Transnistria: ai confini dell’Europa, un (apparente) salto nel passato
La foto: Tiraspol, marzo 2016.
Al mattino, l’autostazione di Chişinău è un marasma di voci e persone che girano come formiche tra il mercato centrale e gli stalli numerati. Le decine di tipiche marshrutka si affollano, parcheggiate alla bell’e meglio sul primo tratto di asfalto disponibile nel cuore caotico della capitale moldava. Affollate e numerosissime, fanno la spola tra la città e i piccoli e piccolissimi centri abitati di questo stato stretto tra Romania ed Ucraina, la prima avviata su un cammino di integrazione europea non privo di difficoltà, l’altra in mezzo ad un conflitto che va avanti ormai da anni, alternando scoppi di violenza a momenti di apparente quiete e tensioni in sordina. Sintomo della duplice influenza risentita dal Paese sono le lingue parlate in città: russo e moldavo sono ambedue diffuse ed utilizzate, sebbene la lingua dell’amministrazione pubblica sia quella moldava (essenzialmente coincidente, con lievi differenze, con quella romena). Nel novembre scorso, in seguito ad uno scandalo che ha coinvolto le tre maggiori banche moldave ed un ex primo ministro, accusato di frode ai loro danni, si è scatenata una protesta culminata con un presidio dinanzi al palazzo del parlamento. Il risentimento è provocato dalla dilagante corruzione e dalla sfiducia verso i vertici delle cariche pubbliche, ricoperti in massima parte dai potenti uomini d’affari alla testa dei partiti filoeuropeisti, ancora incapaci di traghettare il Paese verso standard occidentali. Le condizioni disagiate in cui versano l’economia e complessivamente l’intero impianto statale, in balia di una corruzione diffusissima, rendono l’ipotesi di un futuro ingresso nell’Ue (che a Chişinău ha aperto diversi uffici) ancora remota, e gli eventi degli ultimi mesi l’hanno resa ancor più impraticabile.
Riesco a trovare il mio minibus in un parcheggio secondario dopo diverse richieste di informazioni andate a vuoto, poiché l’inglese non è molto diffuso tra i locali. È diretto a Tiraspol, seconda città moldava per numero di abitanti e capitale de facto della Repubblica di Transnistria (o Repubblica Moldava di Pridnestrovje, PMR), regione unilateralmente costituitasi nel 1990 come Repubblica Socialista Sovietica al pari di quella moldava, della quale aveva fatto parte per 45 anni, e, in seguito alla dissoluzione dell’Urss, mai dichiaratasi parte della attuale Repubblica di Moldavia, Stato sovrano dal 1991, che la considera sua parte inscindibile. Si tratta della sottile striscia di territorio, larga meno di 30 km, compresa tra il fiume Dniestr e la frontiera orientale del Paese, lunga circa 400 km. Qui i moldavi rappresentano solo un terzo della popolazione, costituita in gran parte da russi ed ucraini, e l’autodichiarata indipendenza si è avuta in risposta allo svilupparsi, in Moldavia, di un forte movimento nazionalista e filorumeno all’indomani del fiorire in tutta l’Urss delle spinte centrifughe che ne causarono la dissoluzione. La guerra ingaggiata nel marzo 1992 dalle forze del giovane Stato moldavo contro gli indipendentisti (ai quali ha dato manforte la 14ma armata sovietica, da anni stanziata nella regione) e durata quasi cinque mesi ha provocato un numero di morti che oscilla, a seconda delle stime, intorno al migliaio ed ha lasciato la situazione invariata: tra la Moldavia e la Transnistria è presente ancor oggi un confine presidiato e l’intera regione è sotto il controllo delle autorità transnistriane. Nessuno stato al mondo ne riconosce l’indipendenza, neanche la Federazione Russa – della quale la piccola regione separatista agogna divenire parte – all’infuori di entità pseudo-statali in situazioni analoghe, parimenti residuati della caduta dell’Urss (le Repubbliche di Abkhazia, Ossezia del Sud e Nagorno-Karabakh).
La confortevole e pulita marshrutka si lascia alle spalle il centro imbrigliato nel traffico ed attraversa la periferia, un susseguirsi statico di possenti e uniformi bloc di epoca sovietica, contornati da frequenti filari di alberi che, insieme ai vasti parchi pubblici, fanno di Chişinău una delle capitali più verdi d’Europa. Il tragitto dura meno di un’ora. Il paesaggio moldavo è brullo e arido; si passa accanto ad una manciata di centri abitati dalla folcloristica decorazione a lamiere di eternit a mo’ di tetto, praticamente su ogni edificio visibile dal finestrino, e ad una serie di vecchi impianti industriali dismessi, diffusi un po’ su tutto il territorio. Dopo il crollo dell’Urss l’economia moldava ha subito un notevole tracollo sia nel settore industriale che in quello agricolo, e gli embarghi imposti dalla Russia ai vini moldavi nel 2006 e nel 2013, formalmente per gli scarsi controlli adottati sulla produzione, hanno peggiorato la situazione. Si calcola che circa un milione di moldavi siano emigrati all’estero (su una popolazione di quattro milioni e mezzo di persone), lasciando spesso a casa bambini e anziani.
Al momento dell’ingresso in Transnistria viene rilasciato, dalle guardie di frontiera, un visto di 10 ore e, per un eventuale prolungamento, ci si può rivolgere all’ufficio immigrazione della città, sempre se si è accompagnati da un residente che dichiari di volerci ospitare, oppure si può pernottare in una struttura alberghiera. All’arrivo in dogana nessuno richiede i documenti, né si viene invitati a scendere dal veicolo per farseli controllare e ricevere il visto; il tutto evidentemente al fine di piantare grane allo sprovveduto visitatore straniero al momento dell’uscita, e da qui i vari racconti di estorsioni da parte dalle guardie di frontiera che è possibile trovare online.
Nel mio caso, la gentilezza e la conoscenza dell’inglese (fatto più unico che raro sia nella marshrutka che nell’intera città) di un passeggero transnistriano mi mettono al riparo dall’inerzia del giovane militare in divisa d’altri tempi, che non batte ciglio davanti al mio passaporto, e dalla mia inesperienza. Guardacaso non è un passeggero qualsiasi: mi mostra con soddisfazione i suoi tre passaporti, uno moldavo, l’altro canadese e il terzo transnistriano. «Questo – dice indicando l’ultimo – lo uso solo per venire qui, un paio di volte l’anno, ed ogni volta che lo faccio mi sento lontano anni luce da chi è rimasto. Ma quando sono dall’altra parte del mondo, questo posto mi manca.» Rouslan è stato accolto dal Canada come rifugiato quando aveva vent’anni e a Tiraspol si combatteva, nel 1992. Lì ha trovato un lavoro e si è costruito una nuova vita, e fa regolarmente ritorno a casa per visitare la compagna, che ora sta cercando di portare con sé oltreoceano. Entrambi si offrono di mostrarmi la città, dopo avermi accompagnato all’ufficio immigrazione per farmi ottenere un nuovo permesso: le carte da compilare sono un mucchio, ed ovviamente tutte in russo. L’impiegata, una giovane donna abbigliata di tutto punto nella caratteristica e singolare divisa femminile della polizia, dopo aver sciorinato una serie di raccomandazioni che non capisco e avermi fatto firmare la promessa che non proverò più ad eludere le guardie di frontiera (!), mi consegna il lasciapassare con i miei dati, grazie al quale potrò lasciare la regione.
Il confine è popolato anche da soldati russi, presenti in veste di forza di peacekeeping, in seguito agli accordi presi dopo la fine del conflitto. In Transnistria è presente uno dei più grandi depositi russi di armi in Europa, e ciò spiega parte dell’interesse di Mosca nel mantenere lo status sui generis della regione. Subito prima dell’entrata in città si attraversa il Dniestr, e alla sinistra del ponte sul quale si transita torreggiano, l’una di fianco all’altra, la bandiera russa e quella transnistriana (coincidente con quella della vecchia Repubblica Socialista Moldava), che si distingue da quella sovietica solo per una banda verde orizzontale nel mezzo. Si capisce immediatamente (non fosse bastato l’abbigliamento dei militari al confine) di trovarsi in un luogo singolare: Tiraspol è una delle pochissime città di epoca sovietica a non essere mutate da allora, almeno esteriormente. Nel centro cittadino campeggia un cartello celebrativo dei ventisei anni della Repubblica con lo stemma della PMR (anch’esso preso in prestito dalla vecchia SSR moldava): grappoli d’uva, spighe di grano, sole che sorge, falce e martello. Pochi metri più avanti, il monolitico e mastodontico palazzo del governo fa da sfondo ad una robusta e severa scultura di Vladimir Lenin. La valuta utilizzata in città è il rublo transnistriano, che vale circa 10 centesimi di euro; la moneta non ha alcun valore legale al di fuori della PMR (eccetto per alcuni conducenti di marshrutka moldavi diretti in Transnistria). Negli uffici di cambio è possibile convertire euro, dollaro, leu moldavo e grivnia ucraina, ma Rouslan mi fa notare come gli impiegati facciano buon gioco nell’evitare di vendere valute straniere al pubblico. Passiamo davanti alla distilleria Kvint, una delle maggiori industrie della regione insieme alle acciaierie di Rîbnița. Un ruolo di primo piano sulla scena economica transnistriana è giocato dalla Sheriff, società-monopolio proprietaria di supermercati, pompe di benzina, un canale televisivo, una casa editrice, una squadra di calcio, una ditta di costruzioni, un servizio di telefonia mobile ed altro, e che domina i relativi settori (nel corso degli anni ha, oltretutto, beneficiato di misure di favore da parte del governo). A capo della compagnia si trova il figlio di Igor Smirnov, fino al 2011 padre padrone della Transnistria, eletto per quattro volte Presidente. Le esportazioni, specialmente di cemento ed acciaio (anche verso il nostro Paese) hanno un ruolo preminente, ma la fragile economia transnistriana presenta ancora caratteri misti, continuando a sorreggersi in buona parte sugli aiuti finanziari provenienti dalla Russia, che prende indirettamente parte alla direzione della politica estera della regione. A sorpresa, nel dicembre 2015 il governo di Tiraspol ha accettato di far parte, insieme alla Moldavia, del Dcfta, patto sul commercio con l’Europa, probabilmente ed in parte a causa delle restrizioni al transito di merci e persone imposte ad est dall’Ucraina, che teme la vicinanza della piccola regione russofona.
La mia breve visita a Tiraspol si conclude nel piazzale semideserto di fronte alla stazione ferroviaria, popolato da auto vecchie di decenni così come l’autobus che mi riporterà indietro, fuori da quello che si potrebbe definire per certi versi un piccolo, e da noi poco noto, museo del Novecento, ma che fa da sfondo a tensioni e dinamiche di potere tutte attuali. Saluto vivamente Rouslan, ringraziandolo ancora del calore e dell’amicizia: mi riprometto di rincontrarlo, qui o altrove, in futuro. La tranquillità che pervade il paesaggio che scorre dal finestrino e l’atmosfera di calma piatta che si respira camminando per le strade vuote della città malcelano il conflitto, congelato da ventiquattro anni, dal quale è sorta la realtà transnistriana e che continua ad essere una costante minaccia di instabilità, così come continuano ad esserlo i problemi irrisolti nel Caucaso e nell’Ucraina post-sovietici.
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