Tibet. Continua a salire il numero degli eroi
Una piccola scottatura è fastidiosa, una bruciatura più grave fa male e può creare seri problemi, pensate quello che si può provare dandosi fuoco.
Ci vuole tanta forza, determinazione ed essere veramente disperati e probabilmente arrabbiati; con il potere, con il regime, con il mondo intero perché non fa nulla per la tua gente, per l’impotenza che provi di fronte agli abusi, ai soprusi alle mortificazioni che ogni giorno devi sopportare. Questa è la lotta e il messaggio che i giovani e non tibetani lanciano al mondo quando si danno fuoco. Il 17 marzo 2012 un altro giovane ventenne, monaco del monastero di Kirti, a Ngaba, e un agricoltore di Rebkong di quarantaquattro anni, si sono auto immolati in Tibet. Sale così a trenta il numero dei tibetani che a partire dal febbraio 2009 si sono dati fuoco come atto estremo di protesta contro l’occupazione cinese e per lanciare al mondo il loro grido d’aiuto. Riferisce il Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia che Lobsang Tsultrim (il giovane monaco), già avvolto dalle fiamme, camminava lungo la strada principale di Ngaba quando ha visto i funzionari di polizia dirigersi verso di lui. Ha cercato di allontanarsi ma è stato raggiunto, picchiato e gettato a terra. Mentre i poliziotti cercavano di spegnere le fiamme con un estintore, Lobsang ha continuato ad alzare in aria il pugno, in un gesto spesso usato dai tibetani come segno di invocazione della libertà. E’ stato caricato su una camionetta e portato via. Era il maggiore di quattro fratelli. Era diventato monaco all’età di otto anni. Ancora una volta, in segno di solidarietà, migliaia di tibetani, circa 6000 persone secondo la testimonianza resa da un testimone oculare al gruppo londinese Free Tibet, sono arrivati nel piazzale antistante il monastero di Rongwo, da tutta la città e dai villaggi vicini. “Stiamo assistendo a una protesta senza precedenti, l’atto di sfida contro il governo cinese più significativo dopo la rivolta di Lhasa del 2008” – ha dichiarato Stephanie Bridgen, direttore di Free Tibet. “Un numero sempre maggiore di tibetani è pronto a sacrificarsi e a correre ogni tipo di rischio”.
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