500 d.c.

Attorno al XIII secolo, in periodo francescano, Monticello fu conosciuto perché patria di un santo frate, il beato Pietro Marchionni, contemporaneo e seguace di Francesco, che vi fondò una piccola comunità monastica, che si trovava fuori le mura.. nei pressi di un’antica fonte, denominata appunto “francescana” e che si trova lungo un sentiero anch’esso detto “francescano” che conduceva chissà dove… forse a Loreto od a Cascia?

Visitai, durante una passeggiata erboristica con Sonia Baldoni, quella sorgente. Ma la struttura attorno è quasi crollata, restava solo una parvenza di muro ed una specie di pozza con dentro ranocchie e tritoni, mentre lì a fianco c’era un piccolissimo stagno completamente ricoperto dal verde delle lenticchie d’acqua.

Forse mi sono un po’ disperso nelle mie rimembranze e sto correndo il rischio di dimenticare la ragione per cui ho iniziato a scrivere questa storia… Ah sì, si tratta di campane… Dicevo che la casa di Treia è su vari piani ed ha vari ingressi, questo perché essendo costruita seguendo il dislivello della collina, capita che ogni ingresso sia a piano terra.. a partire dal più alto che si trova in prossimità della Cattedrale sino al più basso nelle vicinanze della Porta Montana.

Dal piano principale, quello che si affaccia quasi sulla Cattedrale, ovviamente si ode lo scampanio regolare, a tutte le ore e a tutte le messe e orazioni, che scandisce lo svolgimento religioso della chiesa principale di Treia. Ma scendendo di un piano si ode un’altra campana di una chiesetta che sta quasi a ridosso delle mura, scendendo di un altro piano ancora si può ascoltare il tintinnio delle campane di una chiesa fuori porta, ed all’ultimo piano terra si ode lo scampanio di un monastero francescano che sta nei pressi del cimitero. Insomma ogni livello ha le sue campane.. E questa diversità non mi dispiace affatto, anzi la trovo simbolica di un percorso.. spirituale, ma anche vitale… Dalla Cattedrale dove ci si battezza e ci si sposa.. sino al monastero vicino al cimitero.. dove infine ci si riposa…

Beh, oggi pomeriggio mi è capitato di leggere un raccontino sulla saggezza laica, insita nell’astrarsi dalle cure del mondo, pur continuando a svolgere le proprie funzioni. In essa si parla della maestria di un artigiano costruttore di castelli per campane… Sapete vero che per suonare bene una campana ha bisogno di un apposito castello che deve corrispondere a precisi requisiti di distanza, equilibrio e solidità e vuoti fra le sue parti?

Un intagliatore chiamato Ching aveva appena finito di preparare un castello di sostegno per campane. Tutti quelli che lo vedevano si meravigliavano perché sembrava opera degli spiriti. Quando lo vide il Duca di Lu, domandò: “Che genio siete per riuscire a fare una cosa simile?” E l’intagliatore rispose: “Sire sono solo un semplice manovale, non un genio. C’è una cosa però: quando sto per fare un castello di sostegno, medito per tre giorni per acquisire la pace della mente. Dopo aver meditato per tre giorni non penso più a ricompense o guadagni. Dopo cinque giorni di riflessione, non mi importa più delle lodi o delle critiche, né della bravura né dell’inettitudine. Dopo sette giorni, così trascorsi, di colpo dimentico le mie membra, il corpo, anzi tutto me stesso.. Perdo coscienza della corte e di ciò che mi circonda. Resta solo la mia arte. In quello stato d’animo entro nella foresta ed esamino ogni albero finché trovo quello in cui vedo riflessa la mia incastellatura in tutta la sua perfezione. Allora le mie mani si mettono all’opera. Poiché io mi sono tirato da parte, nel lavoro che si compie per mezzo mio, la natura incontra la natura. Questo è senz’altro il motivo per cui tutti dicono che il prodotto che ne nasce è opera degli spiriti…

 

Racconto tratto da “Storie di vita bioregionale”.  Il libro è reperibile presso la Biblioteca di Auser Treia, in via Lanzi, 18/20 – auser.treia@gmail.com

 

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